Irap – riduzione con istruzioni operative

La circolare 25/E/2020 ha precisato che gli esonerati dal versamento 2019 e primo acconto 2020 devono fornire indicazioni nel modello Irap 2020.

La circolare 20.08.2020, n. 25/E al primo punto ha fornito alcuni chiarimenti in tema di esonero dal versamento dell’Irap ai sensi dell’art. 24, D.L. 34/2020. La norma prevede che gli imprenditori/lavoratori autonomi con un volume di ricavi/compensi non superiore a 250 milioni di euro non sono tenuti al versamento del saldo Irap 2019 (fermi restando i versamenti degli acconti per il 2019) e della prima rata dell’acconto Irap 2020. La disposizione non trova applicazione per:
• imprese di assicurazione, amministrazioni ed enti pubblici;
• banche e altri intermediari finanziari;
• soggetti con ricavi/compensi superiori a 250 milioni nel 2019.
Non rientrano nel novero degli esclusi, pertanto, gli enti non commerciali, che quindi possono beneficiare dell’esonero, sia che non svolgano alcuna attività commerciale, sia che svolgano oltre all’attività istituzionale non commerciale, anche un’attività commerciale. Tale misura può cumularsi, come previsto al punto 20 della comunicazione 19.03.2020, C 2020-1863, con gli aiuti previsti dai regolamenti “de minimis”, a condizione di rispettare le norme relative al cumulo.
La fruizione di tale agevolazione comporta la necessità di comunicarla nel quadro IS del Modello Irap 2020 e precisamente nella sezione XVIII “Aiuti di Stato”:
• casella «Tipo aiuto», il codice 1;
• colonna 1 «Codice aiuto», il codice 999;
• colonna 3 «Quadro», il quadro IR;
• successive colonne 4 «Tipo norma», 5 «Anno», 6 «Numero» e 7 «Articolo»,
rispettivamente, «1», «2020», «34», «24»;
• colonne 12, 13, 14, 15, rispettivamente: la forma giuridica (per esempio: Srl), la dimensione dell’impresa (per esempio micro impresa quando realizza un fatturato o un totale attivo dello stato patrimoniale uguale o inferiore ai 2 milioni di Euro e ha un numero di dipendenti inferiore alle 10 unità), il codice ATECO e il settore (per esempio, Generale se non trattasi di Strada, SIEG o Agricoltura);
• colonna 26 «Tipologia costi», il codice 20;
• colonna 29 «Importo aiuto spettante», l’importo del saldo Irap relativo all’anno 2019 non versato per effetto dell’applicazione dell’art. 24 del Decreto Rilancio.
Viene, quindi, richiesto di indicare l’importo del saldo Irap 2019 che si sarebbe dovuto pagare in assenza di deroga e non anche l’importo del primo acconto 2020. Si ricorda, infine, che il versamento del secondo acconto è dovuto, ma il Decreto Agosto, all’art. 98, ha previsto una proroga per i soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli ISA e che dichiarano ricavi/compensi non superiori al limite stabilito per ciascun indice.
Pertanto, al posto del 30.11.2020 la scadenza passa al 30.04.2021, sia per l’Irap che per l’Ires o l’Irpef. Tuttavia, è necessaria una verifica del fatturato: per fruire della proroga il contribuente deve avere subito una diminuzione del fatturato o corrispettivi di almeno il 33% nel 1° semestre 2020 rispetto al 1° semestre 2019.

Diritto Ispezione

Mentre per i soci non amministratori il controllo della documentazione sociale è facoltativo, per i soci amministratori è un dovere per essere esentati da responsabilità. Quali sono i documenti accessibili e le responsabilità degli amministratori in caso di rifiuto all’accesso.

