Dichiarazione integrativa a favore, note operative

Il credito derivante dal minore debito o dal maggiore credito risultante dalla dichiarazione integrativa “a favore del contribuente”, presentata oltre il termine di presentazione della dichiarazione successiva, deve essere indicato:

  • nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa;
  • in relazione a tutte le tipologie di dichiarazioni (redditi, IRAP, IVA e sostituti d’imposta).

Per effetto delle modifiche apportate in sede di conversione del DL 193/2016, non è più prevista l’indicazione, nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta in cui è presentata la dichiarazione integrativa, dell’ammontare del credito eventualmente già utilizzato in compensazione.

Ad esempio, se nel 2017 viene presentata la dichiarazione integrativa di UNICO 2015, relativa al periodo d’imposta 2014, dalla quale emerge un credito, i dati richiesti dovranno essere indicati nel modello UNICO 2018, relativo al periodo d’imposta 2017, in cui è stata presentata la dichiarazione integrativa.

Nota di credito anche senza certezza dell’infruttuosità della procedura (con calma)!

Tra le diverse misure nella bozza del c.d. decreto agosto”, che in base a quanto annunciato ieri dal Ministro dell’Economia Gualtieri dovrebbe arrivare oggi sul tavolo del Consiglio dei Ministri, si registra la nuova disciplina dell’art. 26 del DPR 633/72, che si connota per garantire una maggiore certezza circa il momento di emissione delle note di variazione nelle ipotesi di procedure concorsuali e con ciò, probabilmente, ponendo fine agli annosi dibattiti sul tema. Con un decisivo mutamento di indirizzo, la modifica interverrebbe ispirandosi – per certi versi – a quanto introdotto, per breve periodo (dal 1° gennaio al 31 dicembre 2016), dall’art. 1 comma 126 della L. n. 208/2015 (legge di stabilità 2016).

Per effetto dell’intervento legislativo, la disciplina delle note di variazione nelle ipotesi di procedure concorsuali, espunta dal comma 2, sarebbe inserita nel nuovo comma 4, in base al quale il diritto del cedente/prestatore di portare in detrazione (art. 19 del DPR 633/72) l’IVA corrispondente alla variazione (di cui al comma 2) troverebbe applicazione anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, ad opera del cessionario/committente, in primo luogo, “a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato a una procedura concorsuale” o dalla data del decreto che omologa un adr (art. 182-bis del RD 267/42; cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 31/2014), o da quella di pubblicazione nel Registro delle imprese di un piano attestato (art. 67 comma 3 lett. d) del RD 267/42).
A tali fini, in base al nuovo comma 11 (con previsione in linea con quanto disposto, per altre ragioni, dall’art. 101 comma 5 del TUIR), il debitore si considererebbe assoggettato alla procedura dalla data della sentenza dichiarativa del fallimento o del provvedimento che ordina la LCA o del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo o del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria.

In base al modificato comma 5 secondo periodo, inoltre, nel caso di procedure concorsuali di cui al comma 4 lett. a), l’obbligo di registrazione della variazione per il cessionario non troverebbe applicazione.

Per comprendere l’impatto della novità legislativa – che in questa sede si condivide – si ricorda che il momento di emissione della nota di variazione è oggetto di interpretazioni opposte: l’una maggioritaria, verso la quale da sempre si attesta la prassi amministrativa, che lo ricollega alla “definitiva infruttuosità” della procedura; l’altra minoritaria, invece, che lo anticipa alla “ragionevole certezza” che il credito non potrà essere incassato (cfr. C.T. Prov. di Vicenza n. 145/2/2019, Corte Ue causa C-246/16, Norma di comportamento AIDC n. 192/2015 ).
L’infruttuosità della procedura, secondo l’Agenzia delle Entrate, nell’ipotesi di fallimento, sussiste alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto (art. 110 del RD 267/42), ovvero, in assenza del piano, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura (ex multis, circ. Min. Finanze n. 77/2000, risposte Agenzia Entrate nn. 33/2020 e 192/2020, circ. Agenzia delle Entrate n. 8/2017 e Cass. n. 1541/2014).

