Rimanenze distruzione – appunti

Se anche tu sei titolare di un’attività commerciale che comporta una gestione del magazzino, piccolo o grande che sia, oppure sei un artigiano o un professionista, ogni anno ti ritrovi a fare l’inventario di una mole di prodotti il cui ammontare molto spesso non coincide con gli importi risultanti dalle scritture contabili, cioè dall’inventario contabile.

Questo significa che anno dopo anno, una scorretta gestione del magazzino comporterà un disallineamento tra l’inventario fisico e quello contabile, e dal quale risulteranno ammanchi di merce che dovrai poi giustificare.

Facciamo due ipotesi:

1. Quando le giacenze fisiche di magazzino sono superiori a quelle contabili: allora si potrebbe configurare una situazione di acquisto di merce in nero che pur non essendo state contabilizzate si trovano nei locali in cui si svolge l’attività.

2. Quando le giacenze risultanti dalla contabilità sono maggiori di quelle fisiche: allora ci si potrebbe trovare di fronte ad una situazione di cessione di merci in nero con conseguente evasione dell’IVA e alterazione della base imponibile delle altre imposte dirette (Irpef, Irap, Ires).

In entrambi i casi, in seguito alle verifiche fiscali condotte dall’Amministrazione Finanziaria, ti troverai nella spiacevole posizione di dover dimostrare le discrepanze contestate. Si manifesta dunque il classico esempio di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, nel senso che spetta proprio al contribuente dover dimostrare che le merci esistenti in misura maggiore o minore detenute presso il proprio magazzino sono:

– state utilizzate per la produzione;
– andate perse o distrutte;
– utilizzate per l’autoconsumo;
– depositate presso propri agenti o rappresentanti;
– cedute a terzi;
– devolute in beneficenza.

Il tutto va comunque giustificato con gli opportuni documenti, quali ricevute, fatture, autofatture, contratti, documenti di trasporto, verbali, autocertificazioni, ecc.

Vediamo di seguito quali sono le tecniche che è possibile adottare per mantenere nel tempo il giusto valore del magazzino.

Attenzione: le stesse procedure che analizzeremo valgono anche per i beni strumentali, quali attrezzature, fabbricati, impianti, macchinari, e tutti quei beni necessari all’impresa e senza dei quali l’imprenditore non potrebbe svolgere la sua attività.


Cosa fare nel caso di merci obsolete o invendibili?

Una delle situazioni delicate che spesso il titolare di un’azienda deve affrontare, e che potrebbe comportare non pochi problemi in sede di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, accade quando ci si trova a dover ridurre il valore delle rimanenze di magazzino al verificarsi di particolari situazioni che permetterebbero di non pagare l’IVA o altre imposte dirette per merci in eccesso o addirittura inferiori rispetto a quelle documentate, che altrimenti falserebbero la reale situazione contabile.

Le principali disposizioni che consentono di dismettere le merci invendibili e la necessaria riduzione del valore complessivo del magazzino permettono:

1. per i beni obsoleti fuori commercio, la cessione a titolo gratuito a favore di enti non commerciali, quali Onlus e associazioni riconosciute;
2. per le merci invendibili, la distruzione volontaria;
3. per i beni soggetti a furti, avaria, calamità naturali o ammanchi per eventi fortuiti, l’attestazione del loro venir meno.

CESSIONE GRATUITA DEI BENI OBSOLETI FUORI COMMERCIO

Come per tutte le attività imprenditoriali, può capitare di ritrovarsi in magazzino merce ancora invenduta che nel corso degli anni può diventare obsoleta, fuori moda e quindi non più commercializzabile, costringendo così il titolare, ove possibile, ad operare una svendita al di sotto del prezzo di mercato, se non del costo di acquisto o di produzione.

In tutto ciò l’IVA va comunque pagata, insieme alle altre imposte dirette.

Arrivati a questo punto, per ovviare a questo “fastidioso” adempimento amministrativo del pagamento dell’imposta, un’alternativa potrebbe essere quella di cedere gratuitamente i beni non più vendibili perché fuori commercio a delle associazioni riconosciute oppure a delle Onlus che per definizione non svolgono attività lucrative, rinunciando però a quella piccola parte di guadagno derivante dall’eventuale vendita a prezzi molto contenuti.


