Ai sensi dell’art. 119 comma 13-ter del DL 34/2020, gli interventi che consentono di beneficiare del c.d. superbonus “costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)”, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, esclusi quelli comportanti la demolizione e ricostruzione.
La formulazione letterale della norma potrebbe lasciare intendere che, alle opere edilizie per le quali è stata presentata la CILA e che costituirebbero “manutenzioni straordinarie”, si applichi il regime IVA previsto per le manutenzioni.
Seguendo questa tesi, peraltro, l’aliquota IVA potrebbe divergere rispetto a quella ordinariamente applicabile per opere che sarebbero, in via ordinaria, qualificabili come interventi di recupero o ristrutturazione edilizia ex art. 3 lett. c) e d) del DPR 380/2001 (laddove vi siano, ad esempio, lavori che coinvolgono le parti strutturali dell’edificio).
Le manutenzioni straordinarie su fabbricati che non siano a prevalente destinazione abitativa, difatti, richiedono l’applicazione dell’aliquota IVA ordinaria. Si pensi ai committenti che hanno la qualifica di ONLUS e, in particolare, alle RSA per le quali il superbonus beneficia dell’aliquota del 110% sino a fine 2025.
Per le manutenzioni su fabbricati abitativi, invece, l’aliquota del 10% sarebbe soggetta alla limitazione per i beni significativi, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99 (limite che non è previsto per gli interventi di recupero o ristrutturazione).
A livello sistematico, tuttavia, non pare condivisibile una posizione come quella sin qui descritta.
Le aliquote dovrebbero essere applicate secondo le norme ordinarie in materia di IVA e non essere condizionate dalla disposizione speciale recata dall’art. 119 comma 13-ter in esame, in quanto volta ad agevolare l’autorizzazione di inizio lavori richiedendo la CILA in luogo della SCIA anche per opere di maggiore entità.
La determinazione delle aliquote IVA, invece, rimarrebbe ancorata alla qualificazione degli interventi secondo il titolo edilizio, in base alle ordinarie definizioni del DPR 380/2001.
Pertanto, se le opere rientrano nell’ambito del restauro e risanamento conservativo (art. 3 lett. c) del DPR 380/2001) o della ristrutturazione edilizia (art. 3 lett. d) del DPR 380/2001), si applica l’aliquota del 10%, come ordinariamente previsto dal n. 127-quaterdecies) della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72.
Non consta che l’Agenzia delle Entrate si sia pronunciata in via ufficiale sul punto.
Tuttavia, a livello più generale (e prima della disposizione speciale in tema di CILA superbonus), l’Agenzia, esprimendosi in merito all’aliquota applicabile per la riqualificazione energetica, ha affermato che “per la corretta definizione degli interventi edilizi indicati dall’istante, occorre fare riferimento alla classificazione degli stessi ai sensi delle disposizioni dell’articolo 31, comma 1, della Legge 5 agosto 1978 n. 457”. Per questa ragione, “solo gli interventi di recupero rientranti nelle previsioni di cui alle lettere c), d) ed e) del sopra menzionato articolo 31 della legge n. 457 del 1978 (trasfuse nelle lettere c), d) ed f) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001), riguardanti, rispettivamente, il restauro e risanamento conservativo (cfr. lett. c); la ristrutturazione edilizia (cfr. lett. d) e la ristrutturazione urbanistica (cfr. lett. e), possono fruire dell’aliquota agevolata ai sensi del citato n. 127-quaterdecies” (risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 604/2020).
Reverse charge escluso verso il general contractor
Per gli interventi edilizi che sono resi nei confronti di un “general contractor”, oltre all’aliquota, si pone un ulteriore dubbio in merito all’applicabilità (o meno) del reverse charge, previsto in via generale per i subappalti a norma dell’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72.
A livello letterale, è infatti esclusa la soggezione al reverse charge per le “prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori”.
Non è pacifico ritenere disapplicata la disposizione anche in presenza di un contraente generale di un committente privato. Tuttavia, la formulazione letterale della norma parrebbe consentire di pervenire a questa conclusione, perché “un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori” è un’espressione definitoria che identifica in modo chiaro la fattispecie, senza comprimerla in alcun modo ai casi in cui il committente che affida la totalità dei lavori sia un soggetto pubblico. La ratio della disposizione sembrerebbe quella di assimilare il rapporto nei confronti del contraente generale (in quanto soggetto cui viene affidata la totalità dei lavori) a un rapporto di appalto diretto, piuttosto che a un subappalto.
Resta applicabile il reverse charge per gli interventi specificamente riconducibili a quelli individuati dall’art. 17 comma 6 lett. a-ter) del DPR 633/72 (prestazioni di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici), per i quali non rileva lo status “soggettivo” del destinatario.
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