Con riferimento al concordato preventivo, ai fini dell’infruttuosità, occorre aver riguardo, oltre al decreto di omologazione definitivo, anche al momento in cui il debitore adempie agli obblighi assunti in sede di concordato, poiché, fino a questa data, è possibile la risoluzione del concordato e l’apertura del fallimento. In caso di liquidazione coatta amministrativa, invece, è necessario il decorso dei termini ex art. 213 L. fall.

L’intervento legislativo si pone apertamente in senso contrario alla prassi amministrativa e recepisce una soluzione che ricollega la variazione al momento in cui il debitore (cessionario/committente) è “assoggettato” alla procedura, ossia alla sua apertura.
La modifica verrebbe dotata anche di efficacia “retroattiva”, trovando applicazione alle procedure in corso, con ciò confermando l’intentio legis di dirimere le controversie sul tema. L’art. 26 comma 4 lett. a) e comma 5, secondo periodo del DPR 633/72, nel testo risultante dalle modifiche, infatti, si applicherebbe anche alle procedure concorsuali in corso alla data di entrata in vigore della norma.
Il comma 4 legittima la variazione di cui al comma 2 – oltreché nell’ipotesi di procedure esecutive individuali infruttuose (lett. b) – “in ogni caso quando il credito sia di modesta entità e sia decorso un periodo di sei mesi dalla scadenza di pagamento del credito stesso”. A tal fine, il credito si considera di modesta entità quando ammonta a un importo non superiore a 5.000 euro per le imprese di più rilevante dimensione (art. 27 comma 10 del DL 185/2008 conv. L. 2/2009) e non superiore a 2.500 euro per le altre imprese. Anche sotto tale profilo la nuova disciplina, quindi, è allineata all’art. 101 comma 5 del TUIR (circ. Assonime n. 5/2016).

In base al nuovo comma 6, infine, nel caso in cui, successivamente agli eventi di cui al comma 4, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, si applicherebbe la disposizione di cui al comma 1. In tal caso, il cessionario o committente che abbia assolto all’obbligo di registrazione cui al comma 5 avrebbe diritto di portare in detrazione l’IVA corrispondente alla variazione in aumento.

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

QUESITO
[ALFA] (di seguito istante) ha esposto la questione qui di seguito sinteticamente riportata.
L’istante ha eseguito forniture di merce in favore della [BETA] emettendo fatture, nel […] e nel […], per complessivi […] (di cui […] per IVA).
Con sentenza n. […] del 2017 il […] ha dichiarato il fallimento della [BETA] .
L’istante ha presentato istanza di ammissione al passivo fallimentare, dichiarata inammissibile dal Giudice delegato in quanto proposta oltre il termine di cui all’articolo 101, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito legge fallimentare o L.F.).
L’istante chiede se sia possibile emettere nota di variazione in diminuzione di imponibile ed IVA ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione alle fatture emesse nei confronti della fallita [BETA] e non incassate.  