A chi va fatta la cessione della merce obsoleta?

Per questa tipologia di merci obsolete, difettose, comunque invendibili, secondo l’articolo 10 comma 12 del DPR 633/1972sono considerate esenti da IVA quelle operazioni effettuate a titolo gratuito a favore di enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio, ricerca scientifica e alle Onlus.


Come fare la cessione della merce obsoleta?

La cessione della merce in questione, per essere considerata esente da IVA deve essere effettuata:

– a titolo gratuito;
– a favore di enti non commerciali che ottengono un vantaggio dalla donazione e che non devono dare alcun corrispettivo.


Qual è la procedura per considerare la cessione esente da IVA?

La procedura che bisogna seguire per far sì che questi beni siano ceduti senza IVA, in totale esenzione dall’applicazione dell’imposta, superando la “presunzione di cessione”, è la seguente:

Per i beni non deperibili:

– comunicare all’Agenzia delle Entrate, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata, il nominativo dell’ente beneficiario, la data, l’ora, il luogo in cui avverrà la cessione a titolo gratuito, o il luogo di destinazione finale di consegna, con l’indicazione del valore complessivo dei beni ceduti al costo storico;
– compilare il documento di trasporto di consegna come disposto dal DPR 472/1986;
– predisporre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da far sottoscrivere al legale rappresentante dell’ente beneficiario, che attesta di aver effettivamente ricevuto i beni ceduti, con l’indicazione della quantità e della qualità degli stessi.

Per i beni deperibili:

per i prodotti deperibili come quelli alimentari, scaduti o prossimi alla scadenza e non più commercializzabili, ai sensi dell’articolo 6 della Legge 133/1999si considerano distrutti ai fini IVA quando ceduti a titolo gratuito agli stessi enti non commerciali o alle Onlus.

DISTRUZIONE VOLONTARIA O TRASFORMAZIONE DI MERCI NON COMMERCIALIZZABILI

L’adeguamento del valore delle rimanenze di magazzino (o dei beni strumentali) all’effettivo stato in cui si trovano, con la loro legittima riduzione, si può ottenere anche attraverso la distruzione volontaria ad opera dell’imprenditore o trasformazione in altri beni.

Attenzione: sottolineo volontaria perché questa procedura può essere adottata solo quando a realizzarla è la libera iniziativa dell’imprenditore, e non quando si verificano i normali scarti, cali o eventi esterni alla volontà dell’imprenditore.


Come avviene la distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza?

La distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza può essere provata nei seguenti modi:

Per i beni il cui costo storico è uguale o superiore a 10.000 €:

– tramite la presenza dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza durante le operazioni di distruzione o trasformazione della merce;
– occorre comunicare ai funzionari di cui sopra almeno 5 giorni prima le operazioni di distruzione o trasformazione, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata. La comunicazione deve contenere la data, l’ora, il luogo dove avverrà l’operazione, la modalità di distruzione o trasformazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci;
– oppure far redigere un verbale da parte di un funzionario pubblico, di un ufficiale della Guardia di Finanza o di un notaio.

Attenzione: si consiglia di non aspettare gli ultimi giorni per fare la comunicazione preventiva, ma attivarsi in tempo utile per evitare le lungaggini burocratiche e i ritardi dovuti agli uffici.


Per i beni il cui costo storico è inferiore a 10.000 €:

la comunicazione preventiva non è obbligatoria, ma è necessario comunque redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui si attestano i dati delle merci distrutte o trasformate con le indicazioni sopra descritte.

In alternativa alla distruzione diretta, è possibile procedere alla distruzione indiretta, consegnando le merci a un soggetto autorizzato secondo le norme previste in tema di smaltimento rifiuti.

RIDUZIONE DELLE RIMANENZE PER EVENTI CALAMITOSI, FURTI, AVARIA O ALTRI EVENTI FORTUITI

In presenza di eventi calamitosi, terremoti, allagamenti, furti, distruzione non volontaria delle merci o altre circostanze che non dipendono chiaramente dalla volontà dell’imprenditore, occorre provare quanto accaduto mediante:

– la documentazione redatta da funzionari pubblici;
– la dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta entro 30 giorni dall’evento che ha causato la perdita dei beni e presentata alle autorità competenti.

