Fatture emesse a cavallo di anno dai semplificati con opzione e scritture di fine anno

Pubblicato il 2 marzo 2021

Si è acceso un dibattito sulle modalità di registrazione delle fatture elettroniche emesse a cavallo d’anno dai contribuenti in regime di contabilità semplificata con opzione per il comma 5 dell’art. 18 del DPR 600/1973. Si sono di fatto sviluppate due tesi contrapposte, ognuna con una sua logica interpretativa, ognuna sensata.

In linea generale, i soggetti passivi IVA annotano le fatture emesse sul registro delle vendite ai sensi dell’art. 23 del DPR 633/72.
L’art. 24 del DPR 633/72 prevede che, in alternativa, i commercianti al minuto e i soggetti assimilati ai sensi dell’art. 22 del DPR 633/72 possono registrare le fatture eventualmente emesse sul registro dei corrispettivi.
È prevista la possibilità di istituire registri sezionali per l’annotazione delle fatture, cui si aggiunge un registro riepilogativo contenente i risultati di tutti i sezionali. In alcuni casi, l’istituzione di detti registri è, di fatto, obbligatoria.

Ancora sul momento di competenza delle fatture emesse a cavallo di anno dai semplificati con opzione comma 5 articolo 18 DPR 600/1973

Si è acceso un grande dibattito sulle modalità di registrazione delle fatture elettroniche emesse a cavallo d’anno dai contribuenti in regime di contabilità semplificata con opzione per il comma 5 dell’art. 18 del DPR 600/1973.

Si sono di fatto sviluppate due tesi contrapposte, ognuna con una sua logica interpretativa, ognuna sensata.

Fattura a cavallo di anno dei contribuenti semplificati: una tesi

Qualche giorno fa sono stati pubblicati su CommercialistaTelematico un paio di interventi nei quali è stata esposta la tesi secondo cui la fattura non viene ad esistenza fintanto che non viene inviata al Sistema di Interscambio: fino a quel momento non risulta emessa, questo in base ad una interpretazione fondata sul dettato normativo dell’art. 21 del DPR 633/1972.

Questa tesi sostiene che finchè il documento non viene inviato allo SdI non esiste, quindi finchè non esiste non può essere registrato; detta al contrario: la fattura può essere registrata solo dopo che è venuta ad esistenza, quindi dopo averla inviata allo SdI.

La conseguenza di questa interpretazione è che una fattura attiva, materialmente redatta in data 29/12/2020 ma inviata allo SdI il 7/1/2021 dovrà necessariamente essere registrata nel mese di gennaio 2021 e il ricavo sarà imputabile solo in tale anno e non nel 2020 (per l’IVA il problema non si pone perché è fuori di dubbio che in questo caso l’imposta va considerata nel mese di dicembre).

L’altra tesi

La tesi contrapposta ritiene invece che l’art. 21 del DPR 633/1972, vada interpretato nell’ottica di individuare il momento del corretto adempimento dell’obbligo procedimentale, ma senza assumere rilevanza ai fini sostanziali, in quanto l’obbligazione tributaria è legata all’esigibilità dell’imposta comunque verificatasi (cfr. F. Mangiapane 11/2/2020 C.T.), con la conseguenza, se ne deduce, che la data di emissione della fattura debba essere determinata alla luce dei provvedimenti e delle istruzioni diramate in merito alla fattura elettronica.

Ad esempio nel provvedimento prot. n. 89757/2018, del 30 aprile 2018, è previsto che:

“La fattura elettronica è trasmessa al SdI dal soggetto obbligato ad emetterla (…). 

La data di emissione della fattura elettronica è la data riportata nel campo “Data” della sezione “Dati Generali” del file della fattura elettronica, che rappresenta una delle informazioni obbligatorie ai sensi dell’articolo 21 del DPR 633/1972. (…) 

Le ricevute rilasciate dallo SdI di cui ai precedenti punti 4.2 e 4.3 attestano che la fattura è emessa.”

Ancora, nella Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 14 del 17/6/2019 si afferma che:

“Tra le indicazioni che la fattura deve recare, figura anche la data di effettuazione dell’operazione, sempreché tale data sia diversa dalla data di emissione della fattura. 

La fattura è possibile emetterla entro 12 giorni dall’effettuazione dell’operazione”.

In premessa occorre rammentare – in richiamo a quanto già precisato in altre sedi (si veda la circolare n. 13/E del 2018, quesito 1.5, nonché il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 89757 del 30 aprile 2018) – che:

«La data di emissione della fattura elettronica è la data riportata nel campo “Data” della sezione “Dati Generali” del file della fattura elettronica, che rappresenta una delle informazioni obbligatorie ai sensi degli articoli 21 e 21-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633».

In considerazione del fatto che per una fattura elettronica veicolata attraverso lo SdI, quest’ultimo ne attesta inequivocabilmente e trasversalmente (all’emittente, al ricevente e all’Amministrazione finanziaria) la data di avvenuta “trasmissione”, è possibile assumere che la data riportata nel campo “Data” della sezione “Dati Generali” debba essere sempre e comunque la data di effettuazione dell’operazione e considerato che la data di emissione è quella riportata nel campo “Data”, si potrebbe concludere che:

  • data di emissione;
  • data fattura;
  • e data di effettuazione

siano la stessa, indipendentemente dalla data di spedizione allo SdI, che attesta tramite le ricevute di consegna la regolare emissione e trasmissione del documento.