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l’istante ritiene legittima l’emissione di note di variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione alle fatture emesse nei confronti della società fallita e non incassate, nonostante il citato provvedimento di esclusione dal passivo fallimentare.
In merito, osserva che nella legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) è stato previsto, con riferimento alle procedure concorsuali avviate dal 1°gennaio 2017, il diritto del cedente/prestatore di emettere note di variazione già a partire dalla data in cui il cessionario/committente viene assoggetto alla procedura concorsuale, senza dover attendere la conclusione della stessa. Secondo l’istante, il presupposto per l’emissione della nota di variazione non è, dunque, l’esito dell’insinuazione allo stato passivo del debitore, ma l’avvio della procedura concorsuale.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
La soluzione interpretativa prospettata dall’istante non è condivisibile in quanto, in particolare, sembra fare riferimento alle modifiche all’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 apportate dall’articolo 1, comma 126, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Tali modifiche, tuttavia, non hanno mai esplicato i propri effetti perché soppresse dall’articolo 1, comma 567, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, prima della loro applicabilità.
L’articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, dispone che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25″. 
Per quanto attiene, in particolare, all’ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, dell’importo fatturato,appaiono dirimenti i chiarimenti forniti dalla circolare n. 77/E del 17 aprile 2000, la quale ha puntualizzato come la richiamata circostanza del mancato pagamento venga giuridicamente ad esistenza “…allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte,per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo…”.
Il documento di prassi rileva come “Il verificarsi di tale evento postula, quindi,in via preventiva, da un lato l’acclarata insolvenza dell’importo fatturato e l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall’altro – si sottolinea in modo inequivoco – la necessaria partecipazione del creditore al concorso…”.
Definita preliminarmente nella necessaria partecipazione alla procedura il presupposto che legittima, in astratto, il creditore alla variazione in diminuzione, si evidenzia come, in concreto, il diritto alla variazione sia subordinato alla”infruttuosità” delle procedure esecutive individuali o concorsuali, e non al mero avvio delle stesse.
Con diversi documenti di prassi (cfr. per tutti la citata circolare n. 77/E del 2000 e la circolare n. 8/E del 7 aprile 2017) l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che la condizione di infruttuosità della procedura concorsuale si realizza alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale oppure, in assenza, di quello per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento.  

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

QUESITO
[ALFA] (di seguito istante) ha esposto la questione qui di seguito sinteticamente riportata.
L’istante ha eseguito forniture di merce in favore della [BETA] emettendo fatture, nel […] e nel […], per complessivi […] (di cui […] per IVA).
Con sentenza n. […] del 2017 il […] ha dichiarato il fallimento della [BETA] .
L’istante ha presentato istanza di ammissione al passivo fallimentare, dichiarata inammissibile dal Giudice delegato in quanto proposta oltre il termine di cui all’articolo 101, primo comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (di seguito legge fallimentare o L.F.).
L’istante chiede se sia possibile emettere nota di variazione in diminuzione di imponibile ed IVA ai sensi dell’articolo 26 del decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione alle fatture emesse nei confronti della fallita [BETA] e non incassate.  

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
In sintesi, l’istante ritiene legittima l’emissione di note di variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione alle fatture emesse nei confronti della società fallita e non incassate, nonostante il citato provvedimento di esclusione dal passivo fallimentare.
In merito, osserva che nella legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) è stato previsto, con riferimento alle procedure concorsuali avviate dal 1°gennaio 2017, il diritto del cedente/prestatore di emettere note di variazione già a partire dalla data in cui il cessionario/committente viene assoggetto alla procedura concorsuale, senza dover attendere la conclusione della stessa. Secondo l’istante, il presupposto per l’emissione della nota di variazione non è, dunque, l’esito dell’insinuazione allo stato passivo del debitore, ma l’avvio della procedura concorsuale.

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
La soluzione interpretativa prospettata dall’istante non è condivisibile in quanto, in particolare, sembra fare riferimento alle modifiche all’articolo 26 del d.P.R. n. 633 del 1972 apportate dall’articolo 1, comma 126, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
Tali modifiche, tuttavia, non hanno mai esplicato i propri effetti perché soppresse dall’articolo 1, comma 567, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, prima della loro applicabilità.
L’articolo 26, comma 2, del d.P.R. n. 633 del 1972, dispone che “Se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del medesimo regio decreto n. 267 del 1942, pubblicato nel registro delle imprese o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25″. 
Per quanto attiene, in particolare, all’ipotesi di mancato pagamento, in tutto o in parte, a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose, dell’importo fatturato,appaiono dirimenti i chiarimenti forniti dalla circolare n. 77/E del 17 aprile 2000, la quale ha puntualizzato come la richiamata circostanza del mancato pagamento venga giuridicamente ad esistenza “…allorquando il soddisfacimento del creditore attraverso l’esecuzione collettiva sul patrimonio dell’imprenditore viene meno, in tutto o in parte,per insussistenza di somme disponibili, una volta ultimata la ripartizione dell’attivo…”.
Il documento di prassi rileva come “Il verificarsi di tale evento postula, quindi,in via preventiva, da un lato l’acclarata insolvenza dell’importo fatturato e l’assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, dall’altro – si sottolinea in modo inequivoco – la necessaria partecipazione del creditore al concorso…”.
Definita preliminarmente nella necessaria partecipazione alla procedura il presupposto che legittima, in astratto, il creditore alla variazione in diminuzione, si evidenzia come, in concreto, il diritto alla variazione sia subordinato alla”infruttuosità” delle procedure esecutive individuali o concorsuali, e non al mero avvio delle stesse.
Con diversi documenti di prassi (cfr. per tutti la citata circolare n. 77/E del 2000 e la circolare n. 8/E del 7 aprile 2017) l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che la condizione di infruttuosità della procedura concorsuale si realizza alla scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto finale oppure, in assenza, di quello per opporre reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento.  

