Beni significativi

Ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b), L. 488/1999, godono dell’applicazione dell’aliquota Iva agevolata del 10% le prestazioni aventi ad oggetto interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria eseguite su edifici a prevalente destinazione abitativa privata.

L’agevolazione in oggetto è stata introdotta con decorrenza 1° gennaio 2000 ed è stata oggetto di ripetute proroghe, fino a quando l’articolo 2, comma 11, L. 191/2009 (Finanziaria per l’anno 2010), modificando l’articolo 1, comma 18, L. 244/2007(Finanziaria per l’anno 2008), ha reso permanente tale disposizione a partire dal 1° gennaio 2012.

Con la circolare 15/E/2018 l’Agenzia ha precisato che “la ratio di tale norma è quella di agevolare le prestazioni di servizi aventi ad oggetto la realizzazione di interventi di recupero a prescindere dalle modalità contrattuali utilizzate per realizzare tali interventi, vale a dire contratto di appalto ovvero fornitura di beni con posa in opera” e che “qualora nell’ambito degli interventi anzidetti (manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria) siano impiegati i beni costituenti una parte significativa del valore della prestazione, il bene significativo fornito nell’ambito della prestazione resta soggetto interamente all’aliquota nella misura del 10 per cento se il suo valore non supera la metà di quello dell’intera prestazione“.

Qualora, invece, il valore del bene significativo dovesse superare tale limite, l’aliquota nella misura del 10%si applica al bene solo fino a concorrenza della differenza tra il valore complessivo dell’interventodi recupero e quello dei beni significativi.

Sul valore residuo del bene significativo trova applicazione l’aliquota nella misura ordinaria del 22%.

L’elenco dei cosiddetti beni significativi è tassativo ed è contenuto nel D.M. 29.12.1999.

Con la L. 205/2017 (Legge di Bilancio per l’anno 2018), in tema di interventi edilizi (limitatamente alla manutenzione ordinaria e straordinaria), il legislatore ha previsto, con una norma di interpretazione autentica, che “la fattura emessa ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dal prestatore che realizza l’intervento di recupero agevolato deve indicare, oltre al servizio che costituisce l’oggetto della prestazione, anche i beni di valore significativo, individuati con il predetto decreto del Ministro delle finanze 29 dicembre 1999, che sono forniti nell’ambito dell’intervento stesso. […]”.

Tale distinta indicazione ha l’evidente finalità di consentire una puntuale verifica della corretta applicazione dell’aliquota agevolata: infatti, come osservato in precedenza, qualora il valore del bene significativo sia superiore alla metà del corrispettivopattuito per l’intero intervento, l’aliquota ridotta del 10% si applica solo al corrispettivo della prestazione aumentato della differenza tra il corrispettivo complessivo e il valore del bene significativo.

Con la già richiamata circolare 15/E/2018 l’Agenzia, confermando in buona parte le posizioni già espresse in passato con la circolare 71/E/2000, ha ricordato la necessità – al fine di poter cogliere l’agevolazione dell’aliquota ridotta – di indicare il prezzo del bene significativo nella fattura, anche nel caso in cui il relativo costo risulti essere inferiore rispetto al valore del servizio, con la conseguenza che tutto l’intervento viene assoggetto all’aliquota agevolata del 10%.

Vediamo alcuni esempi.


Esempio 

Un idraulico, nel contesto dei lavori di rifacimento dell’impianto del bagno, installa anche una nuova caldaia (bene significativo elencato nel D.M. 29.12.1999).

Il corrispettivo dell’intervento complessivo è pari a 1.000 e il prezzo della caldaia è pari a 600.

In tale caso l’aliquota agevolata risulta applicabile a 800, e cioè 400 come valore della prestazione e 400 quale parte del valore della caldaia che rientra nel limite del valore della prestazione stessa.

I restanti 200, quale parte del valore della caldaia che eccede il valore della prestazione, vanno invece assoggettati ad aliquota ordinaria del 22%.


Relativamente alle verifiche che l’Amministrazione finanziaria deve compiere in merito alla corretta applicazione dell’aliquota Iva ridotta sui predetti interventi di manutenzione, il citato documento di prassi ricorda che “per verificare la corretta determinazione della base imponibile cui applicare l’aliquota agevolata, i dati richiesti dalla norma di interpretazione autentica devono essere puntualmente indicati nella fattura anche qualora dal calcolo suddetto risulti che l’intero valore del bene significativo possa essere assoggettato ad Iva con applicazione dell’aliquota nella misura del 10 per cento (vale a dire anche qualora il valore del bene non sia superiore alla metà del valore dell’intervento agevolato).”


Esempio 

Riprendendo i dati dell’esempio precedente, ipotizziamo che in relazione ad un intervento complessivo di 1.000 il prezzo del bene significativo sia pari a 450; poiché il valore del bene significativo non supera la metà del corrispettivo complessivo (quindi la parte inerente la prestazione risulta essere preponderante), il prestatore dovrà emettere una fattura di 1.100 (ossia 1.000 + Iva 100).


Un altro interessante chiarimento fornito dalla circolare 15/E/2018riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della norma, ovvero per quali operazioni trova applicazione la predetta disciplina agevolata.