I sostenitori della prima tesi eccepiscono che questo ragionamento sulla data di emissione non è corretto anche alla luce di un altro passo della circolare 14 già menzionata, dove si rinviene questa affermazione inerente allo scarto dell’invio: “… Resta inteso, in ipotesi di avvenuta registrazione con successivo scarto della fattura da parte dello SdI – e, dunque, di fattura non emessa (si veda il punto 2.4 del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate prot. n. 89757 del 30 aprile 2018) – che saranno necessarie le conseguenti rettifiche.”

Alla luce di questo passaggio della circolare potrebbe quindi sembrare che non sia corretto considerare la data di spedizione e di regolare consegna quale data di emissione della fattura ma che occorra fare esclusivo riferimento alla data di invio allo SdI: l’affermazione della circolare non è altro che la conferma che fino a che non risulterà emessa la fattura, nel senso di spedita allo SdI ed accettata, la stessa non possa essere registrata.

Ma, allo stesso modo, di nuovo, si potrebbe interpretare lo stesso passo della circolare anche al contrario, ovvero che la fattura si considera comunque emessa alla data della sua predisposizione e che vada così registrata; se successivamente dovesse essere scartata dallo SdI risulterà non emessa e quindi si dovrà rettificare la sua avvenuta registrazione. Pertanto anche il citato passo della circolare non dirime la questione.

Entrambe le teorie hanno un loro fondamento e sono sostenute da valide ragioni; i contribuenti chiedono solo di sapere come procedere per non rischiare di sbagliare.

Sarà l’Agenzia delle Entrate, un giorno (speriamo non lontano), ad intervenire dando la sua propria interpretazione e così ci si attesterà sulle modalità di registrazione da questa indicate.

Riepilogando…esistono due tesi

La prima sostiene che la fattura viene ad esistenza solo quando inviata allo SdI e quindi deve essere registrata non prima di quel momento.

Chi ha optato per l’applicazione del comma 5 dell’art. 18 dovrà considerare i ricavi nell’anno di invio della fattura allo SdI.

Quindi l’esempio pratico potrebbe essere: fattura attiva datata 29/12/2020, inviata allo SdI il 7/1/2021: i ricavi sono da considerarsi imponibili nel 2021.

La seconda tesi sostiene che per la determinazione dell’anno di maturazione dei ricavi occorre considerare la data di formazione del documento indipendentemente da quella di invio allo SdI.

La data indicata sul documento corrisponde al momento di effettuazione dell’operazione e corrisponde pertanto anche alla data di emissione, nonostante la spedizione allo SdI venga effettuata nell’anno successivo.

In merito a questa seconda tesi si può fare il seguente esempio pratico: fattura datata 29/12/2020, inviata allo SDI il 7/1/2021.

La data della fattura è il 29/12/2020, che, in questo caso, è anche la data di effettuazione dell’operazione ed è anche la data di emissione (secondo il provvedimento 89757/2018 e circolare n. 14/E).

Il 7/1/2021 è la data di trasmissione allo SDI che, rilasciando la ricevuta di avvenuta consegna, certifica che la fattura risulta regolarmente emessa nei termini.

La fattura può essere registrata ai sensi dell’art. 23 del DPR 633/1972 (considerato che è stata regolarmente emessa) entro il 15/1/2021.

Ai fini reddituali stante l’opzione effettuata ai sensi dell’art. 18 comma 5, concorrerà alla determinazione del reddito 2020 se registrata nel 2020, del 2021 se registrata nel 2021.

Incassi e pagamenti di fine anno al vaglio del principio di cassa

L’applicazione del principio di cassa induce a porre particolare attenzione all’incasso dei compensi e al sostenimento delle spese professionali che intervengono alla fine dell’anno o all’inizio del successivo.

In via preliminare, sembra opportuno ricordare che, con l’ordinanza n. 28253/2022, la Suprema Corte ha affermato che si considerano incassati e, come tali imponibili, i compensi indicati da un professionista in una parcella che non è mai stata saldata.

Nello specifico, i giudici di legittimità hanno considerato giustificata la presunzione di percezione fondata sul principio per il quale, in base alla disciplina dell’IVA, la fattura deve essere emessa al momento del pagamento della prestazione.

La pronuncia della Cassazione suscita qualche perplessità, tenuto conto che il momento dell’emissione della fattura può non coincidere con quello del pagamento, che può essere anche successivo. Non sembrerebbe quindi possibile, in assenza di ulteriori elementi probatori, presumere l’incasso della fattura nel momento della relativa emissione.

Ciò premesso, nel caso di riscossione in contanti non sorgono particolari questioni; il momento del pagamento (da parte del cliente) e quello dell’incasso (da parte del percipiente) coincidono. Rileva quindi il momento della consegna del denaro, corredato dalla relativa ricevuta confirmatoria da parte del ricevente (Cass. n. 20033/2017).