Mentre per i soci non amministratori il potere di controllo è facoltativo, essendo un diritto posto nel loro esclusivo interesse, per gli amministratori informarsi in merito all’andamento dell’attività di gestione e prendere visione dei documenti sociali costituisce un dovere, il cui esercizio è necessario per essere esenti da responsabilità. Se l’organo amministrativo è pluripersonale, con sistema dell’amministrazione disgiuntiva (con cui si attribuisce il potere di gestire al singolo amministratore, con potere di veto ex art. 2257 C.C.), ciascun amministratore avrà il potere-dovere di informarsi sulle operazioni che gli altri stanno per compiere, anche allo scopo di esercitare tempestivamente il diritto di opposizione che gli spetta per legge; allo stesso modo, in caso di amministrazione congiunta, l’amministratore dovrà informarsi dei progetti degli altri membri dell’organo amministrativo, per decidere se prestare o meno il proprio consenso, oppure se sollecitare una decisione dei soci. Il potere di controllo previsto dall’art. 2476, c. 2 C.C., si esplica attraverso l’esercizio di 2 diritti distinti: diritto all’informazione e diritto alla consultazione, di seguito enunciati.
Diritto all’informazione: legittima il socio a richiedere agli amministratori “notizie concernenti lo svolgimento degli affari sociali”, intendendo con tale locuzione tutto ciò che attiene al patrimonio e alla gestione dell’impresa, i fatti fondamentali per la determinazione e la ripartizione degli utili, ma anche i rapporti giuridici ed economici interni alla compagine sociale o della società nei confronti dei terzi. Più dettagliatamente, è possibile ricondurre al concetto di “affari sociali” le operazioni già compiute, oppure in corso di svolgimento o di prossima attuazione, tra cui, ad esempio: gli impieghi dell’attivo patrimoniale, le relazioni commerciali, le concessioni di prestiti, i compensi agli amministratori e tutto ciò che può essere rilevante per il controllo del socio.
Diritto alla consultazione: tale forma di controllo si concretizza riconoscendo al socio il diritto di consultazione di tutti i libri sociali obbligatori previsti dall’art. 2478 C.C., oltre che di tutti i documenti relativi all’amministrazione, includendo anche le scritture contabili, libro giornale, libro degli inventari, registri tenuti ai fini Iva o in osservanza di altre disposizioni di legge (esempio: registro degli infortuni), fatture, estratti conto e contabili delle operazioni bancarie/postali, prospetti e calcoli di ogni genere, corrispondenza, verbali di accertamento fiscale, di contestazione, di comminazione di sanzioni, atti giudiziari e amministrativi che riguardano la società, memorie e pareri di professionisti, perizie giurate, contratti e accordi commerciali stipulati dalla società, ecc.
Ai soci, dovranno ritenersi vietate alcune attività consentite ai sindaci come accertamenti di consistenze del saldo della cassa, visite agli impianti o ai magazzini, accessi per i controlli sulla qualità e quantità dei prodotti. Così come per il diritto all’informazione, anche il diritto di ispezionare i documenti non è condizionato da un punto di vista temporale, ma può essere esercitato in qualunque momento della vita sociale.
Gli amministratori sono obbligati ad attivarsi tempestivamente e a non ostacolare l’esercizio dei diritti all’informazione e di consultazione in capo ai soci, rilasciando le informazioni richieste e consentendo un agevole accesso ai documenti da consultare. Al contrario, il rifiuto ingiustificato alla richiesta di informazioni e documenti comporta una serie di conseguenze sotto il profilo sanzionatorio: legittimare un’azione di responsabilità da parte del singolo socio ex art. 2476, c. 3 C.C.; integrare la fattispecie di grave irregolarità che consente la richiesta di revoca urgente degli amministratori, qualora vi sia la sussistenza di un danno attuale, causato dall’illegittimo rifiuto degli amministratori; provocare un danno diretto al patrimonio del socio (indipendentemente dal pregiudizio creato alla società) e, dunque, consentire al socio di esperire l’azione di responsabilità ex art. 2476, c. 6, C.C.; integrare la casistica illecita dell’impedito controllo, che può assumere rilievo amministrativo o penale in base all’art. 2625, cc. 1 e 2 C.C.
Sarebbe opportuno proporre alle società clienti di studio di modificare lo statuto sociale, inserendo clausole “di raffreddamento” che prevengano il contenzioso interno, come avallato anche dalla Fondazione Notariato.

Credito imposta e registrazioni contabil

Boom dei crediti d’imposta, attrezzarsi alla gestione contabile

Numerosi adempimenti iniziando dalle scritture, senza che siano disponibili software specifici. Inoltre le disposizioni di prassi sono in continuo aggiornamento e offrono scarsi punti d’appiglio.

