Posso assumere mio figlio maggiorenne? e mia moglie?

GGETTO: Istanza di interpello – Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. XY – Articolo 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 – Articolo 62 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917.

Con istanza di interpello del 6 maggio 2002, inoltrata ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 e indirizzata alla Direzione Regionale per la …, il Sig. XY ha chiesto un parere in merito all’esatta applicazione dell’art. 7 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, concernente “incentivi per l’incremento dell’occupazione” e dell’art. 62 del Tuir approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, concernente “spese per prestazioni di lavoro”.

QUESITO
Il Sig. XY intende instaurare, nella sua qualità di titolare di una impresa artigiana, un rapporto di lavoro dipendente con il figlio maggiorenne, di età superiore ai 25 anni, e non convivente.
Chiede, pertanto, di conoscere se tale rapporto di lavoro rientri o meno tra i casi di preclusione individuati dall’art. 62 del Tuir e, conseguentemente:
1. se siano ammesse in deduzione le spese a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dal figlio;
2. se debba operare, su tale compenso, le ritenute fiscali.
Chiede, inoltre, di sapere se possa beneficiare, relativamente a tale assunzione, del credito di imposta di cui all’art. 7 della l. n. 388 del 2000.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
L’istante ritiene che il rapporto di lavoro instaurato con il figlio maggiorenne non rientri tra i casi di preclusione previsti dall’art. 62 del Tuir e, pertanto, ritiene di poter dedurre le spese a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta dal figlio ed operare le ritenute fiscali sul compenso erogato.
Conseguentemente, ritiene di poter usufruire del credito di imposta di cui all’art. 7 della legge n. 388 del 2000.

