TCG per cassa
Negli ultimi mesi le aziende stanno ricevendo numerosi atti di recupero relativi a carenti od omessi versamenti dei diritti camerali di annualità passate. Supponendo che tali richieste siano legittime, si pone il problema di valutarne la deducibilità ai fini fiscali, ragionando sia in termini di criterio applicabile (cassa o competenza), sia in termini di certezza e di determinabilità oggettiva dell’ammontare.
Le due questioni sono ovviamente tra loro antitetiche, nel senso che, ove si reputi che tali diritti siano deducibili per cassa, appare del tutto irrilevante l’analisi sulla certezza e sulla oggettiva determinabilità.
L’articolo 99 del TUIR disciplina le regole di deduzione applicabili agli oneri fiscali e contributivi e, al secondo periodo del comma 1 prevede che le altre imposte [cioè quelle diverse dalle imposte sui redditi e dal quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa] sono deducibili nell’esercizio in cui avviene il pagamento. La dottrina tradizionale definisce:
- l’imposta come un prelievo connesso alla esistenza di una capacità contributiva,
- mentre la tassa come un prelievo tributario ritenuto necessario a fronte di una prestazione resa da una pubblica amministrazione.
Il tenore letterale della norma è riferito esclusivamente alle imposte, ma è ormai opinione comune che sia più corretto riferire il termine utilizzato alla più ampia categoria dei tributi.
Pertanto, sempre secondo le più diffuse elaborazioni della dottrina, divengono deducibili per cassa tutti i tributi per i quali si porrebbe concretamente un problema di riferibilità a periodo, in quanto non direttamente imputabili a beni e servizi o non autonomamente “correlabili” a ricavi. Così, ad esempio, l’imposta di registro sui canoni di locazione, pagata in via anticipata per l’intera durata contrattuale, andrebbe dedotta per cassa (in quanto non riferibile direttamente ad alcun ricavo), così come la tassa di concessione governativa per la vidimazione dei libri sociali.
Diversamente, seguirebbero:
- il principio di competenza le imposte di bollo o sostitutive sui finanziamenti sopportate dagli enti creditizi, in quanto riaddebitate alla controparte (quindi correlate ai ricavi),
- piuttosto che le imposte di fabbricazione sui prodotti per le compagnie petrolifere,
- le imposte di consumo ed i diritti doganali (considerati quali onere accessori di diretta imputazione al costo dei beni)
- o le imposte d’atto qualora “cumulabili” con il costo di acquisto dei beni.
Ad esempio, dunque, ove si corrisponda imposta di registro per l’acquisto di un immobile strumentale, il tributo viene capitalizzato sul costo del bene e la deduzione dello stesso avviene sotto forma di quote di ammortamento.
Fatte queste considerazioni generali, proviamo ad analizzare il caso del diritto camerale, affermando, innanzitutto, che il medesimo non possa essere ritenuto quale remunerazione diretta di un servizio, posto che il pagamento risulta dovuto anche in caso di completa assenza di qualsivoglia prestazione a favore del soggetto.
Se si condivide tale inquadramento, si può svolgere un ulteriore passo nel ragionamento per riscontrare l’assoluta indipendenza della voce rispetto ai ricavi prodotti dal soggetto, con la conseguente impossibilità di individuare qualsiasi collegamento con i ricavi prodotti. Quindi, non resterebbe che la soluzione “residuale” di utilizzare il criterio di deduzione per cassa.
Se, viceversa, si volesse attribuire al diritto camerale la funzione di remunerazione di un ipotetico servizio (tesi che a noi pare assai problematica), si dovrebbe privilegiare la deduzione per competenza. Ne deriverebbe, pertanto, la indeducibilità dei pagamenti avvenuti in esercizi diversi rispetto a quello di riferimento, poiché l’effettivo importo poteva essere tranquillamente determinato dal soggetto, secondo le prescrizioni legislative vigenti.
Nell’una e nell’altra ipotesi, invece, resterebbero non deducibili (nell’ottica ormai consolidata della amministrazione finanziaria) le eventuali sanzioni addebitate per il ritardo.