  • La normativa d’emergenza ha istituito molti crediti d’imposta a favore delle imprese, senza che esistano sistemi gestionali o software a oggi in grado di automatizzare i numerosi adempimenti connessi. Inoltre le disposizioni di prassi sono in continuo aggiornamento, offrendo scarsi punti d’appiglio.
  • Si ricorda che i beneficiari delle misure sono tenuti a specifiche scritture sul libro giornale per contabilizzare sia il credito d’imposta (SP Dare), sia il corrispondente contributo (CE Avere).
    • Dichiarazione dei redditi – Inoltre, a prescindere dal fatto che (come accade nella maggioranza dei casi) tale beneficio possa essere fiscalmente irrilevante, le scritture che hanno effetto a conto economico devono essere accompagnate da corrispondenti variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi.
    • Esempio – credito d’imposta per investimento in beni strumentali nuovi: essendo possibile optare per la modalità contabile che prevede di considerare il contributo come ricavo anticipato, da imputare per quote di competenza al conto economico in relazione alla durata degli ammortamenti dei beni agevolati, emerge anche la necessità di contabilizzare il contributo (CE Avere) utilizzando la tecnica dei risconti passivi, per spalmarlo in base alla durata del periodo di ammortamento.
    • Utilizzo in compensazione – Devono essere eseguite scritture specifiche anche al momento dell’utilizzo del credito d’imposta in F24: la compensazione dei debiti esposti in delega con il credito d’imposta, deve trovare esatta corrispondenza in contabilità con la riduzione del credito d’imposta (in Avere) per effetto del suo utilizzo.
  • Per citare qualche esempio degli adempimenti da pianificare, il solo Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) istituisce i seguenti crediti d’imposta:
    • credito d’imposta per canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda (art. 28);
    • credito d’imposta del 50% dei costi di costituzione o trasformazione in società benefit (art. 38-ter);
    • credito d’imposta per mancata partecipazione a fiere e manifestazioni commerciali (art. 46-bis);
    • credito d’imposta per contenere gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino nel settore tessile, della moda e degli accessori (art. 48-bis);
    • credito d’imposta per adeguamento degli ambienti di lavoro (art. 120);
    • credito d’imposta ottenuto dalle detrazioni in sconto utilizzabili dal fornitore, anche cedibile a terzi (art. 121);
    • credito d’imposta per sanificazione e acquisto Dpi (art. 125);
    • credito d’ imposta per attività R&S nel Mezzogiorno e nelle Regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e 2017;
    • credito d’imposta per aumento del capitale sociale (art. 26).

Rimanenze come gestire lo scarico

La perdita di merce non si registra in contabilità in maniera diretta (ossia con scrittura contabile), ma solo in maniera indiretta, ossia mediante una minor valutazione delle stesse, giacenti al 31/12.

Ecco come fare per abbattere il valore delle rimanenze

Tutto parte dalla gestione del magazzino

Se anche tu sei titolare di un’attività commerciale che comporta una gestione del magazzino, piccolo o grande che sia, oppure sei un artigiano o un professionista, ogni anno ti ritrovi a fare l’inventario di una mole di prodotti il cui ammontare molto spesso non coincide con gli importi risultanti dalle scritture contabili, cioè dall’inventario contabile.

Questo significa che anno dopo anno, una scorretta gestione del magazzino comporterà un disallineamento tra l’inventario fisico e quello contabile, e dal quale risulteranno ammanchi di merce che dovrai poi giustificare.


Facciamo due ipotesi:
1. Quando le giacenze fisiche di magazzino sono superiori a quelle contabili: allora si potrebbe configurare una situazione di acquisto di merce in nero che pur non essendo state contabilizzate si trovano nei locali in cui si svolge l’attività.

2. Quando le giacenze risultanti dalla contabilità sono maggiori di quelle fisiche: allora ci si potrebbe trovare di fronte ad una situazione di cessione di merci in nero con conseguente evasione dell’IVA e alterazione della base imponibile delle altre imposte dirette (Irpef, Irap, Ires).

In entrambi i casi, in seguito alle verifiche fiscali condotte dall’Amministrazione Finanziaria, ti troverai nella spiacevole posizione di dover dimostrare le discrepanze contestate. Si manifesta dunque il classico esempio di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, nel senso che spetta proprio al contribuente dover dimostrare che le merci esistenti in misura maggiore o minore detenute presso il proprio magazzino sono:- state utilizzate per la produzione;
– andate perse o distrutte;
– utilizzate per l’autoconsumo;
– depositate presso propri agenti o rappresentanti;
– cedute a terzi;
– devolute in beneficenza.


Il tutto va comunque giustificato con gli opportuni documenti, quali ricevute, fatture, autofatture, contratti, documenti di trasporto, verbali, autocertificazioni, ecc.

Vediamo di seguito quali sono le tecniche che è possibile adottare per mantenere nel tempo il giusto valore del magazzino.
 

Attenzione: le stesse procedure che analizzeremo valgono anche per i beni strumentali, quali attrezzature, fabbricati, impianti, macchinari, e tutti quei beni necessari all’impresa e senza dei quali l’imprenditore non potrebbe svolgere la sua attività.


Cosa fare nel caso di merci obsolete o invendibili?