Nella dichiarazione sostitutiva deve essere indicato il valore complessivo dei beni, i criteri adottati per la sua determinazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci.


Che fine fanno i documenti prodotti per denunciare le procedure adottate?

Tutti i documenti prodotti devono essere consegnati al Commercialista affinché possa contabilizzarli e giustificare così l’avvenuta cessione a titolo gratuito, oppure la distruzione o trasformazione volontaria, oppure ancora la perdita dei beni per eventi esterni e calamitosi.

La prova documentale consente dunque di cancellare il valore di beni che non esistono più in azienda a seguito delle procedure adottate, tenerne conto ai fini della dichiarazione dei redditi e degli studi di settore, non considerarli come vendita produttiva di ricavi e imponibili ai fini IVA.


Cosa accade se non applico le procedure descritte?

Se in sede di controlli fiscali non si dovessero rinvenire quelle merci, la mancata applicazione delle procedure di cui sopra comporterà sicuramente la presunzione che le stesse sono state cedute in disapplicazione della legge, quindi evadendo le imposte, con la conseguente rideterminazione del reddito imponibile, nonché l’applicazione delle relative sanzioni per l’evasione dell’IVA e delle altre imposte dirette. A meno che il contribuente non riesca a dimostrare in modo inequivocabile il motivo della loro assenza dall’azienda.

Distacco ed IVA, fuori

La Corte di Giustizia della UE sentenzia la non conformità della norma nazionale alla direttiva UE, in tema di rimborso del solo costo nel caso di prestito o distacco di personale dipendente: anche il mero rimborso deve essere assoggettato all’imposta.

Molte nel tempo le incertezze sull’applicabilità o meno, dell’I.V.A. delle somme rimborsate dal soggetto distaccatario al soggetto distaccante.

Inizialmente, nell’ipotesi che le somme rimborsate fossero esattamente commisurate al costo del lavoro, comprensivo di retribuzione e degli oneri previdenziali e assistenziali, indipendentemente dal fatto che il prestito di personale avvenisse tra entità collegate, o meno, il Min. delle Finanze aveva escluso tali operazioni dall’applicazione dell’imposta.

Invece, nel caso in cui la somma rimborsata fosse superiore al costo, l’intero importo doveva essere assoggettato all’imposta, così come se dal contratto emergeva che la volontà delle parti è quella di fornire e ricevere una prestazione.

Mutando il proprio orientamento il Ministero affermò che anche nel caso di puro e semplice rimborso del costo l’operazione doveva essere assoggettata ad I.V.A.

Il legislatore, intervenendo in materia, statuiva, con l’art. 8, co. 35 della L. 11/3/88, n. 67, che non sono da intendere rilevanti agli effetti I.V.A. i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo.

La Corte di Cassazione, con successive sentenze, mentre con una riconfermava la non rilevanza del solo rimborso dell’esatto ammontare del costo, con altre disponeva l’assoggettamento all’imposta della sola maggiorazione.

Infine, a seguito del pronunciamento della Cassazione a Sezioni Unite, è stata esclusa la rilevanza ai fini I.V.A. nelle sole fattispecie contrattuali che prevedono a carico del distaccatario il rimborso corrispondente alle retribuzioni e agli oneri previdenziali del personale prestato, gravanti per legge sul soggetto distaccante.

Su questa alternanza di norme, sentenze e prassi è calata la Sentenza 11/3/20, causa C-94/19, pronunciata dalla Corte di Giustizia UE, su un procedimento pregiudiziale promosso dalla Corte di Cassazione italiana, in relazione ad una controversia tra un contribuente e l’Agenzia delle Entrate, in tema di diritto alla detrazione dell’I.V.A. applicata sul puro costo del personale rimborsato al distaccante.