L’Agenzia, in particolare, ricorda che la nozione di beni significativiassume rilevanza solo nelle ipotesi in cui siano realizzati interventi di manutenzione ordinaria e di manutenzione straordinaria su immobili a prevalente destinazione abitativa privata, a condizione che i suddetti beni vengano forniti dallo stesso soggetto che esegue la prestazione. Pertanto:

  • beni forniti da un soggetto diverso rispetto al prestatore o acquistati direttamente dal committente dei lavori nell’ambito di una manutenzione ordinaria o straordinaria, sono soggetti ad Iva con applicazione dell’aliquota nella misura ordinaria;
  • beni finiti, ad esclusione delle materie prime e semilavorate, necessari per la realizzazione degli interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia (c.d. “interventi pesanti”), eseguiti su qualsiasi tipologia di immobile, sono soggetti ad Iva con applicazione dell’aliquota del 10% senza altre particolari condizioni. Tali beni sono quindi agevolati anche se acquistati direttamente dal committentedei lavori e a prescindere dalla circostanza che il valore del bene fornito sia prevalente rispetto a quello della prestazione di servizi.

Il problema delle parti “staccate” e il tema dell’autonomia funzionale

Un ultimo tema che si pone con riferimento all’impiego di beni significativi riguarda le cosiddette parti “staccate” dei predetti beni e che vengono fornite unitamente a questi nell’ambito di una prestazione di servizi avente ad oggetto un intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria.

Ci si è chiesti se dette parti assumono rilevanza autonoma e scontano l’Iva come gli altri beni oppure, costituendo una componente del bene significativo, vanno assoggettate al medesimo trattamento fiscale.

Su questo tema la norma di interpretazione autentica contenuta nella Legge di bilancio 2018stabilisce che le parti staccate dei beni significativi non sono comprese nel valore del bene significativo solo se connotate da autonomia funzionale rispetto al manufatto principale.

Sono quindi da considerarsi parti staccate autonome rispetto agli infissi, ad esempio, le tapparelle, gli scuri o le veneziane, nonché le zanzariere, le inferriate e le grate di sicurezza.

L’Agenzia delle entrate (circolare 15/E/2018) sul punto chiarisce che se l’intervento di manutenzioneagevolata ha per oggetto l’installazione/sostituzione della sola componente staccata di un bene significativo (già installato precedentemente), ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata non è necessario alcun apprezzamento in merito all’autonomia funzionale di detta componente rispetto al bene significativo; in tal caso, infatti, l’intervento non ha ad oggetto l’installazione del bene significativo, bensì la sostituzione/installazione di una sua parte staccata e trova applicazione l’aliquota del 10%.

Un esempio è rappresentato dalla sostituzione del bruciatore della caldaia già istallata: anche se il bruciatore non ha autonomia funzionale rispetto alla caldaia, nell’intervento non viene fornito alcun bene significativo e la disciplina in esame non può quindi trovare applicazione.

Fatture riaddebitate dal General Contractor e detraibilità Iva

Fatture riaddebitate dal General Contractor e detraibilità Iva
In caso di committente soggetto privato e di general contractor che provveda a riaddebitare le
fatture per le consulenze professionali. L’iva su tali fatture emesse dai professionisti al general
contractor è quindi indetraibile?
G. E.
È necessario verificare lo schema contrattuale che, di volta in volta, viene applicato. Sovente si
ricorre al mandato senza rappresentanza (come anche illustrato nella risposta all’istanza di
interpello n. 254/2021).
Nell’ambito del mandato senza rappresentanza, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lett. b)

D.P.R. 633/1972 la base imponibile delle prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari
senza rappresentanza è costituita “rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal
mandatario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal
mandatario, aumentato della provvigione”.
Ai fini Iva, dunque, vi è un doppio trasferimento del servizio, che comporta due distinte
prestazioni di servizi ai fini Iva.
Il professionista mandante emetterà fattura al general contractor mandatario, indicando il
prezzo delle prestazioni al netto dell’eventuale provvigione. Il general contractor,
successivamente, emetterà fattura al privato che ha richiesto l’intervento e che intende
beneficiare delle detrazioni edilizie.
Il general contractor potrà detrarre l’Iva sulla fattura ricevuta e dovrà versare l’Iva sugli
importi finali fatturati al committente: in altre parole, l’Iva che sarà dovuta dal mandatario
sarà soltanto quella sulla provvigione (ovvero sulla differenza tra le due prestazioni).
Si ricorda, tuttavia, che, nell’ambito del contratto di mandato senza rappresentanza, il
mandatario si limita a riaddebitare i costi: a diverse conclusioni, invece, si dovrebbe giungere
nel caso in cui vengano fornite prestazioni ulteriori o diverse (sul punto si richiama la
risoluzione 35/E/2001).

i sensi dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72, le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti “interni” tra il mandante e il mandatario senza rappresentanza.

Questa impostazione normativa sortisce una serie di importanti effetti ai fini dell’applicazione dell’IVA.

In primo luogo, il disposto dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72 determina un flusso di fatturazione, tra i tre soggetti che sono coinvolti nello schema contrattuale (mandante, mandatario senza rappresentanza e terzo), che implica:

  • un primo flusso di fatturazione (di addebito o di accredito) tra il mandatario senza rappresentanza e il terzo;
  • un secondo flusso di fatturazione (di riaddebito o di riaccredito) tra il mandatario senza rappresentanza e il mandante.