Una delle situazioni delicate che spesso il titolare di un’azienda deve affrontare, e che potrebbe comportare non pochi problemi in sede di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, accade quando ci si trova a dover ridurre il valore delle rimanenze di magazzino al verificarsi di particolari situazioni che permetterebbero di non pagare l’IVA o altre imposte dirette per merci in eccesso o addirittura inferiori rispetto a quelle documentate, che altrimenti falserebbero la reale situazione contabile.

Le principali disposizioni che consentono di dismettere le merci invendibili e la necessaria riduzione del valore complessivo del magazzino permettono:
1. per i beni obsoleti fuori commercio, la cessione a titolo gratuito a favore di enti non commerciali, quali Onlus e associazioni riconosciute;
2. per le merci invendibili, la distruzione volontaria;
3. per i beni soggetti a furti, avaria, calamità naturali o ammanchi per eventi fortuiti, l’attestazione del loro venir meno.

CESSIONE GRATUITA DEI BENI OBSOLETI FUORI COMMERCIO

Come per tutte le attività imprenditoriali, può capitare di ritrovarsi in magazzino merce ancora invenduta che nel corso degli anni può diventare obsoleta, fuori moda e quindi non più commercializzabile, costringendo così il titolare, ove possibile, ad operare una svendita al di sotto del prezzo di mercato, se non del costo di acquisto o di produzione.
 

In tutto ciò l’IVA va comunque pagata, insieme alle altre imposte dirette.


Arrivati a questo punto, per ovviare a questo “fastidioso” adempimento amministrativo del pagamento dell’imposta, un’alternativa potrebbe essere quella di cedere gratuitamente i beni non più vendibili perché fuori commercio a delle associazioni riconosciute oppure a delle Onlus che per definizione non svolgono attività lucrative, rinunciando però a quella piccola parte di guadagno derivante dall’eventuale vendita a prezzi molto contenuti.


A chi va fatta la cessione della merce obsoleta?

Per questa tipologia di merci obsolete, difettose, comunque invendibili, secondo l’articolo 10 comma 12 del DPR 633/1972sono considerate esenti da IVA quelle operazioni effettuate a titolo gratuito a favore di enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio, ricerca scientifica e alle Onlus.


Come fare la cessione della merce obsoleta?

La cessione della merce in questione, per essere considerata esente da IVA deve essere effettuata:- a titolo gratuito;
– a favore di enti non commerciali che ottengono un vantaggio dalla donazione e che non devono dare alcun corrispettivo.


Qual è la procedura per considerare la cessione esente da IVA?

La procedura che bisogna seguire per far sì che questi beni siano ceduti senza IVA, in totale esenzione dall’applicazione dell’imposta, superando la “presunzione di cessione”, è la seguente:

Per i beni non deperibili:

– comunicare all’Agenzia delle Entrate, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata, il nominativo dell’ente beneficiario, la data, l’ora, il luogo in cui avverrà la cessione a titolo gratuito, o il luogo di destinazione finale di consegna, con l’indicazione del valore complessivo dei beni ceduti al costo storico;
– compilare il documento di trasporto di consegna come disposto dal DPR 472/1986;
– predisporre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da far sottoscrivere al legale rappresentante dell’ente beneficiario, che attesta di aver effettivamente ricevuto i beni ceduti, con l’indicazione della quantità e della qualità degli stessi.

Per i beni deperibili:

per i prodotti deperibili come quelli alimentari, scaduti o prossimi alla scadenza e non più commercializzabili, ai sensi dell’articolo 6 della Legge 133/1999si considerano distrutti ai fini IVA quando ceduti a titolo gratuito agli stessi enti non commerciali o alle Onlus.

DISTRUZIONE VOLONTARIA O TRASFORMAZIONE DI MERCI NON COMMERCIALIZZABILI

L’adeguamento del valore delle rimanenze di magazzino (o dei beni strumentali) all’effettivo stato in cui si trovano, con la loro legittima riduzione, si può ottenere anche attraverso la distruzione volontaria ad opera dell’imprenditore o trasformazione in altri beni.
 

Sottolineo volontaria perché questa procedura può essere adottata solo quando a realizzarla è la libera iniziativa dell’imprenditore, e non quando si verificano i normali scarti, cali o eventi esterni alla volontà dell’imprenditore.


Come avviene la distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza?

La distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza può essere provata nei seguenti modi:

Per i beni il cui costo storico è uguale o superiore a 10.000 €:

– tramite la presenza dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza durante le operazioni di distruzione o trasformazione della merce;
– occorre comunicare ai funzionari di cui sopra almeno 5 giorni prima le operazioni di distruzione o trasformazione, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata. La comunicazione deve contenere la data, l’ora, il luogo dove avverrà l’operazione, la modalità di distruzione o trasformazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci;
– oppure far redigere un verbale da parte di un funzionario pubblico, di un ufficiale della Guardia di Finanza o di un notaio.

Attenzione: si consiglia di non aspettare gli ultimi giorni per fare la comunicazione preventiva, ma attivarsi in tempo utile per evitare le lungaggini burocratiche e i ritardi dovuti agli uffici.


Per i beni il cui costo storico è inferiore a 10.000 €:

la comunicazione preventiva non è obbligatoria, ma è necessario comunque redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui si attestano i dati delle merci distrutte o trasformate con le indicazioni sopra descritte.

In alternativa alla distruzione diretta, è possibile procedere alla distruzione indiretta, consegnando le merci a un soggetto autorizzato secondo le norme previste in tema di smaltimento rifiuti.

RIDUZIONE DELLE RIMANENZE PER EVENTI CALAMITOSI, FURTI, AVARIA O ALTRI EVENTI FORTUITI

In presenza di eventi calamitosi, terremoti, allagamenti, furti, distruzione non volontaria delle merci o altre circostanze che non dipendono chiaramente dalla volontà dell’imprenditore, occorre provare quanto accaduto mediante:- la documentazione redatta da funzionari pubblici;
– la dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta entro 30 giornidall’evento che ha causato la perdita dei beni e presentata alle autorità competenti.

Nella dichiarazione sostitutiva deve essere indicato il valore complessivo dei beni, i criteri adottati per la sua determinazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci.


Che fine fanno i documenti prodotti per denunciare le procedure adottate?

Tutti i documenti prodotti devono essere consegnati al Commercialista affinché possa contabilizzarli e giustificare così l’avvenuta cessione a titolo gratuito, oppure la distruzione o trasformazione volontaria, oppure ancora la perdita dei beni per eventi esterni e calamitosi.

La prova documentale consente dunque di cancellare il valore di beni che non esistono più in azienda a seguito delle procedure adottate, tenerne conto ai fini della dichiarazione dei redditi e degli studi di settore, non considerarli come vendita produttiva di ricavi e imponibili ai fini IVA.


Cosa accade se non applico le procedure descritte?

Se in sede di controlli fiscali non si dovessero rinvenire quelle merci, la mancata applicazione delle procedure di cui sopra comporterà sicuramente la presunzione che le stesse sono state cedute in disapplicazione della legge, quindi evadendo le imposte, con la conseguente rideterminazione del reddito imponibile, nonché l’applicazione delle relative sanzioni per l’evasione dell’IVA e delle altre imposte dirette. A meno che il contribuente non riesca a dimostrare in modo inequivocabile il motivo della loro assenza dall’azienda.

Credito Imposta registratore Cassa RT – riferimento anno di pagamento F24 per le compensazioni

In tale sezione devono essere indicati i crediti d’imposta maturati nel corso del periodo fiscale e devono essere indicati anche i loro utilizzi. Per ciascuna agevolazione deve essere compilato un apposito modulo nel quale vanno esposti il codice identificativo del credito vantato (codice credito), nonché i dati previsti nei righi da RU2 a RU12.

Nel caso in esame il codice del credito da inserire nel rigo RU1 colonna 1 è  F9 (Credito d’imposta per l’acquisto o l’adattamento degli strumenti per la memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi – art. 2, c. 6-quinquies, D.Lgs. 127/2015)

Nel rigo RU5, colonna 3, si deve inserire l’ammontare complessivo del credito maturato nel periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione.

Nel rigo RU6, l’ammontare del credito utilizzato in compensazione ai sensi del D. Lgs. n. 241 del 1997 nel periodo d’imposta cui si riferisce la presente dichiarazione, avendo cura di riportare gli utilizzi effettuati con il codice tributo relativo al credito indicato nel rigo RU1″

Nel rigo RU7, colonne 1, 2, 3, 4, 5 e 6, si deve indicare l’ammontare del credito utilizzato in diminuzione delle imposte e ritenute indicate nelle stesse colonne.

Stesso quadro (RU) e stessa modalità di compilazione per il Modello Redditi SC/Enc e per il Modello Redditi SP.

Autovetture, professionisti ed imprese

Si chiede se un professionista/ditta individuale possa utilizzare il rimborso kilometrico della propria auto detenuta a titolo personale?