RISPOSTA DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE AL CONTRIBUENTE ISTANTE
L’art. 62, comma 2, del Tuir, stabilisce che non sono ammesse deduzioni a titolo di compenso del lavoro prestato o dell’opera svolta, tra gli altri, dai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro, precisando che tali compensi, proprio perché non ammessi in deduzione, non concorrono a formare il reddito imponibile dei percipienti.
Come risulta dalla relazione ministeriale al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’indeducibilità stabilita per i compensi dei figli minori è prevista non perché si tratta di persone per le quali può spettare la detrazione per carichi di famiglia, bensì per evitare artificiose manovre di contrazione degli utili con conseguente erosione della materia imponibile.
Tale indeducibilità ha carattere sostanziale, nel senso che è fatto divieto all’imprenditore di dedurre in sede di determinazione del reddito di impresa le somme corrisposte a titolo di compenso per il lavoro dei figli minori.
Attesa la specificità del riferimento normativo ai figli, affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro, sembra potersi desumere una tassatività della previsione della disposizione stessa.
Di conseguenza, si ritiene che la disposta esclusione non valga per i figli, affidati o affiliati maggiorenni e non permanentemente inabili al lavoro, nonché per gli altri parenti ivi non indicati, con la conseguenza che i compensi a costoro spettanti sono deducibili subordinatamente alla loro registrazione nel libro paga e nel libro matricola ai fini dei contributi previdenziali ed assistenziali obbligatori effettivamente versati.
Tutto ciò considerato, in relazione al primo quesito proposto, questa Agenzia ritiene che l’istante possa dedurre, ricorrendo le condizioni sopra citate, il compenso del lavoro prestato dal figlio maggiorenne e debba conseguentemente operare sul predetto compenso le ritenute fiscali.
Relativamente al secondo quesito, si fa presente che l’art. 7 della legge n. 388 del 2000 prevede il riconoscimento di un credito di imposta ai datori di lavoro che, nel periodo compreso tra il 1°ottobre 2000 e il 31 dicembre 2003, incrementano il numero dei lavoratori dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, sia a tempo pieno che a tempo parziale.
In particolare, il comma 5 dell’art. 7 stabilisce che il credito di imposta è concesso a condizione che i lavoratori assunti nel periodo agevolato:
1. siano di età uguale o superiore a 25 anni e non abbiano svolto attività di lavoro dipendente a tempo indeterminato nei 24 mesi antecedenti la data di assunzione;
2. siano portatori di handicap individuati ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104 indipendentemente dal verificarsi della condizione sub 1.
Nulla dice la norma sulla possibilità di agevolare l’assunzione dei familiari.
Considerato, però, che l’assunzione del figlio maggiorenne (di età superiore ai 25 anni) rileva ai fini della determinazione del reddito, allo stesso modo essa dà luogo ad una fattispecie rilevante anche ai fini dell’agevolazione di cui all’art. 7 della legge n. 388 del 2000.
In virtù di quanto affermato, il contribuente istante ha diritto ad usufruire del credito di imposta di cui al citato art. 7.
Si fa presente, peraltro, che il d.l. n. 138 dell’ 8 luglio 2002, convertito dalla legge 8 agosto 2002, n. 178, ha posto dei limiti all’operare dell’agevolazione.
In particolare, l’art. 5, comma 1, del citato decreto stabilisce che le agevolazioni concesse nella forma del credito di imposta possono essere fruite nei limiti dei relativi stanziamenti di bilancio, delle autorizzazioni di spesa, ovvero delle previsioni di minori entrate.
Stabilisce, inoltre, che i soggetti interessati hanno diritto al credito di imposta fino all’esaurimento delle risorse finanziarie.
In applicazione di quanto previsto dal suddetto articolo 5, è intervenuto il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 1°agosto 2002, fissando le modalità per il controllo dei flussi e il tetto di risorse disponibili per il 2002.
Tale decreto, con riferimento alle modalità di controllo ha previsto la presentazione di una istanza di autorizzazione al Centro operativo di Pescara dell’Agenzia delle Entrate, e, contestualmente, ha fissato il limite massimo di spesa nella misura di € 652.138.210,00 relativamente all’esercizio finanziario 2002.
Accertato, alla data del 29 luglio 2002, che il suddetto limite è stato già raggiunto per il 2002 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato, il 1°agosto 2002, un altro decreto per la comunicazione dell’esaurimento delle risorse disponibili.
In considerazione dell’avvenuto esaurimento delle risorse disponibili per l’anno in corso, l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con circolare n. 73 del 3 settembre 2002, escludendo la possibilità di fruire del credito d’imposta i cui presupposti si siano realizzati successivamente al 30 giugno 2002.
Tuttavia, l’art. 2 del decreto legge 24 settembre 2002, n. 209, ha successivamente riattivato il bonus assunzioni per i crediti maturati nel periodo luglio-dicembre 2002, limitatamente agli incrementi occupazionali realizzati alla data del 7 luglio 2002.
In particolare, ha stabilito che, ai fini del credito, rilevano le nuove assunzioni fatte entro il 7 luglio mentre gli incrementi della base occupazionale realizzati dall’8 luglio al 31 dicembre fanno maturare il bonus solo se le nuove assunzioni non fanno superare la base occupazionale di riferimento fissata al 7 luglio.
Pertanto, le assunzioni effettuate tra l’8 luglio e il 31 dicembre 2002 rilevano solo se l’incremento mensile dei dipendenti non supera la misura massima dell’incremento rilevato al 7 luglio.
Il credito maturato da luglio a dicembre, inoltre, in virtù del disposto dell’ultima parte dell’art. 2 del d.l. n. 209, potrà essere utilizzato solo a decorrere dal 1°gennaio 2003 e in quote mensili non superiori ad un terzo della somma totale maturata.
Tutto ciò premesso, questa Agenzia ritiene che il contribuente istante possa godere del credito di imposta di cui all’art. 7 della l. n. 388 del 2000 relativamente all’assunzione del figlio maggiorenne (di età superiore ai 25 anni) se, con tale assunzione, non viene superata la misura massima di incremento occupazionale rilevata alla data del 7 luglio 2002.
In tal caso il credito di imposta maturato tra il 1°luglio ed il 31 dicembre 2002 potrà essere utilizzato a decorrere dal 1°gennaio 2003 in quote costanti non superiori ad un terzo del totale.
La risposta di cui alla presente Risoluzione, sollecitata con istanza di interpello presentata alla Direzione Regionale per la …, viene resa dalla scrivente ai sensi dell’articolo 4, comma 1, ultimo periodo del decreto ministeriale 26 aprile 2001, n. 209.