Saldi, contabili disponibili e per valuta

Il conto corrente permette all’azienda di gestire al meglio tutti i flussi di incassi e pagamenti relativi ai propri clienti, fornitori e dipendenti. Il tutto nei limiti del saldo del conto corrente, o nei limiti del fido concesso dalla banca, ed aggiungo, nei limiti del saldo disponibile. Ma che cosa è il saldo disponibile e perché è così importante? Può essere di 3 tipologie:
1 – Saldo contabile, che è anche il più facile da capire: è quello che contabilmente risulta in quel momento, il risultato della somma algebrica delle operazioni registrate sul conto fino a un certo momento.
2 – Saldo disponibile è quello che può essere speso, che può essere effettivamente utilizzato per pagamenti e per prelievi: è come se fosse dentro le nostre tasche e ne potessimo fare quello che vogliamo. Attenzione: è la voce più importante delle 3 (vedere esempio).
3 – Saldo per valuta (detto anche saldo liquido): è quello sul quale vengono pagati (saldo a credito) o addebitati (saldo a debito) gli interessi.
Ed ecco l’esempio. Vado in banca e verso i soliti € 900 in contanti, un assegno circolare emesso da altra banca di € 10.000 euro e un assegno bancario tratto, emesso su altra banca, sempre di € 10.000 (vedere tabella in allegato). In data 23.11.2020, il mio saldo disponibile e quindi spendibile sarà di € 900, mentre per gli altri 2 assegni dovrò aspettare: 3 giorni lavorativi per l’assegno circolare e 4 giorni lavorativi per l’assegno bancario.
Quindi € 900iniziano a produrre interessi da subito ma si possono anche spendere da subito; l’assegno circolare inizia a produrre interessi dal 24.11, ma si può spendere solo il 26.11; infine l’assegno di bancario comincia a produrre interessi dal 26.11 e si può spendere solo dal 27.11. Per completezza, faccio notare che nel calcolo dei giorni, sia di valuta che di disponibilità, non si considerano il sabato, la domenica e le feste infrasettimanali.
Tutto questo cosa vuol dire e perché è importante capirlo? Vuol dire che se utilizziamo prima della disponibilità quelle somme, è come se utilizzassimo denari che non sono nostri ma della banca: è come se ci facessimo prestare dalla banca questa somma, con addebito di interessi e penali pesanti, come per esempio la famigerata commissione di istruttoria veloce (CIV). Ecco perché è così importante tenere sotto controllo il saldo disponibile del conto corrente. Le condizioni sui versamenti praticate dalla banca sono sul Documento di sintesi.

Inps, CONTRIBUTI FISSI PAGATI NEI TERMINI

https://unioneartigiani.it/coronavirus/inps-errati-avvisi-di-regolarizzazione-per-le-proroghe-durc/

Segnaliamo che si sta verificando una problematica generata dall’Inps in relazione ad alcune richieste di Durc.