In secondo luogo, il disposto dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72 determina la “assimilazione sul piano oggettivo” dell’operazione “interna” di mero riaddebito o riaccredito tra mandatario senza rappresentanza e mandante alla natura oggettiva dell’operazione “esterna” che si perfeziona tra mandatario senza rappresentanza e terzo prestatore (nel mandato all’acquisto) o committente (nel mandato alla vendita).

Questa “assimilazione sul piano oggettivo” implica che l’operazione “interna” di riaddebito o riaccredito costituisce ai fini IVA una prestazione di servizi avente la medesima natura oggettiva della prestazione di servizi che intercorre tra mandatario senza rappresentanza e terzo, da cui consegue che il trattamento ai fini IVA del riaddebito o riaccredito deve essere il medesimo (in termini di regime IVA e, in caso di regime di imponibilità, di aliquota IVA applicabile) che trova applicazione sulla prestazione di servizi che intercorre tra mandatario senza rappresentanza e terzo27.

L’unica circostanza che può determinare una differenza di trattamento ai fini IVA dell’operazione di riaddebito o riaccredito, rispetto al trattamento ai fini IVA della prestazione di servizi “esterna”, è l’insorgenza di “differenze prettamente soggettive”.

Nel caso di mandato senza rappresentanza all’acquisto di prestazioni professionali, dunque, l’applicazione dell’IVA con l’aliquota ordinaria del 22% da parte del terzo prestatore nella sua fatturazione all’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza, si riflette in una applicazione dell’IVA con aliquota ordinaria del 22% da parte dell’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza nella sua fatturazione “di riaddebito” al committente-mandante.

Se però, sempre a titolo di esempio, il terzo prestatore è una partita IVA individuale che fattura le proprie prestazioni di servizi “oggettivamente” professionali non già in regime di imponibilità IVA con aliquota del 22%, bensì senza applicazione di IVA ex co. 58 lett. a) dell’art. 1 della L. 190/2014, in quanto “soggettivamente” rientrante nell’ambito di applicazione del c.d. “regime forfetario delle partite IVA individuali”, di cui all’art. 1 co. 54 e seguenti della L. 190/2014, il successivo riaddebito da parte dell’appaltatore generale  – mandatario senza rappresentanza, nei confronti del committente-mandante, deve comunque avvenire con applicazione dell’IVA in regime di imponibilità al 22%, perché, come evidenziato, l’assimilazione dell’operazione “interna” a quella “esterna” concerne esclusivamente la natura oggettiva dell’operazione, non anche i riflessi applicativi che discendono da condizioni prettamente soggettive del terzo e/o del mandatario senza rappresentanza28.

Giova sottolineare che, qualora l’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza applichi, sull’onere che ha sostenuto e che riaddebita, un ricarico a titolo di provvigione, quale compenso pattuito per la sua attività di mandatario, anche tale mark up risulta soggetto ad IVA con le stesse modalità previste in ragione della natura oggettiva della prestazione di servizi resa “a monte” dal terzo.

L’art. 13 co. 2 lett. b) del DPR 633/72 stabilisce infatti che, nel mandato senza rappresentanza all’acquisto, la base imponibile della fattura del mandatario al mandante è rappresentata dal corrispettivo applicato dal terzo per il servizio reso all’acquirente finale, aumentato della provvigione.

Da questo punto di vista, lo schema giuridico del mandato senza rappresentanza non impone necessariamente al mandatario di evidenziare separatamente in fattura la parte del corrispettivo complessivamente fatturato al mandante che corrisponde al puro riaddebito del corrispettivo applicato “a monte” dal terzo e la parte che corrisponde invece alla provvigione eventualmente applicata dal mandatario.

Ciò non di meno, laddove l’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza non si limiti al mero riaddebito dei corrispettivi applicati dai terzi (per la parte di prestazioni che non rientrano tra quelle oggetto di appalto, bensì tra quelle oggetto di mandato senza rappresentanza), l’esigenza di evidenziare separatamente in fattura la parte di mero riaddebito e la parte di provvigione, eventualmente applicata a titolo di compenso per l’attività di mandatario, discende dal diverso fronte disciplinare delle detrazioni “edilizie” fruibili dal committente, posto che, secondo quanto prospettato dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate, esse spetterebbero soltanto sulla parte di spese corrispondenti al mero riaddebito e non anche sulla parte di spese corrispondenti all’eventuale provvigione

Detrazioni edilizie, Il riaddebito degli oneri impliciti allo sconto in fattura deve essere trasparente! (bonus facciate)

Le imprese fornitrici che applicano lo sconto in fattura ex art. 121 del DL 34/2020 in relazione a spese agevolate con detrazioni “edilizie” diverse dal superbonus 110% devono riaddebitare al committente gli oneri finanziari impliciti dell’operazione (pari alla differenza tra il valore nominale dello sconto applicato in fattura e il valore attualizzato del credito di imposta che sorge a fronte dell’applicazione dello sconto), se non vogliono rimanerne incisi loro stessi.

Nel caso del superbonus 110%, il riaddebito non è necessario, né giustificato sul piano economico, perché, fatto 100 di sconto in fattura, l’impresa fornitrice matura un credito di imposta di 110, il cui valore attuale, che monetizza in caso di cessione a terzi, è all’incirca pari a 100, ossia al valore nominale dello sconto che ha riconosciuto in fattura al proprio committente.