Fattura medico. Indicazione rivalsa ENPAM

Rivalsa fattura

Domanda – Ferme restando le indicazioni previste in materia di fatturazione elettronica, un medico in regime “ordinario” che fattura le prestazioni ad una struttura privata (società) è tenuto ad applicare la ritenuta d’acconto? Per quanto concerne, invece, la rivalsa della cassa ENPAM (4%) il suo inserimento è solo facoltativo?

Risposta – Prima di rispondere al suo quesito è opportuno richiamare le indicazioni operative previste in materia di fatturazione elettronica per le prestazioni sanitarie; per il periodo d’imposta 2019, come da art. 9-bis del D.L. 135/2018 e ss.mm.ii, gli “operatori sanitari” hanno dovuto rispettare il divieto di emettere fattura in formato elettronico per le prestazioni sanitarie effettuate nei confronti delle persone fisiche indipendentemente dall’obbligo o meno dell’invio dei dati di spesa al S.t.s.; il decreto fiscale (D.L. 124/2019) ha esteso il divieto in parola anche per il periodo d’imposta 2020.

In termini pratici, come ribadito dall’Agenzia delle Entrate nella Risposta n° 78/2019:

  • le prestazioni sanitarie effettuate nei confronti di persone fisiche non devono mai essere fatturare elettronicamente via SdI, a prescindere, sia dal soggetto (persona fisica, società, ecc.) che le eroga, sia dall’invio o meno, dei relativi dati al Sistema tessera sanitaria;
  • qualora, nell’erogare la prestazione, come nel suo caso, la struttura privata si avvalga di soggetti terzi esterni (ad esempio i medici), che fatturano il servizio reso alla struttura e non direttamente all’utente, gli stessi soggetti, fermi eventuali esoneri che li riguardino (cfr. l’articolo 1, comma 3, sesto periodo, del d.lgs. n. 127 del 2015), devono documentare la prestazione a mezzo fattura elettronica via SdI.

Venendo al suo quesito, per quanto riguarda la ritenuta d’acconto, il medico che fattura a una struttura privata deve puntualmente indicarla; il compenso percepito sarà dunque al netto della ritenuta con scomputo della stessa nella dichiarazione dei redditi.

In merito all’eventuale rivalsa, art. 8 comma 3 D.Lgs 103/96, in vigore per le altre casse di previdenza private, la stessa non deve essere indicata in fattura in quanto la cassa di previdenza di medici ed odontoiatri (ENPAM) non prevede alcun contributo a carattere di rivalsa.

Attenzione a non confondere il contributo in parola con quello previsto a carico di società professionali mediche ed odontoiatriche, in qualunque forma costituite, e società di capitali, operanti in regime di accreditamento col Servizio sanitario nazionale; soggetti tenute a versare, un contributo pari al 2% del fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese nei confronti del Servizio sanitario nazionale e delle sue strutture operative, senza diritto di rivalsa sul Servizio sanitario nazionale.

Licenziamento incentivo all’esodo

Il comma 3 dell’art. 14 del D.L. n. 104/2020, stabilisce che la sospensione dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo non si applica in presenza di “accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo: a detti lavoratori è comunque riconosciuto il trattamento di cui all’art. 1 del D.L.vo n. 22/2015”.

Irap – riduzione con istruzioni operative

La circolare 25/E/2020 ha precisato che gli esonerati dal versamento 2019 e primo acconto 2020 devono fornire indicazioni nel modello Irap 2020.