Invece, per i “movimenti” che avvengono con strumenti diversi dal contante (es. assegni, bonifici, bancomat o carte di credito), occorre tenere presente lo sfasamento temporale che si verifica tra:
– la perdita della disponibilità del denaro da parte del cliente;
– l’acquisto della disponibilità del denaro da parte del professionista o dell’imprenditore in contabilità semplificata.

Nell’ipotesi di compensi riscossi mediante assegno bancario o circolare, gli emolumenti si considerano percepiti nel momento in cui il titolo di credito entra nella disponibilità del professionista o dell’imprenditore, coincidente con la materiale consegna del titolo medesimo dall’emittente al ricevente. Nessun rilievo può essere attribuito alla circostanza che il versamento dell’assegno sul conto corrente intervenga in un momento successivo e in un diverso periodo d’imposta (ris. n. 138/2009 e circ. n. 38/2010, § 3.3).

Secondo la Cassazione n. 20033/2017, il momento della consegna coincide con la data apposta sull’assegno: sussiste, infatti, una “presunzione di identità” tra tali momenti, sicché in tale data “si assiste al passaggio del titolo (e del credito incorporato)”.

Se il pagamento viene effettuato tramite bonifico, rileva la data dell’accredito della somma sul conto corrente (c.d. “data disponibilità”): è infatti da tale momento che il titolare del conto acquista la facoltà di utilizzare liberamente il proprio denaro (circ. n. 38/2010, § 3.3).

Nessuna importanza assumono invece:
– la c.d. “data valuta”, rilevante esclusivamente per il computo degli (eventuali) interessi attivi;
– il momento in cui viene impartito l’ordine di bonifico;
– il momento in cui la banca informa il percipiente dell’avvenuto accredito.

Ad esempio, se giovedì 29 dicembre 2022 il cliente di un professionista effettua un ordine di bonifico e l’accredito della somma interviene lunedì 2 gennaio 2023, con data valuta venerdì 30 dicembre 2022, il compenso concorrerà alla formazione del reddito di lavoro professionale del 2023 (e non del 2022) e andrà quindi dichiarato nel modello REDDITI 2024 (e non nel modello REDDITI 2023).

Nell’ipotesi di utilizzo della carta di credito, dovrebbe rilevare il momento in cui il pagamento viene materialmente eseguito, di regola coincidente con l’accredito della somma sul conto corrente del percipiente (professionista o imprenditore).
Si consideri, infatti, il caso speculare delle spese professionali pagate con carta di credito, che, secondo la ris. Agenzia delle Entrate n. 77/2007 (in ordine alla deducibilità dal reddito complessivo IRPEF dei contributi previdenziali pagati alla Cassa di previdenza), sono deducibili nel momento in cui è utilizzata la carta.

In ogni caso, onde evitare che il momento in cui il provento si considera incassato da parte del percipiente non coincida con quello rilevante ai fini dell’individuazione del periodo o del mese in cui l’erogante deve effettuare il versamento della ritenuta e includerla nella Certificazione Unica e nel modello 770 (con conseguente rischio di richiesta di documentazione in sede di controllo formale), appare consigliabile anticipare il più possibile i pagamenti rispetto alla fine dell’anno.

Peraltro, anche nell’impossibilità di operare in tal senso, per evitare la successiva notifica di un avviso bonario, sembra sufficiente fornire all’Agenzia delle Entrate, nei termini di legge, i documenti eventualmente richiesti (es. ritenute certificate, copia dell’ordine di bonifico), atti a dimostrare l’intervenuto incasso in un periodo d’imposta successivo a quello di esecuzione del pagamento da parte del committente.

LA POSA SERRAMENTI ESCLUSA DAI MASSIMALI PER L’ECOBONUS 50%

Importanti chiarimenti sull’Ecobonus e sul calcolo dei massimali di spesa al metro quadrato.


Da quando è stato pubblicato il Decreto Requisiti Tecnici in Gazzetta Ufficiale che ha reso finalmente operativi sia l’Ecobonus al 50% sia il Superbonus al 110%, c’è stato grande fermento tra le associazioni dei produttori di serramenti sull’importante questione della posa in opera inserita nei massimali di spesa a mq.

Come abbiamo spiegato diverse volte, infatti, le principali novità del “nuovo Ecobonus” erano

  • l’inserimento dei massimali di spesa
  • nuovi limiti termici
  • la Dichiarazione Finale del Fornitore

In poche parole, il decreto recitava che erano detraibili (al 50%) la “fornitura e posa in opera di nuove finestre comprensive di infissi”. I massimali di prezzo indicati nell’Allegato I, (€ 550,00 mq + € 100,00 per sistemi oscuranti in zona A, B e C; € 650,00 mq + € 100,00 per sistemi oscuranti in zona D, E e F) quindi, erano comprensivi dei costi per la posa in opera.

