Credito imposta e registrazioni contabil

Boom dei crediti d’imposta, attrezzarsi alla gestione contabile

Numerosi adempimenti iniziando dalle scritture, senza che siano disponibili software specifici. Inoltre le disposizioni di prassi sono in continuo aggiornamento e offrono scarsi punti d’appiglio.

  • La normativa d’emergenza ha istituito molti crediti d’imposta a favore delle imprese, senza che esistano sistemi gestionali o software a oggi in grado di automatizzare i numerosi adempimenti connessi. Inoltre le disposizioni di prassi sono in continuo aggiornamento, offrendo scarsi punti d’appiglio.
  • Si ricorda che i beneficiari delle misure sono tenuti a specifiche scritture sul libro giornale per contabilizzare sia il credito d’imposta (SP Dare), sia il corrispondente contributo (CE Avere).
    • Dichiarazione dei redditi – Inoltre, a prescindere dal fatto che (come accade nella maggioranza dei casi) tale beneficio possa essere fiscalmente irrilevante, le scritture che hanno effetto a conto economico devono essere accompagnate da corrispondenti variazioni in diminuzione nella dichiarazione dei redditi.
    • Esempio – credito d’imposta per investimento in beni strumentali nuovi: essendo possibile optare per la modalità contabile che prevede di considerare il contributo come ricavo anticipato, da imputare per quote di competenza al conto economico in relazione alla durata degli ammortamenti dei beni agevolati, emerge anche la necessità di contabilizzare il contributo (CE Avere) utilizzando la tecnica dei risconti passivi, per spalmarlo in base alla durata del periodo di ammortamento.
    • Utilizzo in compensazione – Devono essere eseguite scritture specifiche anche al momento dell’utilizzo del credito d’imposta in F24: la compensazione dei debiti esposti in delega con il credito d’imposta, deve trovare esatta corrispondenza in contabilità con la riduzione del credito d’imposta (in Avere) per effetto del suo utilizzo.
  • Per citare qualche esempio degli adempimenti da pianificare, il solo Decreto Rilancio (D.L. 34/2020) istituisce i seguenti crediti d’imposta:
    • credito d’imposta per canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda (art. 28);
    • credito d’imposta del 50% dei costi di costituzione o trasformazione in società benefit (art. 38-ter);
    • credito d’imposta per mancata partecipazione a fiere e manifestazioni commerciali (art. 46-bis);
    • credito d’imposta per contenere gli effetti negativi sulle rimanenze finali di magazzino nel settore tessile, della moda e degli accessori (art. 48-bis);
    • credito d’imposta per adeguamento degli ambienti di lavoro (art. 120);
    • credito d’imposta ottenuto dalle detrazioni in sconto utilizzabili dal fornitore, anche cedibile a terzi (art. 121);
    • credito d’imposta per sanificazione e acquisto Dpi (art. 125);
    • credito d’ imposta per attività R&S nel Mezzogiorno e nelle Regioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e 2017;
    • credito d’imposta per aumento del capitale sociale (art. 26).

Rimanenze come gestire lo scarico

La perdita di merce non si registra in contabilità in maniera diretta (ossia con scrittura contabile), ma solo in maniera indiretta, ossia mediante una minor valutazione delle stesse, giacenti al 31/12.

Ecco come fare per abbattere il valore delle rimanenze

Tutto parte dalla gestione del magazzino

Se anche tu sei titolare di un’attività commerciale che comporta una gestione del magazzino, piccolo o grande che sia, oppure sei un artigiano o un professionista, ogni anno ti ritrovi a fare l’inventario di una mole di prodotti il cui ammontare molto spesso non coincide con gli importi risultanti dalle scritture contabili, cioè dall’inventario contabile.

Questo significa che anno dopo anno, una scorretta gestione del magazzino comporterà un disallineamento tra l’inventario fisico e quello contabile, e dal quale risulteranno ammanchi di merce che dovrai poi giustificare.


Facciamo due ipotesi:
1. Quando le giacenze fisiche di magazzino sono superiori a quelle contabili: allora si potrebbe configurare una situazione di acquisto di merce in nero che pur non essendo state contabilizzate si trovano nei locali in cui si svolge l’attività.

2. Quando le giacenze risultanti dalla contabilità sono maggiori di quelle fisiche: allora ci si potrebbe trovare di fronte ad una situazione di cessione di merci in nero con conseguente evasione dell’IVA e alterazione della base imponibile delle altre imposte dirette (Irpef, Irap, Ires).