La circolare 20.08.2020, n. 25/E al primo punto ha fornito alcuni chiarimenti in tema di esonero dal versamento dell’Irap ai sensi dell’art. 24, D.L. 34/2020. La norma prevede che gli imprenditori/lavoratori autonomi con un volume di ricavi/compensi non superiore a 250 milioni di euro non sono tenuti al versamento del saldo Irap 2019 (fermi restando i versamenti degli acconti per il 2019) e della prima rata dell’acconto Irap 2020. La disposizione non trova applicazione per:
• imprese di assicurazione, amministrazioni ed enti pubblici;
• banche e altri intermediari finanziari;
• soggetti con ricavi/compensi superiori a 250 milioni nel 2019.
Non rientrano nel novero degli esclusi, pertanto, gli enti non commerciali, che quindi possono beneficiare dell’esonero, sia che non svolgano alcuna attività commerciale, sia che svolgano oltre all’attività istituzionale non commerciale, anche un’attività commerciale. Tale misura può cumularsi, come previsto al punto 20 della comunicazione 19.03.2020, C 2020-1863, con gli aiuti previsti dai regolamenti “de minimis”, a condizione di rispettare le norme relative al cumulo.
La fruizione di tale agevolazione comporta la necessità di comunicarla nel quadro IS del Modello Irap 2020 e precisamente nella sezione XVIII “Aiuti di Stato”:
• casella «Tipo aiuto», il codice 1;
• colonna 1 «Codice aiuto», il codice 999;
• colonna 3 «Quadro», il quadro IR;
• successive colonne 4 «Tipo norma», 5 «Anno», 6 «Numero» e 7 «Articolo»,
rispettivamente, «1», «2020», «34», «24»;
• colonne 12, 13, 14, 15, rispettivamente: la forma giuridica (per esempio: Srl), la dimensione dell’impresa (per esempio micro impresa quando realizza un fatturato o un totale attivo dello stato patrimoniale uguale o inferiore ai 2 milioni di Euro e ha un numero di dipendenti inferiore alle 10 unità), il codice ATECO e il settore (per esempio, Generale se non trattasi di Strada, SIEG o Agricoltura);
• colonna 26 «Tipologia costi», il codice 20;
• colonna 29 «Importo aiuto spettante», l’importo del saldo Irap relativo all’anno 2019 non versato per effetto dell’applicazione dell’art. 24 del Decreto Rilancio.
Viene, quindi, richiesto di indicare l’importo del saldo Irap 2019 che si sarebbe dovuto pagare in assenza di deroga e non anche l’importo del primo acconto 2020. Si ricorda, infine, che il versamento del secondo acconto è dovuto, ma il Decreto Agosto, all’art. 98, ha previsto una proroga per i soggetti che esercitano attività economiche per le quali sono stati approvati gli ISA e che dichiarano ricavi/compensi non superiori al limite stabilito per ciascun indice.
Pertanto, al posto del 30.11.2020 la scadenza passa al 30.04.2021, sia per l’Irap che per l’Ires o l’Irpef. Tuttavia, è necessaria una verifica del fatturato: per fruire della proroga il contribuente deve avere subito una diminuzione del fatturato o corrispettivi di almeno il 33% nel 1° semestre 2020 rispetto al 1° semestre 2019.

Diritto Ispezione

Mentre per i soci non amministratori il controllo della documentazione sociale è facoltativo, per i soci amministratori è un dovere per essere esentati da responsabilità. Quali sono i documenti accessibili e le responsabilità degli amministratori in caso di rifiuto all’accesso.