Nel caso delle altre detrazioni “edilizie”, invece, il valore attuale del credito di imposta che il fornitore matura a fronte dello sconto applicato in fattura (e che il fornitore monetizza in caso di sua cessione a terzi acquirenti) è inferiore di circa il 10% o il 20% del valore nominale dello sconto concesso al committente, a seconda che si tratti di bonus con orizzonte temporale di recupero a 5 anni (sismabonus) o a 10 anni (IRPEF 50%, ecobonus, bonus facciate).

Sul piano pratico, taluni fornitori tendono a riaddebitare al committente questo 10% o 20% di minor valore attuale del credito di imposta, rispetto al valore nominale dello sconto applicato, senza evidenziarlo come tale ed agendo direttamente con un innalzamento del corrispettivo praticato.

Inutile dire che questa prassi, per quanto possa essere comoda, è totalmente errata, specie se, rimanendo comunque all’interno dei meccanismi di costo massimo specifico (ove applicabili) e di tetto massimo di spesa agevolata, la parte di corrispettivo incrementata a titolo di “riaddebito improprio” diviene essa stessa base per il calcolo della detrazione spettante e, quindi, dello sconto massimo applicabile.

Si ricorda, infatti, che tra le spese detraibili, ai sensi dell’art. 16-bis comma 2 del TUIR “sono comprese quelle di progettazione e per prestazioni professionali connesse all’esecuzione delle opere edilizie e alla messa a norma degli edifici ai sensi della legislazione vigente in materia” (la disposizione, seppur riguardi la detrazione IRPEF per interventi di recupero edilizio, è applicabile anche al sismabonus e all’ecobonus ai sensi della lett. f) dell’art. 5 comma 1 del DM 6 agosto 2020 “Requisiti”, ai sensi della quale rientrano tra le spese detraibili quelle per “prestazioni professionali necessarie alla realizzazione degli interventi” di efficienza energetica).

Proprio perché il riaddebito al committente degli oneri finanziari impliciti nell’operazione di sconto in fattura costituisce un comportamento del tutto logico sul piano economico, è facile prevedere che l’Agenzia delle Entrate, laddove non veda evidenziata questa posta, presumerà (con tentativo di inversione dell’onere della prova in capo al contribuente) che la medesima sia stata inserita sotto forma di innalzamento dei corrispettivi praticati a monte e ne contesterà, per importo corrispondente, la detraibilità.

Una volta compresa l’importanza di adeguate procedure di fatturazione volte a evidenziare in modo chiaro e trasparente cosa costituisce corrispettivo dell’appalto e cosa, invece, riaddebito degli oneri finanziari impliciti nell’opzione di sconto in fattura da parte del fornitore, rimane da inquadrare il corretto trattamento IVA da applicare sul riaddebito.

A tale proposito, è pacifico che, nella misura in cui all’operazione di sconto debba essere riconosciuta natura meramente accessoria delle prestazioni di servizi “edilizi” rese dal fornitore medesimo, il trattamento IVA sarà il medesimo delle operazioni principali (sia nel caso di unica fatturazione, sia nel caso di fatturazione separata).
Se invece tale natura accessoria non sussiste, il trattamento IVA del riaddebito sarà quello dell’esenzione ex art. 10 comma 1 n. 1) del DPR 633/72.

La natura accessoria o meno dello sconto in fattura, rispetto alla prestazione “edilizia” principale, dipende dal tipo di accordi che intercorrono tra le parti.
Se il contratto di appalto prevede espressamente che, ai fini del pagamento del corrispettivo, il committente dovrà pagare soltanto ciò che residuerà dopo lo sconto in fattura, la natura accessoria dello sconto in fattura, rispetto alla prestazione principale dei servizi “edilizi” è in re ipsa.

Se però il contratto di appalto prevede che lo sconto in fattura sia solo una facoltà eventuale, che il committente potrà richiedere al fornitore mediante apposita comunicazione prima dell’emissione della fattura medesima, ecco allora che lo sconto in fattura può assumere carattere di prestazione autonoma non meramente accessoria, con quel che ne consegue in termini di diverso trattamento IVA.

Aliquota IVA variabile per gli interventi del bonus facciate

L’agevolazione riferita al c.d. “bonus facciate”, di cui all’art. 1 commi da 219 a 223 della L. 160/2019, può essere fatta valere sulla base di interventi edilizi di diversa tipologia. A seconda del tipo di intervento edile posto in essere, muta la qualificazione urbanistica e, di riflesso, anche l’applicazione dell’IVA alla prestazione eseguita.

Tra le opere edilizie agevolate vi sono gli interventi di sola pulitura o di sola tinteggiatura esterna della facciata.
In questa circostanza, le opere sono generalmente riconducibili alla nozione di manutenzione ordinaria ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. a) del DPR 380/2001.
Sono compresi, in particolare, i lavori di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelli necessari ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.

A titolo esemplificativo, rientrano nella manutenzione ordinaria anche “gli interventi di sostituzione integrale o parziale dei pavimenti, rivestimenti e tinteggiature di prospetti esterni senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori” (C.M. 24 febbraio 1998 n. 57).