La cosa certa è che i vari testi normativi pubblicati in materia di bonus edilizi sono stati oggetti di forti critiche a causa della loro scarsa chiarezza. In particolare, in relazione al settore dei serramenti, uno dei dubbi principali che ha colpito gli operatori di mercato è stato proprio quello relativo alle modalità di conteggio delle spese di posa in opera.

Dopo le richieste di Finco (Federazione Industrie Prodotti Impianti Servizi ed Opere Specialistiche per le Costruzioni) affinché la posa in opera delle finestre fosse scorporata dai tetti definiti dall’Allegato I del Decreto, sono comparse due righe di postilla che recitano: “I costi esposti in tabella si considerano al netto di IVA, prestazioni professionali e opere complementari relative alla installazione e alla messa in opera delle tecnologie”.

Questa precisazione, però, non è stata ritenuta sufficientemente chiara e ha dato adito a svariate interpretazioni, tra cui quella di Anfit che ha indicato agli Associati di escludere la posa dal calcolo dei massimali, asserendo che la suddetta postilla è stata inserita proprio allo scopo di scorporare i costi relativi all’installazione.


Cosa cambia per la posa in opera?

La novità di questi giorni è che, per chiarire definitivamente la questione, Finco ha sollecitato direttamente il Sottosegretario al Ministero di Economia e Finanza (MEF) Villarosa, chiedendo conferma della bontà della chiave di lettura.

Nella risposta il Sottosegretario si è espresso nei seguenti termini: “Per i lavori iniziati dopo il 6 ottobre bisogna tener conto che il massimale non comprende: IVA, prestazioni professionali e spese relative all’installazione e alla messa in opera delle tecnologie”, confermando pienamente quanto indicato da Finco e Anfit. 
Da questa affermazione possiamo capire che non sono inclusi nei massimali di costo

  • Posa dei serramenti
  • IVA


La conferma definitiva che i costi della posa sono esclusi dai massimali presenti nell’Allegato I, Tabella 1, giunge da una mail inviata ad Angelo Artale (direttore generale Finco) da Daniele Della Bona, della segreteria del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Riccardo Fraccaro, convinto sostenitore del provvedimento del Superbonus 110% e dei decreti collegati e deputato del Movimento 5 stelle.

La comunicazione afferma quanto segue:
Per Dr Artale
Premettendo che l’Allegato I non è che un’indicazione residuale, come specificato dal punto 13.1 dell’Allegato A del medesimo decreto, le confermo che posa in opera esclusa. Ho sollecitato Enea per pubblicazione di una Faq o nota su questo.
Firmato Daniele Della Bona

Conclusioni

Ovviamente, siamo tutti in attesa della FAQ di Enea che dettaglierà quanto anticipato dalle segreterie dei due sottosegretari Fraccaro e Villarosa.
Ma ora abbiamo le idee un poco più chiare e possiamo perciò dire che, nei lavori riguardanti l’Ecobonus al 50% la posa dei serramenti è ufficialmente esclusa dai massimali di costo.

Enti no profit

Il saggio analizza e confronta le disposizioni che, nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi e nel nuovo Codice del Terzo Settore (oltre che nella disciplina dell’impo­sta sul valore aggiunto), stabiliscono quali sono le attività commerciali e quelle non commerciali e in quali casi l’ente collettivo, impegnato sia in compiti istituzionali sia in occupazioni di indole imprenditoriale, è qualificabile, nel complesso, come soggetto appartenente al settore della commercialità o come soggetto estraneo a quel settore.

The distinction between commercial and non-commercial activities of non-profit entities, for the purposes of income taxes and VAT, in light of the new regulations of the Third Sector Code

The essay analyses and compares the rules of the Income Tax Consolidated Act (ITCA) and of the new Third Sector Code (with several remarks also in respect to the VAT discipline) that identify which activities are “commercial” and which are “non-profit”, and in which cases the entity, engaged in both business and institutional activities, shall wholly qualify as belonging to the commercial or non-profit sector.

Keywords: non-profit entities, commercial and non-commercial activities, income tax, value added tax, Third Sector Code

Articoli Correlati: enti no profit – attività commerciali – attività non commerciali – imposta sui redditi – imposta sul valore aggiunto – Codice del Terzo settore

SOMMARIO:

1. Premessa. Definizione di attività e di ente commerciale e non commerciale nella disciplina delle imposte dirette e dell’IVA – 2. Carattere commerciale e non commerciale nel Testo Unico delle Imposte sui Redditi – 3. Attività d’impresa ed extra imprenditoriali nella disciplina dell’IVA – 4. Sfera commerciale e non commerciale nella nuova disciplina degli ETS. Lo scopo di lucro. Compatibilità del carattere commerciale con l’assenza di quello scopo – 5. Quando per gli ETS prevale l’attività non commerciale e quando invece prevale l’attività commerciale – 6. Sinossi delle attività commerciali e non commerciali per gli ETS – 6.1. Regole specifiche per taluni tipi di ETS – 7. Conclusioni – NOTE
1. Premessa. Definizione di attività e di ente commerciale e non commerciale nella disciplina delle imposte dirette e dell’IVA