In virtù dell’art. 18 D.M. 08/04/2020 n. 23 i contributi fissi la cui scadenza era in precedenza prevista al 16/05/2020 sono stati prorogati al 16/09/2020, per cui molti imprenditori che hanno visto ridursi il proprio fatturato a causa dell’emergenza Covid-19, aderendo a tale possibilità e non hanno versato tali contributi, si vedono ora arrivare, una volta inviata la richiesta di Durc, un errato “invito a regolarizzare” da parte dell’Inps.

Se la non regolarità del Durc è causata da questo mancato pagamento, per ovviare a questo problema consigliamo la seguente procedura:

I contribuenti iscritti alla gestione commercianti e artigiani che necessitano dell’attestazione di regolarità contributiva (Durc) e che si sono avvalsi della proroga al 16/09/2020 per il versamento dei contributi fissi relativi al I° trimestre 2020, sono invitati ad inoltrare, tramite cassetto bidirezionale, una dichiarazione di responsabilità come da modello qui allegato (AP17_AttoNotorio), corredata da copia di valido documento di riconoscimento, attestante la sussistenza dei requisiti per avvalersi della sospensione dei versamenti in scadenza nei mesi di aprile e maggio 2020 prevista dall’articolo 18 del DL 23/2020.

PER MAGGIORI INFORMAZIONI ED ASSISTENZA CONTATTARE IL PROPRIO CONTABILE DI RIFERIMENTO DELL’UNIONE ARTIGIANI.

Posso assumere mio figlio maggiorenne? e mia moglie?

GGETTO: Istanza di interpello – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. XY – Articolo 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 – Articolo 62 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Con istanza di interpello del 6 maggio 2002, inoltrata ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e indirizzata alla Direzione Regionale per la …, il Sig. XY ha chiesto un parere in merito all’esatta applicazione dell’art. 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, concernente “incentivi per l’incremento dell’occupazione” e dell’art. 62 del Tuir approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, concernente “spese per prestazioni di lavoro”.

QUESITO
Il Sig. XY intende instaurare, nella sua qualità di titolare di una impresa artigiana, un rapporto di lavoro dipendente con il figlio maggiorenne, di età superiore ai 25 anni, e non convivente.
Chiede, pertanto, di conoscere se tale rapporto di lavoro rientri o meno tra i casi di preclusione individuati dall’art. 62 del Tuir e, conseguentemente:
1. se siano ammesse in deduzione le spese a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dal figlio;
2. se debba operare, su tale compenso, le ritenute fiscali.
Chiede, inoltre, di sapere se possa beneficiare, relativamente a tale assunzione, del credito di imposta di cui all’art. 7 della l. n. 388 del 2000.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’istante ritiene che il rapporto di lavoro instaurato con il figlio maggiorenne non rientri tra i casi di preclusione previsti dall’art. 62 del Tuir e, pertanto, ritiene di poter dedurre le spese a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dal figlio ed operare le ritenute fiscali sul compenso erogato.
Conseguentemente, ritiene di poter usufruire del credito di imposta di cui all’art. 7 della legge n. 388 del 2000.