Le prestazioni di servizi di manutenzione, sotto il profilo IVA, sono soggette ad aliquota del 10% se relative a fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. b) del DPR 633/72, con la limitazione per i beni significativi.
L’aliquota è, dunque, quella ordinaria (del 22%) se gli interventi riguardano immobili strumentali.

Nel caso di interi fabbricati, a prevalente destinazione abitativa, per gli interventi sulle parti comuni dell’edificio, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto applicabile l’aliquota del 10% “anche in relazione alle quote millesimali corrispondenti alle unità non abitative situate nell’edificio” (C.M. n. 71/2000, ripresa, con riferimento al c.d. “bonus facciate” dalla risposta a interpello n. 606/2021).

Tale chiarimento, specificamente reso con riferimento ai lavori effettuati sulle parti comuni dei fabbricati (come nel caso delle facciate), dovrebbe prevalere rispetto al principio generale per cui, in forza di un unico contratto di appalto con un corrispettivo unico forfetario, le prestazioni sono in linea generale soggette all’aliquota IVA più elevata (tra le altre, ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2004, risposta a interpello n. 49/2020).

Interventi come la finitura degli edifici (codice ATECO 43.39.09) o la tinteggiatura (codice 43.34.00), se commissionati da soggetti passivi IVA, possono imporre l’applicazione del meccanismo del reverse charge:
– nel caso di subappalti, ai sensi dell’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72;
– nel caso di interventi direttamente dipendenti da un contratto di appalto, ai sensi dell’art. 17 comma 6 lett. a-ter del medesimo decreto, trattandosi di prestazioni relative ad edifici (circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2015).

Il c.d. “bonus facciate” può essere riconosciuto anche per interventi di maggiore entità, rilevanti dal punto di vista termico, qualificabili come manutenzione straordinaria o inclusi nell’ambito di un più ampio intervento di ristrutturazione edilizia o di restauro e risanamento conservativo.

Nell’ipotesi di interventi di manutenzione straordinaria, valgono le considerazioni già espresse, con applicazione dell’aliquota IVA del 10% per le sole prestazioni riferite a edifici a prevalente destinazione abitativa e il meccanismo del reverse charge alle condizioni di cui all’art. 17 comma 6 lett. a) e a-ter) del DPR 633/72.IVA al 10% per le ristrutturazioni di immobili strumentali

Per gli interventi di ristrutturazione edilizia o di restauro, invece, l’aliquota del 10% si applica indistintamente dalla tipologia dell’immobile oggetto dei lavori (ris. Agenzia delle Entrate n. 157/2001 e n. 10/2003).
La disposizione di cui al n. 127-quaterdecies della Tabella A, Parte III, allegata al DPR 633/72, ha natura “oggettiva” e, quindi, si riferisce sia ai fabbricati abitativi che a quelli strumentali.

In relazione alle modalità di applicazione dell’imposta, non dovranno essere scomposte le singole prestazioni contenute nel contratto di appalto, per le quali sarebbe singolarmente dovuto il reverse charge (come nel caso della tinteggiatura o finitura della facciata).
Difatti, come chiarito nella circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2015 (§ 1.4), per esigenze di semplificazioni, l’IVA si applica secondo le modalità ordinarie (rivalsa) all’intera fattispecie contrattuale.

110, decreto “antifrodi” (DL 157/2021)

Prima delle novità introdotte dal decreto “antifrodi” (DL 157/2021), l’attestazione di congruità delle spese era richiesta soltanto per:

  • gli interventi di riduzione del rischio sismico, quando agevolati con il superbonus 110%
  • gli interventi di efficienza energetica, non solo quando agevolati con il superbonus 110%, ma anche quando agevolati con l’ecobonus o il bonus facciate.

Il “decreto Antifrode” ha esteso l’obbligo di attestazione di congruità delle spese anche relativamente agli interventi diversi dai precedenti, quando la fruizione dei corrispondenti bonus edilizi avviene mediante esercizio delle opzioni per lo sconto in fattura o per la cessione del credito, ai sensi dell’art. 121 del DL 34/2020.

La circ. Agenzia delle Entrate 29 novembre 2021 n. 16 (§ 1.2.3) ha chiarito che tale estensione non si applica alle spese corrispondenti alle fatture emesse dai fornitori prima del 12 novembre 2021, purché prima di tale data sia già stata esercitata una delle due opzioni consentite (mediante annotazione sulla fattura dello sconto sul corrispettivo, oppure mediante la stipula dell’accordo di cessione del credito) e la spesa sia già stata pagata dal committente (ovviamente, nel caso di sconto sul corrispettivo, per la sola parte non coperta dallo sconto).

Per gli interventi di efficienza energetica, l’attestazione di congruità delle spese deve avere luogo facendo riferimento:

  • se gli interventi sono iniziati dal 6 ottobre 2020: ai prezzari regionali predisposti di concerto con le articolazioni territoriali del MIT, oppure ai prezziari DEI, oppure, in mancanza di voci pertinenti, ai prezzi determinati in maniera analitica dal tecnico attestatore, il quale può anche avvalersi dei prezzi indicati nell’Allegato I del DM 6 agosto 2020 “Requisiti”;
  • se gli interventi sono iniziati prima del 6 ottobre 2020: ai prezziari regionali, ai listini ufficiali o ai listini delle locali CCIAA, oppure, in mancanza, ai prezzi correnti del mercato locale.