Ad eccezione della società, che sono considerate imprenditori semplicemente a cagione della loro forma giuridica [1], indipendentemente dal tipo di mansione pratica svolta, l’ente commerciale è un soggetto collettivo che si dedica allo svolgimento di un’attività d’impresa come sua missione esclusiva o come suo scopo principale. Viceversa, l’ente non commerciale è quello il cui oggetto unico o primario consiste nello svolgimento di un’attività di natura non imprenditoriale. Come noto, l’ente non commerciale non deve necessariamente essere ani­mato da propositi altruistici, di pura benevolenza o di sostegno gratuito o, co­munque, di mera erogazione disinteressata. Con un approccio che bada alla sostanza e che non si lascia influenzare dalle manifestazioni di intento (volte ad improntare idealisticamente – magari però non effettivamente – l’azione dell’ente alla generosità e al servizio altrui senza contropartita), il legislatore fiscale ritiene che sia privo del carattere commerciale l’organismo impegnato in un’attività che difetta oggettivamente dei connotati dell’imprenditorialità. Questa attività, secondo gli intendimenti dei partecipanti all’ente, potrebbe persino essere diretta a perseguire finalità lucrative o egoistiche; qualora, tuttavia, essa non presenti i requisiti materiali minimi – descritti successivamente – per essere annoverata tra le occupazioni di indole commerciale, chi la svolge non può essere qualificato come imprenditore. Si pensi ad un’associazione il cui patrimonio consti di un solo bene immobile, concesso in uso ai terzi. Poiché, come regola generale, dall’attività locativa scaturisce un reddito fondiario [2], lo sfruttamento dell’unità immobiliare com­piuta dall’associazione non è considerato un atto avente valenza commerciale, nonostante abbia natura lucrativa. L’associazione, che si arricchisce con i proventi della locazione, divisi magari tra i suoi aderenti, si inquadra, quindi, tra gli enti non commerciali che producono un reddito di natura fondiaria. All’opposto, potrebbe definirsi non animata da intenti (almeno soggettivamente) lucrativi un’attività commerciale, il cui risultato utile sia integralmente devoluto [continua ..]

Variazione Rendita IMU

Il tuo immobile ha subito nel corso dell’anno delle modifiche tali da modificarne la rendita catastale? Scopri quali circostanze determinano una variazione della rendita catastale e qual è la decorrenza ai fini IMU della nuova rendita.

Cos’è la rendita catastale
La rendita catastale rappresenta un valore attribuito a fini fiscali dall’Agenzia delle Entrate a tutti gli immobili in grado di generare reddito autonomo (sia fabbricati che terreni).

Il valore della rendita catastale varia di Comune in Comune e determina le imposte sulla casa, sia le imposte annuali come l’IMU che le imposte sugli atti di compravendita e sulla successione. Tale valore si calcola moltiplicando i seguenti elementi:

Dimensioni dell’immobile
Estimi catastali, parametri fissati dai Comuni italiani che servono a determinare una stima dell’immobile o del terreno, in base a fattori quali la tipologia dell’immobile, la destinazione d’uso e la zona censuaria.
Scopri come calcolare il valore di un immobile a partire dalla rendita catastale nel nostro articolo dedicato.

In che modo la rendita catastale influenza l’IMU
Il calcolo dell’IMU avviene a partire dalla rendita catastale, che viene rivalutata al 5% per individuare la base imponibile, per poi moltiplicarla con il coefficiente di categoria stabilito dalla legge:

160 per i fabbricati nelle categorie catastali A (tranne A/10), C/2, C/6 e C/7 (abitazioni e pertinenze)
140 per i fabbricati nelle categorie catastali B, C/3, C/4 e C/5 (uffici pubblici, magazzini, laboratori)
80 per i fabbricati nelle categorie catastali A/10 e D/5 (uffici e banche)
65 per i fabbricati nel gruppo catastale D ad eccezione della categoria D/5 (opifici, alberghi, fabbricati con funzioni produttive connesse all’agricoltura)
55 per i fabbricati classificati come C/1 (negozi)
Per i terreni agricoli e per quelli non coltivati, la base imponibile è data dal reddito dominicale risultante in catasto rivalutato del 25% e moltiplicato per 135.

In quali situazioni si determina una variazione della rendita catastale e decorrenza ai fini IMU
La rendita catastale è un valore che varia nel tempo e che occorre sempre mantenere aggiornato per il corretto calcolo delle imposte. Analizziamo tutti i casi in cui si determina una variazione della rendita catastale con conseguente variazione dell’IMU da pagare.

a) Lavori di ristrutturazione
Alcuni lavori di ristrutturazione determinano una variazione della rendita catastale, e quindi vanno ad incidere sul calcolo dell’IMU:

Frazionamento o fusione di unità immobiliari;
Realizzazione di un secondo bagno;
Costruzione di un armadio a muro;
Montaggio di una veranda;
Richiesta cambio di destinazione d’uso, trasformando ad esempio parte del soggiorno in cucina;
Recupero del sottotetto e trasformazione in mansarda;
Creazione di solai e soppalchi.
Se i lavori di ristrutturazione sono iniziati in corso d’anno, per il calcolo dell’IMU andranno utilizzati 3 imponibili diversi poiché si assumono 3 rendite catastali differenti. Infatti, la nuova rendita decorre a partire dal termine dei lavori, quando si presenta la documentazione per l’aggiornamento dei dati catastali.Nel periodo precedente ai lavori, per il calcolo dell’IMU si utilizza la rendita precedente, mentre per il periodo in cui sono in corso i lavori, il valore è quello dell’area edificabile.

b) Cambio di destinazione d’uso
La destinazione d’uso rappresenta la finalità di utilizzo di un immobile, come ad esempio commerciale o residenziale, industriale o turistico.Il cambio di destinazione d’uso può avvenire nel caso in cui si individui un errore di classificazione al Catasto o anche per ristrutturazioni complete, ampliamenti e frazionamenti.