RISPOSTA DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE AL CONTRIBUENTE ISTANTE
L’art. 62, comma 2, del Tuir, stabilisce che non sono ammesse deduzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta, tra gli altri, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro, precisando che tali compensi, proprio perché non ammessi in deduzione, non concorrono a formare il reddito imponibile dei percipienti.
Come risulta dalla relazione ministeriale al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’indeducibilità stabilita per i compensi dei figli minori è prevista non perché si tratta di persone per le quali può spettare la detrazione per carichi di famiglia, bensì per evitare artificiose manovre di contrazione degli utili con conseguente erosione della materia imponibile.
Tale indeducibilità ha carattere sostanziale, nel senso che è fatto divieto all’imprenditore di dedurre in sede di determinazione del reddito di impresa le somme corrisposte a titolo di compenso per il lavoro dei figli minori.
Attesa la specificità del riferimento normativo ai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro, sembra potersi desumere una tassatività della previsione della disposizione stessa.
Di conseguenza, si ritiene che la disposta esclusione non valga per i figli, affidati o affiliati maggiorenni e non permanentemente inabili al lavoro, nonché per gli altri parenti ivi non indicati, con la conseguenza che i compensi a costoro spettanti sono deducibili subordinatamente alla loro registrazione nel libro paga e nel libro matricola ai fini dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori effettivamente versati.
Tutto ciò considerato, in relazione al primo quesito proposto, questa Agenzia ritiene che l’istante possa dedurre, ricorrendo le condizioni sopra citate, il compenso del lavoro prestato dal figlio maggiorenne e debba conseguentemente operare sul predetto compenso le ritenute fiscali.
Relativamente al secondo quesito, si fa presente che l’art. 7 della legge n. 388 del 2000 prevede il riconoscimento di un credito di imposta ai datori di lavoro che, nel periodo compreso tra il 1°ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003, incrementano il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale.
In particolare, il comma 5 dell’art. 7 stabilisce che il credito di imposta è concesso a condizione che i lavoratori assunti nel periodo agevolato:
1. siano di età uguale o superiore a 25 anni e non abbiano svolto attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato nei 24 mesi antecedenti la data di assunzione;
2. siano portatori di handicap individuati ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 indipendentemente dal verificarsi della condizione sub 1.
Nulla dice la norma sulla possibilità di agevolare l’assunzione dei familiari.
Considerato, però, che l’assunzione del figlio maggiorenne (di età superiore ai 25 anni) rileva ai fini della determinazione del reddito, allo stesso modo essa dà luogo ad una fattispecie rilevante anche ai fini dell’agevolazione di cui all’art. 7 della legge n. 388 del 2000.
In virtù di quanto affermato, il contribuente istante ha diritto ad usufruire del credito di imposta di cui al citato art. 7.
Si fa presente, peraltro, che il d.l. n. 138 dell’ 8 luglio 2002, convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha posto dei limiti all’operare dell’agevolazione.
In particolare, l’art. 5, comma 1, del citato decreto stabilisce che le agevolazioni concesse nella forma del credito di imposta possono essere fruite nei limiti dei relativi stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle previsioni di minori entrate.
Stabilisce, inoltre, che i soggetti interessati hanno diritto al credito di imposta fino all’esaurimento delle risorse finanziarie.
In applicazione di quanto previsto dal suddetto articolo 5, è intervenuto il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 1°agosto 2002, fissando le modalità per il controllo dei flussi e il tetto di risorse disponibili per il 2002.
Tale decreto, con riferimento alle modalità di controllo ha previsto la presentazione di una istanza di autorizzazione al Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate, e, contestualmente, ha fissato il limite massimo di spesa nella misura di € 652.138.210,00 relativamente all’esercizio finanziario 2002.
Accertato, alla data del 29 luglio 2002, che il suddetto limite è stato già raggiunto per il 2002 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato, il 1°agosto 2002, un altro decreto per la comunicazione dell’esaurimento delle risorse disponibili.
In considerazione dell’avvenuto esaurimento delle risorse disponibili per l’anno in corso, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con circolare n. 73 del 3 settembre 2002, escludendo la possibilità di fruire del credito d’imposta i cui presupposti si siano realizzati successivamente al 30 giugno 2002.
Tuttavia, l’art. 2 del decreto legge 24 settembre 2002, n. 209, ha successivamente riattivato il bonus assunzioni per i crediti maturati nel periodo luglio-dicembre 2002, limitatamente agli incrementi occupazionali realizzati alla data del 7 luglio 2002.
In particolare, ha stabilito che, ai fini del credito, rilevano le nuove assunzioni fatte entro il 7 luglio mentre gli incrementi della base occupazionale realizzati dall’8 luglio al 31 dicembre fanno maturare il bonus solo se le nuove assunzioni non fanno superare la base occupazionale di riferimento fissata al 7 luglio.
Pertanto, le assunzioni effettuate tra l’8 luglio e il 31 dicembre 2002 rilevano solo se l’incremento mensile dei dipendenti non supera la misura massima dell’incremento rilevato al 7 luglio.
Il credito maturato da luglio a dicembre, inoltre, in virtù del disposto dell’ultima parte dell’art. 2 del d.l. n. 209, potrà essere utilizzato solo a decorrere dal 1°gennaio 2003 e in quote mensili non superiori ad un terzo della somma totale maturata.
Tutto ciò premesso, questa Agenzia ritiene che il contribuente istante possa godere del credito di imposta di cui all’art. 7 della l. n. 388 del 2000 relativamente all’assunzione del figlio maggiorenne (di età superiore ai 25 anni) se, con tale assunzione, non viene superata la misura massima di incremento occupazionale rilevata alla data del 7 luglio 2002.
In tal caso il credito di imposta maturato tra il 1°luglio ed il 31 dicembre 2002 potrà essere utilizzato a decorrere dal 1°gennaio 2003 in quote costanti non superiori ad un terzo del totale.
La risposta di cui alla presente Risoluzione, sollecitata con istanza di interpello presentata alla Direzione Regionale per la …, viene resa dalla scrivente ai sensi dell’articolo 4, comma 1, ultimo periodo del decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209.