Per gli interventi diversi da quelli di efficienza energetica, compresi quelli di riduzione del rischio sismico, l’attestazione di congruità delle spese deve avere luogo facendo riferimento ai prezziari regionali, ai listini ufficiali o ai listini delle locali CCIAA, oppure, in mancanza, ai prezzi correnti del mercato locale.
Questo quadro disciplinare dovrà poi essere aggiornato alla luce di cosa conterrà il decreto del Ministro della Transizione ecologica, cui è demandato dal comma 13-bis dell’art. 119 del DL 34/2020 il compito di stabilire, ai fini delle attestazioni di congruità, i valori massimi “per talune categorie di beni”.

Per quanto riguarda i soggetti abilitati a rilasciare le predette attestazioni di congruità, la circ. Agenzia delle Entrate 29 novembre 2021 n. 16 si limita ad affermare che, per le spese relative a interventi che non beneficiano del superbonus 110%, l’attestazione può essere rilasciata dai tecnici abilitati al rilascio delle asseverazioni previste per gli interventi ammessi al superbonus, ossia:

  • soggetti abilitati alla progettazione di edifici e impianti nell’ambito delle competenze attribuite dalla legislazione vigente, iscritti agli specifici ordini e collegi;
  • professionisti incaricati della progettazione strutturale o della direzione dei lavori.

Dalla formulazione del nuovo comma 1-ter dell’art. 121 del DL 34/2020 (che parla di “tecnici abilitati”) sembrerebbe per altro evincersi che, anche fuori del superbonus, laddove il committente fruisca dell’agevolazione mediante esercizio per una delle due opzioni ivi previste, si renda sempre necessario affidare l’attestazione di congruità ad uno dei predetti soggetti, senza possibilità di rimettere la questione a una apposita dichiarazione del fornitore o dell’installatore.

Questa possibilità, consentita nei casi espressamente previsti dall’allegato A d…

Continuazione delle sanzioni

applicato l’istituto della continuazione per tutte le annualità accertate essendo intervenuto un atto interruttivo come definito dall’articolo 12, comma 6, del Dlgs n. 472/1997, costituito dalla notifica dell’avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 2004, avvenuta in data 19 maggio 2007.

https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/notifica-dellatto-impositivo-mette-fine-alla-continuazione

Errore in fattura, si sana con nota di variazione

L’emissione di una nota di variazione in diminuzione dell’IVA, ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72, rappresenta lo strumento principale (e generale) per porre rimedio agli errori compiuti in sede di fatturazione.
Qualora si riscontri un’impossibilità oggettiva di emettere nei termini l’anzidetta nota di variazione, è comunque possibile per il soggetto passivo fare ricorso all’istituto della restituzione dell’IVA da parte dell’Erario, disciplinato dall’art. 30-ter del DPR 633/72.

I suddetti principi sono stati formulati dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 762, pubblicata il 4 novembre 2021, in coerenza con un precedente proprio intervento sul tema (risposta n. 663/2021).
In merito alla possibilità generalizzata di avvalersi della nota di variazione come strumento “correttivo” di eventuali errori di fatturazione (fermo il termine annuale per l’emissione del documento ai sensi dell’art. 26 comma 3 del DPR 633/72), si può affermare che l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sia sufficientemente espansiva rispetto al tenore della norma di riferimento.

L’art. 26 comma 3 del DPR 633/72 contempla, infatti, la variazione in diminuzione dell’imponibile e/o dell’imposta in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo ad operazioni inesistenti in applicazione dell’art. 21 comma 7 del DPR 633/72.

C’è da dire che, in linea generale, non tutti gli errori di fatturazione integrano l’inesistenza dell’operazione.
Per contro, l’affermazione delle Entrate è improntata a condivisibili canoni di ragionevolezza, giacché la correzione di una fattura errata dovrebbe essere sempre garantita, a maggior ragione quando gli elementi da variare siano solamente formali (ad esempio, per una non perfetta coincidenza con i dati anagrafici richiesti ai sensi dell’art. 21 comma 4 del DPR 633/72).

Sotto un altro profilo, è importante la conferma che il cedente o prestatore possa effettuare la variazione in diminuzione nell’ipotesi in cui abbia addebitato l’imposta in eccesso, come nel caso in cui abbia applicato il regime di imponibilità in luogo di quello di esenzione o non imponibilità.

Si ricorda, infatti, come secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24289/2020), oltre che per la stessa Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 51/2021), nel caso appena descritto, il cessionario o committente non possa esercitare il pieno diritto alla detrazione per l’IVA eccedente e sia sanzionato nella misura proporzionale del 90% del tributo (art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97).

Come indicato nella risposta a interpello n. 762/2021, dunque, lo strumento principale e generale per rimediare è rappresentato proprio dalla nota di variazione.
Tanto premesso, l’Agenzia delle Entrate, con il documento di prassi appena richiamato, riconosce anche – a determinate condizioni – la possibilità, per il cedente o prestatore, di recuperare l’imposta mediante l’istituto disciplinato dall’art. 30-ter del DPR 633/72.