In entrambi i casi, in seguito alle verifiche fiscali condotte dall’Amministrazione Finanziaria, ti troverai nella spiacevole posizione di dover dimostrare le discrepanze contestate. Si manifesta dunque il classico esempio di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, nel senso che spetta proprio al contribuente dover dimostrare che le merci esistenti in misura maggiore o minore detenute presso il proprio magazzino sono:- state utilizzate per la produzione;
– andate perse o distrutte;
– utilizzate per l’autoconsumo;
– depositate presso propri agenti o rappresentanti;
– cedute a terzi;
– devolute in beneficenza.


Il tutto va comunque giustificato con gli opportuni documenti, quali ricevute, fatture, autofatture, contratti, documenti di trasporto, verbali, autocertificazioni, ecc.

Vediamo di seguito quali sono le tecniche che è possibile adottare per mantenere nel tempo il giusto valore del magazzino.
 

Attenzione: le stesse procedure che analizzeremo valgono anche per i beni strumentali, quali attrezzature, fabbricati, impianti, macchinari, e tutti quei beni necessari all’impresa e senza dei quali l’imprenditore non potrebbe svolgere la sua attività.


Cosa fare nel caso di merci obsolete o invendibili?

Una delle situazioni delicate che spesso il titolare di un’azienda deve affrontare, e che potrebbe comportare non pochi problemi in sede di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, accade quando ci si trova a dover ridurre il valore delle rimanenze di magazzino al verificarsi di particolari situazioni che permetterebbero di non pagare l’IVA o altre imposte dirette per merci in eccesso o addirittura inferiori rispetto a quelle documentate, che altrimenti falserebbero la reale situazione contabile.

Le principali disposizioni che consentono di dismettere le merci invendibili e la necessaria riduzione del valore complessivo del magazzino permettono:
1. per i beni obsoleti fuori commercio, la cessione a titolo gratuito a favore di enti non commerciali, quali Onlus e associazioni riconosciute;
2. per le merci invendibili, la distruzione volontaria;
3. per i beni soggetti a furti, avaria, calamità naturali o ammanchi per eventi fortuiti, l’attestazione del loro venir meno.

CESSIONE GRATUITA DEI BENI OBSOLETI FUORI COMMERCIO

Come per tutte le attività imprenditoriali, può capitare di ritrovarsi in magazzino merce ancora invenduta che nel corso degli anni può diventare obsoleta, fuori moda e quindi non più commercializzabile, costringendo così il titolare, ove possibile, ad operare una svendita al di sotto del prezzo di mercato, se non del costo di acquisto o di produzione.
 

In tutto ciò l’IVA va comunque pagata, insieme alle altre imposte dirette.


Arrivati a questo punto, per ovviare a questo “fastidioso” adempimento amministrativo del pagamento dell’imposta, un’alternativa potrebbe essere quella di cedere gratuitamente i beni non più vendibili perché fuori commercio a delle associazioni riconosciute oppure a delle Onlus che per definizione non svolgono attività lucrative, rinunciando però a quella piccola parte di guadagno derivante dall’eventuale vendita a prezzi molto contenuti.


A chi va fatta la cessione della merce obsoleta?

Per questa tipologia di merci obsolete, difettose, comunque invendibili, secondo l’articolo 10 comma 12 del DPR 633/1972sono considerate esenti da IVA quelle operazioni effettuate a titolo gratuito a favore di enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio, ricerca scientifica e alle Onlus.


Come fare la cessione della merce obsoleta?

La cessione della merce in questione, per essere considerata esente da IVA deve essere effettuata:- a titolo gratuito;
– a favore di enti non commerciali che ottengono un vantaggio dalla donazione e che non devono dare alcun corrispettivo.


Qual è la procedura per considerare la cessione esente da IVA?

La procedura che bisogna seguire per far sì che questi beni siano ceduti senza IVA, in totale esenzione dall’applicazione dell’imposta, superando la “presunzione di cessione”, è la seguente:

Per i beni non deperibili:

– comunicare all’Agenzia delle Entrate, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata, il nominativo dell’ente beneficiario, la data, l’ora, il luogo in cui avverrà la cessione a titolo gratuito, o il luogo di destinazione finale di consegna, con l’indicazione del valore complessivo dei beni ceduti al costo storico;
– compilare il documento di trasporto di consegna come disposto dal DPR 472/1986;
– predisporre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da far sottoscrivere al legale rappresentante dell’ente beneficiario, che attesta di aver effettivamente ricevuto i beni ceduti, con l’indicazione della quantità e della qualità degli stessi.

Per i beni deperibili:

per i prodotti deperibili come quelli alimentari, scaduti o prossimi alla scadenza e non più commercializzabili, ai sensi dell’articolo 6 della Legge 133/1999si considerano distrutti ai fini IVA quando ceduti a titolo gratuito agli stessi enti non commerciali o alle Onlus.