Risposta
Per gli esercenti attività professionale la disciplina sulla deducibilità dei costi relativi ai veicoli deriva dal combinato disposto dell’art. 54 e dell’art. 164 del TUIR.
Il presupposto per la deducibilità dei costi relativi ai veicoli risiede nella circostanza che il bene sia strumentale all’esercizio della professione. Al riguardo, si osserva che, a differenza di quanto previsto dall’art. 65 del TUIR per gli imprenditori individuali, nell’ambito della determinazione del reddito professionale non è prevista una disposizione in base alla quale si considerano beni relativi all’impresa (e non beni personali) quelli indicati nell’inventario (cfr. circ. CNDCEC 1/2008, § 2). Di conseguenza, ciò che conta è l’effettivo utilizzo come bene strumentale all’attività svolta.
Oltre a ciò, tuttavia, assume rilievo il rispetto degli obblighi di documentazione e registrazione delle spese; tali obblighi, ancorché non espressamente stabiliti dall’art. 54, si desumono dal principio dell’onere della prova e della relative limitazioni vigenti in ambito tributario (cfr. Cotto A., Odetto G., Valente G. “TUIR”, Guide e Soluzioni, IPSOA, Milano, 2012, p. 679 ss).
Con riferimento al requisito della documentazione dei componenti negativi del reddito professionale, ai sensi dell’art. 3 del DPR 696/96, ai fini della deducibilità delle spese sostenute è quindi necessaria la ricevuta o la fattura.
Per quanto sopra, nonostante l’autovettura sia stata acquistata a titolo personale, si ritiene che i relativi costi di funzionamento (quali, ad esempio, costi di carburante, manutenzione) siano deducibili ove correttamente documentati e registrati nella contabilità del professionista.
In merito all’imprenditore individuale si osserva, invece, che l’art. 65 del TUIR dispone che il passaggio dalla sfera personale a quella imprenditoriale dei beni avviene con l’iscrizione del bene nell’inventario tenuto a norma dell’art. 2217 c.c.
Pertanto l’imprenditore, ai fini della deducibilità dei costi relativi al veicolo, deve iscrivere il bene nell’inventario.

Calcolo Plusvalenza/Minusvalenza Foglio Excel da cessione bene strumentale

Nell’ipotesi di beni parzialmente deducibili (es. autovetture), le plusvalenze e le minusvalenze patrimoniali rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato (circ. Agenzia delle Entrate 4.8.2006 n. 28, § 38). Viene, in tal modo, estesa anche ai professionisti l’analoga modalità di calcolo prevista per le imprese, secondo il seguente rapporto:

Ammortamento fiscalmente dedotto/Ammortamento complessivo

Le plusvalenze sono fiscalmente rilevanti al momento della percezione del corrispettivo (circ. n. 28/E/2006, § 38). Infatti, l’art. 54 del TUIR sancisce l’applicazione del criterio di cassa come principio generalmente applicabile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo, che può esser derogato solo nei casi espressamente previsti dai successivi commi della medesima disposizione (ris. Agenzia delle Entrate 16.2.2006 n. 30).

L’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR prevede, limitatamente ai titolari di reddito di lavoro autonomo, un limite numerico alla rilevanza fiscale dei veicoli.

In base alla richiamata disposizione, nel caso di “esercizio di arti e professioni in forma individuale, la deducibilità è ammessa, nella misura del 20 per cento, limitatamente ad un solo veicolo”. Inoltre, se l’attività è svolta da società semplici e da associazioni, la deducibilità è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato.

In via generale, tale previsione normativa non deve essere interpretata come obbligo di dedurre i costi relativamente al medesimo veicolo; qualora il professionista decida, nel corso dell’anno, di sostituire l’autovettura, l’ammortamento è deducibile, nei limiti dell’art. 164 del TUIR, e per la quota parte riferibile al periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta alla data di cessione (si ritiene applicabile quanto prospettato, in materia di reddito d’impresa, dalla ris. Agenzia delle Entrate 41/2002).
In altri termini, i costi relativi al nuovo veicolo sono deducibili, posto che la locuzione dell’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR “limitatamente ad un solo veicolo” deve intendersi diretta a vietare la deduzione dei costi di eventuali mezzi di trasporto aggiuntivi, mentre non ha alcun rilievo in caso di sostituzione dell’unico veicolo del professionista (si veda “Deducibile un solo veicolo per professionista” del 14 febbraio 2011).

Con riferimento all’ipotesi in cui un professionista utilizzi due autovetture per l’espletamento della propria attività, la Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, per espressa disposizione normativa, il contribuente potrà portare in deduzione le spese relative all’utilizzo di un solo autoveicolo.