In tutti questi casi si va a determinare una modifica della rendita catastale e occorre quindi aggiornarla al Catasto.

c) Revisione zone catastali
Se il Comune procede, per sua iniziativa, alla revisione delle zone catastali, è possibile che vada a determinare una variazione della rendita catastale. L’assessorato del Comune deve comunicare i cambiamenti al proprietario dell’immobile, e ad ogni modo le variazioni hanno efficacia dal primo gennaio successivo a quello di notifica:

In caso di mancata notifica nell’anno in corso, la nuova rendita si applica a partire dall’anno successivo;
In caso di notifica dopo la scadenza dell’acconto, l’IMU si paga sulla base della vecchia rendita catastale.

d) Immobile in stato di abbandono e di degrado
Il valore della rendita catastale può anche subire delle riduzioni nel tempo, come ad esempio nel caso di un immobile in stato d’abbandono e di degrado. Presentando apposita istanza al Catasto si può richiedere la revisione del valore catastale e l’IMU verrà ridotta al 50% (se l’immobile non viene utilizzato, altrimenti l’IMU andrà pagata al 100%).

e) Installazione di pannelli fotovoltaici
L’installazione di pannelli fotovoltaici può determinare una rivalutazione della rendita catastale laddove abbiano potenza superiore ai 3KW. In questo caso vengono considerati come bene immobile e vanno quindi accatastati, determinano un aumento della rendita catastale e andando ad incidere anche sull’IMU. Per impianti di potenza inferiore, non serve invece alcun accatastamento per cui la rendita catastale rimane invariata.

4) Procedura per l’assegnazione della rendita catastale e IMU: rendita proposta e rendita definitiva
L’assegnazione e l’aggiornamento della rendita catastale di un immobile avviene tramite il portale DOCFA da parte di un tecnico abilitato incaricato dal proprietario dell’immobile. Il termine di presentazione delle dichiarazioni al catasto è di trenta giorni dal momento in cui i fabbricati sono divenuti abitabili/servibili all’uso cui sono destinati o dalla data di ultimazione della variazione nello stato per le unità immobiliari già censite.

L’Agenzia delle Entrate è recentemente intervenuta per chiarire alcuni aspetti che riguardano la procedura di attribuzione della rendita catastale per gli immobili.

Attualmente, attraverso il DOCFA, il proprietario dell’immobile presenta una dichiarazione per l’accertamento delle unità immobiliari di nuova costruzione e per le variazioni dello stato dei beni che consenta il contestuale aggiornamento della banca dati catastale con il classamento e la relativa rendita.

Tale rendita rimane negli atti catastali come «rendita proposta» fino a quando l’ufficio non provvede, entro dodici mesi dalla data di presentazione della dichiarazione, alla determinazione della rendita catastale definitiva. Tale termine è ordinatorio e non perentorio, pertanto non comporta la decadenza per l’amministrazione dal potere di verifica ed accertamento.

Gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali definitivi sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione ai contribuenti. Tuttavia, a giudizio dell’Agenzia delle Entrate, c’è la possibilità per gli Uffici di utilizzare la nuova rendita per le annualità pregresse ancora accertabili.

Una nuova ordinanza della Corte di Cassazione ha precisato che, ai fini Imu, il valore della rendita si applica retroattivamente e non solo a partire dalla data di annotazione della nuova rendita negli atti catastali.

Come conoscere la rendita catastale dell’immobile per il calcolo IMU
Per conoscere il valore della rendita catastale di un immobile si può consultare l’atto di compravendita o richiedere la visura dell’immobile all’ufficio di competenza o sul sito web dell’Agenzia delle Entrate, avendo a disposizione i seguenti dati:

gli identificativi catastali (Comune, sezione, foglio, particella),
la provincia di ubicazione dell’immobile.

Fatture Intracomunitarie ed Estere

Quanto tempo per registrare fattura estera?

Entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricevimento della fattura estera di acquisto, per gli acquisti intracomunitari; entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, per gli acquisti extracomunitari.

Cosa fare se ricevo una fattura estera?

Emissione di autofattura e registrazione contabile
– Se il fornitore è stabilito in un altro Stato UE: si effettua sempre l’integrazione.
– Se il fornitore è stabilito in un Paese extra UE: si deve procedere con l’autofattura (art. 17, co. 2 del DPR n. 633/72).