Si osserva che la norma appena richiamata riveste “carattere residuale ed eccezionale, la cui applicazione è riservata ai casi in cui sussistano condizioni oggettive che non consentono il recupero dell’IVA secondo il metodo più generale, vale a dire l’emissione della nota di variazione in diminuzione ex art. 26 del DPR 633/72”.

Sulla scorta della pronuncia della Cassazione n. 20843/2020, l’Agenzia chiarisce che il diritto al rimborso ex art. 30-ter del DPR 633/72 è comunque riconosciuto, nel rispetto del principio di neutralità dell’imposta, laddove vi sia stato un errore a fronte del quale “il rischio di perdita del gettito fiscale può ritenersi insussistente” (si veda anche Corte di Giustizia Ue 11 aprile 2013, causa C-138/12). È il caso in cui la fattura erroneamente emessa “sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti o in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione)”.

Nel caso di specie il cessionario o committente non ha mai annotato le fatture ricevute nel registro degli acquisti, né esercitato il diritto alla detrazione. Per questa ragione, secondo le Entrate, essendo decorsi i termini per emettere la nota di variazione, il soggetto passivo può avvalersi dell’istanza di cui all’art. 30-ter.

È ragionevole, dunque, che qualora il cessionario o committente si avveda dell’errore nell’applicazione dell’IVA non provveda alla registrazione del documento e all’esercizio del diritto alla detrazione. Così facendo, oltre a non incorrere nella sanzione proporzionale, ai sensi dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97, consentirebbe al cedente o prestatore un più ampio margine per il recupero dell’imposta erroneamente addebitata (anche oltre il termine annuale, mediante l’istituto di cui al citato art. 30-ter).

Occorre segnalare che, secondo l’Amministrazione finanziaria, è inibita la restituzione dell’imposta di cui all’art. 30-ter, richiesta dal soggetto passivo “per ovviare alla scadenza del termine per l’esercizio alla detrazione, qualora tale termine sia decorso per «colpevole» inerzia del soggetto passivo” (si veda anche la risposta n. 592/2020).

Resta da confermare l’ulteriore possibilità, per il soggetto passivo, di emendare l’errata fatturazione mediante ricorso all’istituto della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 8 comma 6-bis del DPR 322/98 (negato nella precedente risposta n. 663/2021).

Inversione contabile, edilizia e general contractor e 110 ed IVA

Resta ben inteso che, quando le prestazioni rese nel settore edile nei confronti del “general contractor” consistono in prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici, l’applicazione dell’IVA con il meccanismo del reverse charge rimane dovuta ai sensi della lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72.
Per queste prestazioni di servizi, infatti, la norma non circoscrive l’applicazione del reverse charge ai soli subappalti, né prevede disapplicazioni quando le prestazioni sono rese nei confronti di un “general contractor”.

La figura del contraente generale (c.d. “general contractor”) ha trovato una propria tipizzazione normativa solo nell’ambito del Codice dei contratti pubblici (art. 194 del DLgs. 50/2016), ma la prassi di affidare l’intera attività di progettazione ed esecuzione delle opere a un unico soggetto vede un crescente ricorso anche da parte di committenti privati, tanto più nel settore edilizio, a seguito anche dell’introduzione del superbonus del 110% e della generalizzazione delle opzioni per lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta, ai sensi degli artt. 119 e 121 del DL 34/2020.

In presenza di un contraente generale di un committente pubblico, appare pacifico che le prestazioni dei subappaltatori nei suoi confronti richiedano l’applicazione dell’IVA in fattura (e non, quindi, il meccanismo del reverse charge), salvo il caso in cui si tratti di prestazioni rientranti tra quelle contemplate dalla lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72 (ad esempio, opere di completamento relative a edifici).

La lett. a) del medesimo art. 17 comma 6 del DPR 633/72 prevede, infatti, che le prestazioni di servizi “rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti di imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore” siano soggette a reverse charge, ma “la disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori”.

Non altrettanto pacifico è ritenere disapplicata la disposizione anche in presenza di un contraente generale di un committente privato. Tuttavia, la formulazione letterale della norma sembrerebbe consentire di pervenire a questa conclusione, perché “un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori” è un’espressione definitoria che identifica in modo chiaro la fattispecie, senza comprimerla in alcun modo ai casi in cui il committente che affida la totalità dei lavori sia un soggetto pubblico.

La ratio della disposizione sembrerebbe quella di assimilare il rapporto nei confronti del contraente generale (definito come il soggetto cui viene affidata la totalità dei lavori) a un rapporto di appalto diretto, piuttosto che a un subappalto.

Pur nell’assenza di chiarimenti specifici, un’impostazione di questo tipo sembra evincersi, in qualche misura, dalla ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2008.
Nel documento di prassi, riferito a una fattispecie contrattuale più complessa, si afferma, difatti, che il rapporto giuridico tra il contraente generale e i suoi prestatori di servizi appare “più vicino ad un contratto atipico di committenza” in virtù del quale con le imprese terze sono posti in essere “dei veri e propri contratti di appalto” e non di subappalto.
In ogni caso, pare evidente che, a distanza di molti anni dall’introduzione della disciplina del reverse charge in edilizia, il punto non risulta ancora essere stato sufficientemente chiarito e meriterebbe di esserlo.Reverse charge dovuto per le prestazioni della lettera a-ter)

Resta ben inteso che, quando le prestazioni rese nel settore edile nei confronti del “general contractor” consistono in prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici, l’applicazione dell’IVA con il meccanismo del reverse charge rimane dovuta ai sensi della lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72.
Per queste prestazioni di servizi, infatti, la norma non circoscrive l’applicazione del reverse charge ai soli subappalti, né prevede disapplicazioni quando le prestazioni sono rese nei confronti di un “general contractor”.