I giudici comunitari, nella citata sentenza, hanno affermato il principio secondo cui (sesta direttiva I.V.A. n. 388/77 e direttiva di rifusione 2006/112/CE – 2006) le prestazioni di servizi devono considerarsi effettuate “a titolo oneroso”, quindi imponibili, ogni qualvolta nel rapporto tra le parti sia ravvisabile una relazione giuridica basata sullo scambio di reciproche prestazioni, nelle quali si ravvisi un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto.

Inoltre, la Corte ha riconfermato il principio generale secondo il quale l’art. 2 della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini I.V.A. i prestiti e distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla distaccataria da un lato e tali presti o distacchi dall’altro, si condizionino reciprocamente.

Le Sentenze della Corte di Giustizia costituiscono “interpretazione autentica” della norma di riferimento e si applicano in ogni Stato membro fin dalla introduzione della disposizione cui si riferiscono.

Alla luce della citata sentenza, che in pratica dichiara contraria alla normativa UE quanto prevede la norma nazionale in tema di prestito/distacco di personale dipendente, regolato con il solo rimborso del costo (art. 8 della L. 67/88), è auspicabile “un intervento normativo del nostro legislatore che valuti con molta attenzione se, e in che termini, adeguarsi alla sentenza – Assonime Circ. n. 8 del 19/05/20”.

Imposte anticipate e differita

Utilizza il modulo Imposta anticipate e differite, in EXPERTUP:

a) compila tutte le voci che possono determinare un disallineamento tra la norma fiscale e civilistica e tra la norma IRES ed IRAP (es. compenso amministratore per cassa non deducibile ai fini IRAP, (?anche per il 2022? da vedere),

b) rilevare la perdita fiscale da Modulo SC e riportarlo nell’apposito rigo del modulo Imposte anticipate e differite relativo all’IRES ed IRAP (attenzione al disallineamento tra imponibili)!

c) Riporta le scritture in contabilità, attenzione devi aver rilevato le imposte di competenza prima di tutto

CCNL – indicazione in fattura

I contratti collettivi nazionali con le citate caratteristiche riferiti al settore edile sono identificati con i seguenti codici assegnali dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del lavoro che si riportano di seguito, e che hanno sostituito i codici in precedenza utilizzati dall’INPS:

F012CCNL per i lavoratori dipendenti delle imprese edili ed affini e delle CooperativeANCE
CONFCOOPERATIVE Lavoro e Servizi
AGCI Produzione e Lavoro
FENEAL UIL
FILCA CISL
FILLEA CGIL
F015CCNL per i lavoratori dipendenti delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese industriali dell’edilizia e affiniANAEPA CONFARTIGIANATO EDILIZIA
CNA COSTRUZIONI
FIAE CASARTIGIANI
CLAAI EDILIZIA
FENEAL UIL
FILCA CISL
FILLEA CGIL
F018CCNL per gli addetti alle piccole e medie industrie edili ed affini aderenti a CONFAPI ANIEMCONFAPI ANIEMFENEAL UIL
FILCA CISL
FILLEA CGIL

Intervento di recupero della facciata esterna del condominio Le Mimose sito in Varese Via delle Viole. 
Opere di tinteggiatura facciate esterne e gronde in legno

Ai fini prescritti dall’art. 1, c. 43bis L. 234/2021 si attesta che il CCNL applicato nell’esecuzione dei lavori è il seguente: CCNL per i lavoratori dipendenti delle imprese edili ed affini e delle Cooperative ANCE F012

Recupero ritenuta d’acconto in regime forfettario. Ecco come fare. RS40 LM41 od UNICO RN33 EDILIZIA

Il regime forfettario non ha la ritenuta d’acconto.

Dove indicare le ritenute subite da forfettario?

Recuperare in dichiarazione le ritenute subite  Dovrai indicare il valore delle ritenute al rigo RS 40 (SE FORFETTARIO) del Modello Redditi e riportarlo poi per lo scomputo al rigo RN 33, colonna 4 e/o nel rigo LM41.

Ricordiamo che il regime forfettario non è assoggettato alla ritenuta d’acconto da parte del committente/sostituto d’imposta. Il contribuente rilascia al committente stesso un’apposita dichiarazione in cui gli comunica che opera appunto in regime forfettario e che il compenso che gli verrà erogato non deve essere soggetto alla ritenuta d’acconto.