La scelta di quale dei due veicoli considerare fiscalmente rilevante sembra rimessa al contribuente, anche in considerazione del fatto che la norma introduce soglie alla deducibilità dei costi che impediscono eventuali arbitraggi.
In virtù di tale libertà di scelta, non sembrano sussistere impedimenti a che il titolare di reddito di lavoro autonomo proprietario di un’autovettura completamente ammortizzata ne acquisti una nuova senza cedere la prima e su questa seconda autovettura conteggi gli ammortamenti fiscalmente deducibili.

Più delicato è il caso in cui il professionista utilizzi in determinati periodi dell’anno un veicolo (ad esempio, lo scooter) e in altri periodi un altro (ad esempio, l’autovettura).
Premesso che, nella sostanza, gli effetti potrebbero essere non molto dissimili, una prima soluzione potrebbe essere quella di dedurre solo i costi dell’autovettura relativi all’intero periodo d’imposta, in accordo con la natura forfetaria dell’art. 164 del TUIR.
In linea teorica, si potrebbe anche voler optare per una ripartizione dei costi in funzione dell’effettivo utilizzo, ad esempio perché sono state stipulate assicurazioni temporanee su entrambi i veicoli.

In assenza di indicazioni ufficiali, si può ipotizzare il seguente ragionamento.
Come riportato, la norma vuole vietare che in capo al professionista vengano dedotti contemporaneamente i costi relativi a più veicoli. Ciò in quanto l’art 164 del TUIR forfettizza l’inerenza delle spese delle autovetture, sia con riferimento alla percentuale di deducibilità (attualmente il 20%), sia con riferimento al numero massimo di autovetture deducibili.

Tanto premesso, anche ripartendo i costi su base temporale, sembra che la ratio della norma non venga disattesa, posto che la deduzione spetterebbe pro quota, in relazione al periodo di effettivo utilizzo e ai costi relativi a ciascun veicolo utilizzato.

Per altro verso, si potrebbe sostenere che il requisito in parola debba essere verificato su base annua e che, quindi, i costi deducibili siano relativi solo ad un veicolo a periodo d’imposta.
Tale conclusione suscita alcune perplessità.
In primo luogo, la lettera della norma non contiene chiaramente una previsione di tale portata.
Secondariamente, si creerebbe una disparità di trattamento tra i veicoli in proprietà e quelli noleggiati, posto che nel caso in esame, fermi restando i limiti di cui all’art. 164 del TUIR, la successione del noleggio di due veicoli nell’arco dell’anno determinerebbe costi di noleggio deducibili.

Da segnalare che, in relazione ai profili IVA, l’art. 19-bis1 comma 1 lett. c) del DPR 633/72 prevede che “l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore, diversi da quelli di cui alla lettera f) dell’allegata tabella B, e dei relativi componenti e ricambi è ammessa in detrazione nella misura del 40 per cento se tali veicoli non sono utilizzati esclusivamente nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione. La disposizione non si applica, in ogni caso, quando i predetti veicoli formano oggetto dell’attività propria dell’impresa nonché per gli agenti e rappresentanti di commercio”.

Al riguardo, la citata Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, seppur ai fini IVA l’art. 19-bis1 non disciplini espressamente, così come previsto dall’art. 164 del TUIR, alcun limite numerico, la detrazione nella misura del 40% deve essere, in ogni caso, strettamente connessa alla sussistenza del requisito dell’inerenza, vale a dire alla dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo impiego del bene nell’ambito dell’attività esercitata.
In presenza di veicoli che rispondano a diverse finalità di utilizzo, comunque inerenti l’attività esercitata, non si può escludere quindi la possibilità di detrarre l’IVA per entrambi i veicoli.

Quante Autovetture? Per il professionista UNA

L’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR prevede, limitatamente ai titolari di reddito di lavoro autonomo, un limite numerico alla rilevanza fiscale dei veicoli.

In base alla richiamata disposizione, nel caso di “esercizio di arti e professioni in forma individuale, la deducibilità è ammessa, nella misura del 20 per cento, limitatamente ad un solo veicolo”. Inoltre, se l’attività è svolta da società semplici e da associazioni, la deducibilità è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato.