IVA

Il recente incremento di lavori finalizzati al recupero del patrimonio edilizio ha spinto le imprese, sia per comodità di gestione ed organizzazione che, soprattutto, per la possibilità di avere un unico soggetto al quale richiedere, in sede di pagamento, lo sconto sul corrispettivo ex art. 121 del DL 34/2020, a far confluire tutti gli interventi sotto un unico “general contractor” che si interfaccia sia con il committente (solitamente condominio o privato) che con il soggetto che finanzierà l’operazione acquistando il credito corrispondente alla detrazione fiscale.

Ai fini IVA, dal punto di vista del rapporto tra il committente e il “general contractor”, le regole sono sufficientemente chiare. Infatti il general contractor, se il committente non è un soggetto passivo IVA, effettuerà un’operazione applicando l’imposta con aliquota pari al 10% o al 22%, a seconda della natura dell’intervento e della tipologia di immobile sul quale viene effettuato.

In linea generale, si renderà applicabile l’aliquota IVA del 10% relativa alle manutenzioni ordinarie e straordinarie su edifici a prevalente destinazione abitativa di cui all’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99, tenendo conto dell’eventuale apporto di beni significativi compresi nell’elenco del DM 29 dicembre 1999. In tale ipotesi, occorrerà valutare la necessità di scorporarne il valore secondo le regole definite, in ultimo, dall’art. 1 comma 19 della L. 205/2017, ai fini dell’applicazione dell’aliquota.

Un’altra riflessione, sempre in tema di IVA deve essere fatta nel caso in cui il general contractor riaddebiti le spese professionali sulla base di un mandato senza rappresentanza. Infatti, ai sensi dell’art. 3 comma 3 del DPR 633/72, l’operazione di riaddebito integra, ai fini IVA, una prestazione di servizi avente la medesima natura “oggettiva” della prestazione di servizi che intercorre tra mandatario senza rappresentanza e terzo, per cui la prestazione manterrà “a valle” la medesima aliquota applicata “a monte” (cfr. risposta a interpello n. 623/2021).

Un discorso più complesso riguarda le operazioni “a valle”, vale a dire le prestazioni fornite dai subappaltatori al general contractor, in quanto in tale fattispecie l’applicazione dell’IVA, con le aliquote ordinaria o ridotte, per le prestazioni di servizi edili in forza di contratti di (sub)appalto, avviene generalmente con il meccanismo del reverse charge in luogo dell’ordinario meccanismo della rivalsa.

Per quanto le prestazioni in subappalto di cui all’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72, rese nei confronti di un contraente generale cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori, siano escluse dal reverse charge, lo speciale meccanismo si applica per tutte le prestazioni edili (es. installazione di impianti e completamento di edifici) individuate dalla successiva lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 (si veda “Prestazioni edili al general contractor senza inversione contabile” del 26 luglio 2021).

In tal caso, è onere del committente applicare la corretta aliquota IVA (nella misura del 10% ovvero del 22%).
Sul punto, l’Amministrazione finanziaria (C.M. n. 71/2000) ha confermato che alle prestazioni dipendenti da subappalto si applica lo stesso regime IVA previsto per l’appalto principale, posto che entrambe le prestazioni concorrono alla realizzazione dell’opera finale.

Tuttavia, nel caso di manutenzioni ordinarie e straordinarie (riconducibili alle lettere a) e b) dell’art. 3 del DLgs. 380/2001) su edifici a prevalente destinazione abitativa, le imprese subappaltatrici devono applicare l’aliquota IVA ordinaria (pari al 22%).
Secondo l’Amministrazione finanziaria (C.M. n. 71/2000), la norma agevolativa di cui all’art. 7 della L. 488/99 (la quale prevede l’aliquota del 10%) si applica alla sola prestazione avente ad oggetto l’intervento nella sua unitarietà (e, dunque, nel rapporto tra committente e general contractor), ma non può essere replicata nei rapporti sottostanti.

Difatti, ai fini dell’aliquota agevolata, deve essere effettuata una verifica in merito alla presenza di beni significativi (i quali limitano l’applicabilità dell’agevolazione). Una tale verifica non è possibile nell’ambito del subappalto, non potendosi raffrontare il valore dei beni forniti nell’ambito del complessivo intervento di recupero ed il complessivo valore di questo ultimo.

Pertanto, l’aliquota agevolata potrà essere fatta valere, in linea generale, nelle sole prestazioni manutentive rese ai consumatori finali (o a condomini non soggetti passivi d’imposta), ferma la verifica in merito a eventuali beni significativi.
Le operazioni che configurano fasi intermedie nella realizzazione dell’intervento (tra cui le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese nei confronti del primo appaltatore) saranno soggette ad aliquota IVA ordinaria qualora ricomprese nelle manutenzioni oppure ad aliquota del 10% qualora ricomprese negli interventi di ristrutturazione edilizia o restauro e risanamento conservativo.