La fattura deve essere sempre fatta senza ritenuta d’acconto. La dicitura di legge apparirà in automatico con le fatture emesse con . In alternativa va precisata in fattura la dicitura.

Operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, commi da 54 a 89 della Legge n. 190/2014 – Regime forfettario – come modificato dall’art. 1 comma 9 della Legge 145/2018 e, pertanto, non è soggetto ad IVA e a ritenute d’acconto

Ritenute erroneamente subite

Tuttavia potrebbe capitare che, nonostante la dichiarazione rilasciata, il committente applichi comunque la ritenuta d’acconto. Ciò può essere ad esempio il caso della ritenuta dell’8% operata dalla banca/posta sui bonifici che l’impresa (operante in regime forfettario) riceve per gli interventi di ristrutturazione o riqualificazione energetica eseguiti a favore di terzi soggetti.

• se il committente che ha diritto alla detrazione è una persona fisica non titolare di partita IVA, non si verifica alcun problema

• se il committente che esegue i lavori e ha diritto alla detrazione ed è soggetto titolare di partita IVA, l’impresa esecutrice di lavori applicherà la ritenuta o non applicherà la ritenuta in fattura a seconda che operi in regime ordinario (applicherà la ritenuta) o in forfettario.

Il problema si pone con la banca o il conto in posta in cui l’impresa che ha eseguito i lavori ha il conto. La normativa vigente infatti prevede che al momento del pagamento del bonifico, le banche e Poste Italiane Spa deebbano operare una ritenuta a titolo di acconto dell’imposta pari all’8%.

Se l’impresa esecutrice dei lavori opera in regime forfettario deve rilasciare alla banca/posta l’apposita dichiarazione in cui gli chiede di non applicare la ritenuta (senza emettere alcuna fattura alla banca). Nonostante ciò potrebbe accadere che l’istituto comunque operi la ritenuta.

Recupero ritenuta d’acconto regime dei minimi o forfettari

Il recupero delle ritenute subite avviene in Dichiarazione dei Redditi. Dovrai indicare nell’apposito campo in TaxMan l’importo totale e allegare la certificazione della banca/posta delle ritenute operate.

In particolare, l’impresa sarà interessata dalla compilazione del rigo RS40 e del rigo LM41.

In sintesi:

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Di seguito sono proposti alcuni esempi di compilazione del modello Redditi 2018 per il recupero della ritenuta subita.

Esempio 1: Ritenute applicate dalla Banca/Posta per bonifici relativi alle agevolazioni per il risparmio energetico/ristrutturazione edilizia.

Un contribuente che adotta il regime di vantaggio dei contribuenti minimi effettua nel 2017 una prestazione per una ristrutturazione edilizia.

La Banca, all’atto del pagamento del bonifico applica la ritenuta (prevista attualmente nella misura dell’8%) per le agevolazioni relative al recupero edilizio.

La Banca rilascia al contribuente la certificazione attestante l’ammontare delle ritenute effettuate nel corso del 2017, pari a 200,00 euro.

In sede di dichiarazione, nel Modello Redditi 2018, il contribuente indicherà l’importo totale delle ritenute subite afferenti il regime dei minimi, al rigo:

  • RS 40 di “Redditi 2018-PF”, denominato “Ritenute regime di vantaggio e regime forfetario – Casi particolari”;
  • LM41 “Ritenute consorzio”, l’importo delle ritenute subite ai fini dello scomputo dall’imposta sostitutiva.

Qualora la ditta esecutrice dei lavori ad esempio fosse titolare anche di altri redditi (si pensi ad esempio all’impiantista proprietario di vari appartamenti che sono in affitto), anziché scomputare le ritenute erroneamente subite direttamente dall’imposta sostitutiva (indicandolo, come visto in RS40 e poi LM41), potrebbe decidere di scomputarle dall’IRPEF dovuta (in tal caso le indicherà al rigo RS40 e al rigo RN33 in luogo del rigo LM41). Qualora, invece, non si dovesse procedere al recupero in sede di Modello Unico, è possibile percorrere la strada dell’istanza di rimborso da presentare all’Agenzia delle Entrate nelle modalità ordinarie. 

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