In via generale, tale previsione normativa non deve essere interpretata come obbligo di dedurre i costi relativamente al medesimo veicolo; qualora il professionista decida, nel corso dell’anno, di sostituire l’autovettura, l’ammortamento è deducibile, nei limiti dell’art. 164 del TUIR, e per la quota parte riferibile al periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta alla data di cessione (si ritiene applicabile quanto prospettato, in materia di reddito d’impresa, dalla ris. Agenzia delle Entrate 41/2002).
In altri termini, i costi relativi al nuovo veicolo sono deducibili, posto che la locuzione dell’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR “limitatamente ad un solo veicolo” deve intendersi diretta a vietare la deduzione dei costi di eventuali mezzi di trasporto aggiuntivi, mentre non ha alcun rilievo in caso di sostituzione dell’unico veicolo del professionista (si veda “Deducibile un solo veicolo per professionista” del 14 febbraio 2011).

Con riferimento all’ipotesi in cui un professionista utilizzi due autovetture per l’espletamento della propria attività, la Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, per espressa disposizione normativa, il contribuente potrà portare in deduzione le spese relative all’utilizzo di un solo autoveicolo.

La scelta di quale dei due veicoli considerare fiscalmente rilevante sembra rimessa al contribuente, anche in considerazione del fatto che la norma introduce soglie alla deducibilità dei costi che impediscono eventuali arbitraggi.
In virtù di tale libertà di scelta, non sembrano sussistere impedimenti a che il titolare di reddito di lavoro autonomo proprietario di un’autovettura completamente ammortizzata ne acquisti una nuova senza cedere la prima e su questa seconda autovettura conteggi gli ammortamenti fiscalmente deducibili.

Più delicato è il caso in cui il professionista utilizzi in determinati periodi dell’anno un veicolo (ad esempio, lo scooter) e in altri periodi un altro (ad esempio, l’autovettura).
Premesso che, nella sostanza, gli effetti potrebbero essere non molto dissimili, una prima soluzione potrebbe essere quella di dedurre solo i costi dell’autovettura relativi all’intero periodo d’imposta, in accordo con la natura forfetaria dell’art. 164 del TUIR.
In linea teorica, si potrebbe anche voler optare per una ripartizione dei costi in funzione dell’effettivo utilizzo, ad esempio perché sono state stipulate assicurazioni temporanee su entrambi i veicoli.

In assenza di indicazioni ufficiali, si può ipotizzare il seguente ragionamento.
Come riportato, la norma vuole vietare che in capo al professionista vengano dedotti contemporaneamente i costi relativi a più veicoli. Ciò in quanto l’art 164 del TUIR forfettizza l’inerenza delle spese delle autovetture, sia con riferimento alla percentuale di deducibilità (attualmente il 20%), sia con riferimento al numero massimo di autovetture deducibili.

Tanto premesso, anche ripartendo i costi su base temporale, sembra che la ratio della norma non venga disattesa, posto che la deduzione spetterebbe pro quota, in relazione al periodo di effettivo utilizzo e ai costi relativi a ciascun veicolo utilizzato.

Per altro verso, si potrebbe sostenere che il requisito in parola debba essere verificato su base annua e che, quindi, i costi deducibili siano relativi solo ad un veicolo a periodo d’imposta.
Tale conclusione suscita alcune perplessità.
In primo luogo, la lettera della norma non contiene chiaramente una previsione di tale portata.
Secondariamente, si creerebbe una disparità di trattamento tra i veicoli in proprietà e quelli noleggiati, posto che nel caso in esame, fermi restando i limiti di cui all’art. 164 del TUIR, la successione del noleggio di due veicoli nell’arco dell’anno determinerebbe costi di noleggio deducibili.

Da segnalare che, in relazione ai profili IVA, l’art. 19-bis1 comma 1 lett. c) del DPR 633/72 prevede che “l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore, diversi da quelli di cui alla lettera f) dell’allegata tabella B, e dei relativi componenti e ricambi è ammessa in detrazione nella misura del 40 per cento se tali veicoli non sono utilizzati esclusivamente nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione. La disposizione non si applica, in ogni caso, quando i predetti veicoli formano oggetto dell’attività propria dell’impresa nonché per gli agenti e rappresentanti di commercio”.

Al riguardo, la citata Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, seppur ai fini IVA l’art. 19-bis1 non disciplini espressamente, così come previsto dall’art. 164 del TUIR, alcun limite numerico, la detrazione nella misura del 40% deve essere, in ogni caso, strettamente connessa alla sussistenza del requisito dell’inerenza, vale a dire alla dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo impiego del bene nell’ambito dell’attività esercitata.
In presenza di veicoli che rispondano a diverse finalità di utilizzo, comunque inerenti l’attività esercitata, non si può escludere quindi la possibilità di detrarre l’IVA per entrambi i veicoli.