Mentre per i soci non amministratori il potere di controllo è facoltativo, essendo un diritto posto nel loro esclusivo interesse, per gli amministratori informarsi in merito all’andamento dell’attività di gestione e prendere visione dei documenti sociali costituisce un dovere, il cui esercizio è necessario per essere esenti da responsabilità. Se l’organo amministrativo è pluripersonale, con sistema dell’amministrazione disgiuntiva (con cui si attribuisce il potere di gestire al singolo amministratore, con potere di veto ex art. 2257 C.C.), ciascun amministratore avrà il potere-dovere di informarsi sulle operazioni che gli altri stanno per compiere, anche allo scopo di esercitare tempestivamente il diritto di opposizione che gli spetta per legge; allo stesso modo, in caso di amministrazione congiunta, l’amministratore dovrà informarsi dei progetti degli altri membri dell’organo amministrativo, per decidere se prestare o meno il proprio consenso, oppure se sollecitare una decisione dei soci. Il potere di controllo previsto dall’art. 2476, c. 2 C.C., si esplica attraverso l’esercizio di 2 diritti distinti: diritto all’informazione e diritto alla consultazione, di seguito enunciati.
Diritto all’informazione: legittima il socio a richiedere agli amministratori “notizie concernenti lo svolgimento degli affari sociali”, intendendo con tale locuzione tutto ciò che attiene al patrimonio e alla gestione dell’impresa, i fatti fondamentali per la determinazione e la ripartizione degli utili, ma anche i rapporti giuridici ed economici interni alla compagine sociale o della società nei confronti dei terzi. Più dettagliatamente, è possibile ricondurre al concetto di “affari sociali” le operazioni già compiute, oppure in corso di svolgimento o di prossima attuazione, tra cui, ad esempio: gli impieghi dell’attivo patrimoniale, le relazioni commerciali, le concessioni di prestiti, i compensi agli amministratori e tutto ciò che può essere rilevante per il controllo del socio.
Diritto alla consultazione: tale forma di controllo si concretizza riconoscendo al socio il diritto di consultazione di tutti i libri sociali obbligatori previsti dall’art. 2478 C.C., oltre che di tutti i documenti relativi all’amministrazione, includendo anche le scritture contabili, libro giornale, libro degli inventari, registri tenuti ai fini Iva o in osservanza di altre disposizioni di legge (esempio: registro degli infortuni), fatture, estratti conto e contabili delle operazioni bancarie/postali, prospetti e calcoli di ogni genere, corrispondenza, verbali di accertamento fiscale, di contestazione, di comminazione di sanzioni, atti giudiziari e amministrativi che riguardano la società, memorie e pareri di professionisti, perizie giurate, contratti e accordi commerciali stipulati dalla società, ecc.
Ai soci, dovranno ritenersi vietate alcune attività consentite ai sindaci come accertamenti di consistenze del saldo della cassa, visite agli impianti o ai magazzini, accessi per i controlli sulla qualità e quantità dei prodotti. Così come per il diritto all’informazione, anche il diritto di ispezionare i documenti non è condizionato da un punto di vista temporale, ma può essere esercitato in qualunque momento della vita sociale.
Gli amministratori sono obbligati ad attivarsi tempestivamente e a non ostacolare l’esercizio dei diritti all’informazione e di consultazione in capo ai soci, rilasciando le informazioni richieste e consentendo un agevole accesso ai documenti da consultare. Al contrario, il rifiuto ingiustificato alla richiesta di informazioni e documenti comporta una serie di conseguenze sotto il profilo sanzionatorio: legittimare un’azione di responsabilità da parte del singolo socio ex art. 2476, c. 3 C.C.; integrare la fattispecie di grave irregolarità che consente la richiesta di revoca urgente degli amministratori, qualora vi sia la sussistenza di un danno attuale, causato dall’illegittimo rifiuto degli amministratori; provocare un danno diretto al patrimonio del socio (indipendentemente dal pregiudizio creato alla società) e, dunque, consentire al socio di esperire l’azione di responsabilità ex art. 2476, c. 6, C.C.; integrare la casistica illecita dell’impedito controllo, che può assumere rilievo amministrativo o penale in base all’art. 2625, cc. 1 e 2 C.C.
Sarebbe opportuno proporre alle società clienti di studio di modificare lo statuto sociale, inserendo clausole “di raffreddamento” che prevengano il contenzioso interno, come avallato anche dalla Fondazione Notariato.