Fattura medico. Indicazione rivalsa ENPAM

Rivalsa fattura

Domanda – Ferme restando le indicazioni previste in materia di fatturazione elettronica, un medico in regime “ordinario” che fattura le prestazioni ad una struttura privata (società) è tenuto ad applicare la ritenuta d’acconto? Per quanto concerne, invece, la rivalsa della cassa ENPAM (4%) il suo inserimento è solo facoltativo?

Risposta – Prima di rispondere al suo quesito è opportuno richiamare le indicazioni operative previste in materia di fatturazione elettronica per le prestazioni sanitarie; per il periodo d’imposta 2019, come da art. 9-bis del D.L. 135/2018 e ss.mm.ii, gli “operatori sanitari” hanno dovuto rispettare il divieto di emettere fattura in formato elettronico per le prestazioni sanitarie effettuate nei confronti delle persone fisiche indipendentemente dall’obbligo o meno dell’invio dei dati di spesa al S.t.s.; il decreto fiscale (D.L. 124/2019) ha esteso il divieto in parola anche per il periodo d’imposta 2020.

In termini pratici, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta n° 78/2019:

  • le prestazioni sanitarie effettuate nei confronti di persone fisiche non devono mai essere fatturare elettronicamente via SdI, a prescindere, sia dal soggetto (persona fisica, società, ecc.) che le eroga, sia dall’invio o meno, dei relativi dati al Sistema tessera sanitaria;
  • qualora, nell’erogare la prestazione, come nel suo caso, la struttura privata si avvalga di soggetti terzi esterni (ad esempio i medici), che fatturano il servizio reso alla struttura e non direttamente all’utente, gli stessi soggetti, fermi eventuali esoneri che li riguardino (cfr. l’articolo 1, comma 3, sesto periodo, del d.lgs. n. 127 del 2015), devono documentare la prestazione a mezzo fattura elettronica via SdI.

Venendo al suo quesito, per quanto riguarda la ritenuta d’acconto, il medico che fattura a una struttura privata deve puntualmente indicarla; il compenso percepito sarà dunque al netto della ritenuta con scomputo della stessa nella dichiarazione dei redditi.

In merito all’eventuale rivalsa, art. 8 comma 3 D.Lgs 103/96, in vigore per le altre casse di previdenza private, la stessa non deve essere indicata in fattura in quanto la cassa di previdenza di medici ed odontoiatri (ENPAM) non prevede alcun contributo a carattere di rivalsa.

Attenzione a non confondere il contributo in parola con quello previsto a carico di società professionali mediche ed odontoiatriche, in qualunque forma costituite, e società di capitali, operanti in regime di accreditamento col Servizio sanitario nazionale; soggetti tenute a versare, un contributo pari al 2% del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza diritto di rivalsa sul Servizio sanitario nazionale.

Licenziamento incentivo all’esodo

Il comma 3 dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020, stabilisce che la sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo non si applica in presenza di “accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo: a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art. 1 del D.L.vo n. 22/2015”.