Schermature solati con titolo e non e manufatti Detrazione

Le pergole bioclimatiche, oltre a circoscrivere un ambiente particolarmente confortevole per la permanenza all’esterno, possono anche costituire un sistema di schermatura solare qualora siano fissate alla parete ed a protezione di un serramento esterno vetrato tipo finestra.

In questo caso possono essere detratte in edilizia libera o con titolo abilitativo con il massimale di spesa previsto per le schermature solari.

Qual è l’importo detraibile come schermatura solare?

Per i lavori iniziati dopo il 15 aprile, con detrazione in Ecobonus, la spesa massima detraibile sarà quella riportata nella Tabella A del Decreto MITE per le schermature solari pari a € 276,00/m2.

Anche per la detrazione in Bonus Casa, quando è richiesta l’asseverazione, se la pergola viene detratta come schermatura solare, segue la medesima regola perché l’importo della tabella A è inferiore a quello riportato sul DEI per lo stesso manufatto.

Ci sono però dei casi nei quali le pergole bioclimatiche sono installate staccate dall’edificio, ad esempio in mezzo al giardino o su di una terrazza. In questi casi non possono essere equiparate ad una schermatura solare perché mancherebbe un requisito fondamentale che definisce questa categoria di prodotti, ovvero essere fissate in modo solidale all’involucro edilizio, alla parete esterna. Queste non possono essere detratte in Ecobonus perché non partecipano al miglioramento energetico dell’edificio.

Ma se la pergola bioclimatica è una nuova installazione ed è inserita nella relazione tecnica che accompagna un titolo edilizio (esempio Cila) può comunque essere considerata un intervento per il recupero del patrimonio edilizio e quindi essere detratta in Bonus Casa? Ed in questo caso con quale massimale? Oppure viene omologata ad un arredo esterno e quindi non può fruire di alcuna detrazione? Per non sbagliare abbiamo fatto la domanda all’Agenzia delle Entrate ed abbiamo ottenuto una risposta che conferma la possibilità di applicare la detrazione Bonus Casa senza utilizzare i massimali della tabella A del MITE in quanto in questa situazione non sono considerabili schermature solari.

Quindi se il committente acquista una pergola bioclimatica che installa staccata dalla casa ed ha un titolo abilitativo:

se mette in detrazione la spesa in 10 anni può detrarre l’importo al 50% al prezzo di listino del fornitore, senza limiti unitari

se invece chiede lo sconto in fattura ed è richiesta l’asseverazione (praticamente sempre perché il prezzo del manufatto fornito con tutte le spese accessorie supera quasi sempre 10 mila euro) bisogna utilizzare i massimali del prezziario DEI dove i prezzi sono molto più alti che nell’allegato A

Come sapete però la detrazione con Bonus Casa è applicabile solo quando i manufatti sono compresi nella relazione tecnica che accompagna un titolo abilitativo tipo Cila o Scia. Ma la sola fornitura di una pergola bioclimatica richiede un titolo per manutenzione straordinaria?

Dobbiamo capire bene la questione relativa al titolo abilitativo ed all’aspetto urbanistico.

Come prima cosa vediamo cosa dice il Glossario Edilizia Libera che indica quali sono gli interventi che non richiedono un titolo edilizio. Seconda questo glossario la sola installazione della pergotenda è un intervento in edilizia libera ovvero manutenzione ordinaria e quindi niente detrazione Bonus Casa. I comuni però possono recepire il glossario dell’edilizia libera in modo più restrittivo e quindi potrebbero richiedere un titolo abilitativo per questo intervento.

Quindi, dopo che è stata richiesta al comune di appartenenza l’interpretazione della legge abbiamo due strade:

nel caso per il comune serva un titolo abilitativo chiederemo ad un tecnico di presentarlo

nel caso in cui per il comune non serva un titolo abilitativo basterà chiedere ad un tecnico (architetto, geometra, ingegnere) un parere se possibile un intervento che richiede un titolo abilitativo (es. sostituzione porte interne con allargamento della luce) ed inseriamo nella relazione tecnica anche l’installazione della pergola. Naturalmente è necessario il parere di un tecnico, attenzione all’abuso del diritto.

E se riusciamo ad inserire la pergola bioclimatica in un titolo abilitativo quali sono i massimali detraibili? Quali sono i massimali di spesa detraibili riportati sul prezziario DEI edizione primo semestre 2022?

I prezzi tengono conto di due variabili: le dimensioni espresse come larghezza e profondità ed il tipo di copertura (telo retraibile in pvc; lamelle orientabili integrate; lamelle retraibili integrate).

Noi di Delta Porte abbiamo studiato la materia ed esaminato il listino DEI e vi assicuriamo che i massimali al metro quadro sono molto più alti di quelli presenti nell’allegato A.

Quindi, conviene al cliente fare inserire la pergola in un titolo? Facciamo un esempio e calcoliamo quale sarebbe la spesa massima detraibile per la pergola con la detrazione Ecobonus e con la detrazione Bonus Casa.

Premessa. Quando si tratta di una fornitura e posa di pergola bioclimatica ci si deve domandare se c’è o meno un titolo abilitativo e conseguentemente se la detrazione ammissibile sarà in Ecobonus o Bonus Casa.

