La prassi è ormai consolidata nell’ammettere l’accertamento con adesione (lo stesso vale per la conciliazione giudiziale) onde effettuare una sorta di “compensazione” tra imposte laddove la contestazione riguardi l’errata imputazione a periodo delle componenti reddituali.
Il caso classico è il disconoscimento del costo per deduzione nell’anno non di competenza, contestazione dalla quale sorge il diritto al riconoscimento delle maggiori imposte pagate per effetto della mancata deduzione di quello stesso costo nell’anno corretto (circ. Agenzia delle Entrate 4 maggio 2010 n. 23). Lo stesso, ovviamente, vale per i componenti positivi di reddito (circ. Agenzia delle Entrate 20 settembre 2012 n. 35, § 1.4), e, in generale, per tutte quelle contestazioni dalle quali scaturisce una doppia imposizione (si pensi al disconoscimento delle quote di ammortamento, o alla deduzione degli accantonamenti e così via).
Il principio, di recente, è stato ritenuto operante per la dichiarazione di una sopravvenienza connessa a un precedente recupero del costo per mancanza di certezza (Cass. 14 giugno 2023 n. 17068).
Sintetizzando, se il contribuente viene raggiunto da un accertamento sull’anno X per deduzione del costo in violazione della competenza, si può stipulare un atto di adesione in cui il recupero viene neutralizzato in ragione del riconoscimento delle maggiori imposte pagate, a seconda dei casi, in anni successivi o antecedenti a quello accertato.
Vale la pena ricordare che in questo caso la riduzione delle sanzioni a 1/3 del minimo ex art. 2 comma 5 del DLgs. 218/1997 non avviene sul 90%, ma, a seconda dei casi e ai sensi dell’art. 1 comma 4 del DLgs. 471/97:
– sul 60% del minimo, in quanto la violazione base se si tratta di errata imputazione a periodo, è quella del 90% ridotta di un terzo;
– su 250 euro, quando la violazione non ha causato nessun danno all’Erario.
Poi, se il tutto origina da una violazione della sola legge fiscale (la classica variazione in aumento non effettuata) e sono stati osservati i corretti principi contabili, la violazione non sarebbe proprio punibile ai sensi dell’art. 6 comma 1 del DLgs. 472/97, ma si tratta di una causa di non punibilità completamente posta nell’oblio dagli uffici finanziari (nonostante il chiarissimo dettato contrario della C.M. 180/1998, sub art. 6).
Secondo la giurisprudenza di legittimità, una siffatta “compensazione” può avvenire solo su accordo con l’Agenzia delle Entrate e non può essere disposta dal giudice (Cass. 23 aprile 2020 n. 8068).
La menzionata “compensazione” deve poter avvenire quand’anche l’anno in cui le imposte siano state pagate in eccesso sia ormai decaduto, per un motivo tanto semplice quanto intuitivo: non si sta accertando quell’anno ma si stanno riconoscendo imposte che comunque il contribuente potrebbe chiedere a rimborso.
Supponiamo che l’Erario disconosca le quote di ammortamento sulla base del fatto che il bene non avrebbe dovuto essere capitalizzato e che, quindi, il costo avrebbe dovuto essere dedotto per intero nell’anno in cui è stata (impropriamente) dedotta la prima quota di ammortamento. In un caso del genere, l’anno in cui il costo avrebbe potuto essere dedotto ben può essere formalmente decaduto.
Dubbio se il giudice possa applicare la compensazione
Il rimborso, infatti, non è quello disciplinato dall’art. 38 del DPR 602/73 (con dies a quo ancorato al momento del pagamento, addirittura secondo l’opinione maggioritaria degli acconti e non del saldo) ma è quello dell’art. 21 del DLgs. 546/92 (con dies a quo ancorato al momento in cui la pretesa è definitiva). In questo senso si sono espresse la circ. Agenzia delle Entrate 4 maggio 2010 n. 23 e, per tutte, la pronuncia della Cassazione 22 febbraio 2022 n. 5696.
Anzi, secondo varie sentenze se si forma il giudicato sul recupero per violazione della competenza fiscale le imposte possono essere chieste entro la prescrizione decennale (Cass. 17 aprile 2023 n. 10126, Cass. 22 settembre 2022 n. 27818).
In ragione di quanto esposto, non ci sarebbe motivo di negare l’adesione adducendo una supposta “decadenza” dell’annualità interessata.
Così facendo, si costringerebbe il contribuente ad azionare la procedura di rimborso, in violazione con il principio di economia procedimentale.