Se non c’è titolo abilitativo l’unica detrazione possibile sarà Ecobonus con la condizione obbligatoria che la pergola sia fissata alla parete esterna, vada a protezione di un serramento vetrato ed abbia l’esposizione da Est a Ovest passando per il Sud. In questo caso la spesa massima ammissibile sarà quella riportata nella tabella A (per gli interventi iniziati dopo il 15 aprile 2022) pari a 276,00 €/mq2 a cui aggiungere la manodopera per le spese professionali, il carico/scarico del materiale, il tiro al piano eventuale, la posa e la pulizia finale.

Se c’è un titolo abilitativo nel quale sia contemplata anche la pergola bioclimatica e questa sia staccata rispetto alla parete, se il cliente non vuole lo sconto in fattura si detrarrà tutta la fattura al 50% in Bonus Casa senza limiti di spesa; se invece vuole lo sconto in fattura si prenderà a riferimento la voce del prezziario DEI più simile al manufatto realmente fornito.

Per quest’ultimo caso facciamo un esempio pratico:

Fornitura e posa in opera di una pergotenda bioclimatica a lamelle orientabili integrate.

Dimensioni: larghezza 3 metri e profondità 2 metri con superficie totale di 6 metri quadri.

Esposizione Ovest.

Intervento iniziato dopo il 15 aprile 2022.

Prima ipotesi: c’è un titolo abilitativo quindi è ammessa la detrazione in Bonus Casa, la pergola è staccata dalla parete (quindi non è una schermatura solare), il cliente vuole lo sconto in fattura quindi l’asseveratore applicherà il massimale di spesa individuato sul prezziario DEI della seguente categoria: “pergola bioclimatica in alluminio, modulabile autoportante, addossata alla parte o a sbalzo, copertura mobile in alluminio con lamelle orientabili integrate, fornita e posta in opera, completa di motore per la movimentazione delle lamelle, sistema di deflusso acque e radiocomando, incluso trasporto escluso il tiro ai piani ed eventuali assistenze murarie” codice DEI C55004 larghezza da 3 m. a 3,5 m. profondità da 1,5 m. a 2 m. € 1.100,01/mq.

Calcolo spesa massima detraibile per la pergola in Bonus Casa: € 1.100,01 x 6 mq = € 6.600,06. Questa spesa massima detraibile comprende la posa.

Seconda ipotesi: non c’è titolo abilitativo, la pergola è fissata alla parete e possiede le altre condizioni per fruire dell’Ecobonus e quindi l’unica detrazione possibile è in Ecobonus con massimale di spesa individuato sulla tabella A del decreto MITE: “installazione di sistemi di schermatura solare o ombreggiamenti mobili comprensivi di eventuali meccanismi automatici di regolazione” € 276,00/mq.

Calcolo spesa massima detraibile per il manufatto: € 276,00 x 6 mq = € 1.656,00.

Questa spesa massima detraibile non comprende però la posa che quindi va asseverata a parte utilizzando la spesa massima per la manodopera che il nostro asseveratore ha quantificato in questo modo: “manodopera per il fissaggio e la regolazione del telo retraibile o delle lamelle orientabili (esclusa la connessione elettrica) di pergole bioclimatiche calcolata con il costo orario edile specializzato cod. DEI M01002 b al prezzo di € 37,61/ora”: 1,5 ore x 2 uomini x ciascun metro quadro di superficie ombreggiante totale x € 37,61/ora = € 676,98.

Calcolo della spesa massima detraibile per la fornitura e posa della pergola bioclimatica in Ecobonus: € 1.656,00 + € 676,98 = € 2.322,68.

Rispetto alla spesa massima detraibile per lo stesso manufatto in Bonus Casa che era di € 6.600,06 la detrazione per Ecobonus che è di € 2.332,62 è circa un terzo!

Le pergole bioclimatiche possono essere detratte in Ecobonus quando hanno le caratteristiche delle schermature solari ma i massimali detraibili sono molto bassi!

Se invece sono inserite in un titolo abilitativo si può applicare la detrazione Bonus Casa dove i massimali detraibili sono molto più alti.

In questo caso ci sono due possibilità: se il cliente se la mette in detrazione in 10 anni può detrarre al 50% l’intera spesa senza limite unitario; se invece il cliente vuole lo sconto in fattura e la pergola è staccata dalla parete l’asseveratore userà i massimali del DEI che sono molto più alti.

Ma, anche quando la pergola bioclimatica andrebbe attaccata alla parete davanti ad una superficie vetrata, se c’è un titolo abilitativo, invece di farla passare per una schermatura solare, conviene staccarla di 2 cm. e detrarla come riqualificazione edilizia utilizzando i massimali DEI. In questo caso dovremmo aggiungere 2 gambe in più, la detraggo in qualsiasi esposizione, risparmio il costo della pratica Enea perché non è più una schermatura solare e la spesa detraibile è molto più alta. Certo, bisognerà pagare il costo del titolo edilizio che non era necessario nel caso di schermatura solare.