DISTRUZIONE VOLONTARIA O TRASFORMAZIONE DI MERCI NON COMMERCIALIZZABILI

L’adeguamento del valore delle rimanenze di magazzino (o dei beni strumentali) all’effettivo stato in cui si trovano, con la loro legittima riduzione, si può ottenere anche attraverso la distruzione volontaria ad opera dell’imprenditore o trasformazione in altri beni.
 

Sottolineo volontaria perché questa procedura può essere adottata solo quando a realizzarla è la libera iniziativa dell’imprenditore, e non quando si verificano i normali scarti, cali o eventi esterni alla volontà dell’imprenditore.


Come avviene la distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza?

La distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza può essere provata nei seguenti modi:

Per i beni il cui costo storico è uguale o superiore a 10.000 €:

– tramite la presenza dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza durante le operazioni di distruzione o trasformazione della merce;
– occorre comunicare ai funzionari di cui sopra almeno 5 giorni prima le operazioni di distruzione o trasformazione, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata. La comunicazione deve contenere la data, l’ora, il luogo dove avverrà l’operazione, la modalità di distruzione o trasformazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci;
– oppure far redigere un verbale da parte di un funzionario pubblico, di un ufficiale della Guardia di Finanza o di un notaio.

Attenzione: si consiglia di non aspettare gli ultimi giorni per fare la comunicazione preventiva, ma attivarsi in tempo utile per evitare le lungaggini burocratiche e i ritardi dovuti agli uffici.


Per i beni il cui costo storico è inferiore a 10.000 €:

la comunicazione preventiva non è obbligatoria, ma è necessario comunque redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui si attestano i dati delle merci distrutte o trasformate con le indicazioni sopra descritte.

In alternativa alla distruzione diretta, è possibile procedere alla distruzione indiretta, consegnando le merci a un soggetto autorizzato secondo le norme previste in tema di smaltimento rifiuti.

RIDUZIONE DELLE RIMANENZE PER EVENTI CALAMITOSI, FURTI, AVARIA O ALTRI EVENTI FORTUITI

In presenza di eventi calamitosi, terremoti, allagamenti, furti, distruzione non volontaria delle merci o altre circostanze che non dipendono chiaramente dalla volontà dell’imprenditore, occorre provare quanto accaduto mediante:- la documentazione redatta da funzionari pubblici;
– la dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta entro 30 giornidall’evento che ha causato la perdita dei beni e presentata alle autorità competenti.

Nella dichiarazione sostitutiva deve essere indicato il valore complessivo dei beni, i criteri adottati per la sua determinazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci.


Che fine fanno i documenti prodotti per denunciare le procedure adottate?

Tutti i documenti prodotti devono essere consegnati al Commercialista affinché possa contabilizzarli e giustificare così l’avvenuta cessione a titolo gratuito, oppure la distruzione o trasformazione volontaria, oppure ancora la perdita dei beni per eventi esterni e calamitosi.

La prova documentale consente dunque di cancellare il valore di beni che non esistono più in azienda a seguito delle procedure adottate, tenerne conto ai fini della dichiarazione dei redditi e degli studi di settore, non considerarli come vendita produttiva di ricavi e imponibili ai fini IVA.


Cosa accade se non applico le procedure descritte?

Se in sede di controlli fiscali non si dovessero rinvenire quelle merci, la mancata applicazione delle procedure di cui sopra comporterà sicuramente la presunzione che le stesse sono state cedute in disapplicazione della legge, quindi evadendo le imposte, con la conseguente rideterminazione del reddito imponibile, nonché l’applicazione delle relative sanzioni per l’evasione dell’IVA e delle altre imposte dirette. A meno che il contribuente non riesca a dimostrare in modo inequivocabile il motivo della loro assenza dall’azienda.

Credito Imposta registratore Cassa RT – riferimento anno di pagamento F24 per le compensazioni

In tale sezione devono essere indicati i crediti d’imposta maturati nel corso del periodo fiscale e devono essere indicati anche i loro utilizzi. Per ciascuna agevolazione deve essere compilato un apposito modulo nel quale vanno esposti il codice identificativo del credito vantato (codice credito), nonché i dati previsti nei righi da RU2 a RU12.

Nel caso in esame il codice del credito da inserire nel rigo RU1 colonna 1 è  F9 (Credito d’imposta per l’acquisto o l’adattamento degli strumenti per la memorizzazione e trasmissione telematica dei corrispettivi – art. 2, c. 6-quinquies, D.Lgs. 127/2015)

Nel rigo RU5, colonna 3, si deve inserire l’ammontare complessivo del credito maturato nel periodo d’imposta cui si riferisce la dichiarazione.

Nel rigo RU6, l’ammontare del credito utilizzato in compensazione ai sensi del D. Lgs. n. 241 del 1997 nel periodo d’imposta cui si riferisce la presente dichiarazione, avendo cura di riportare gli utilizzi effettuati con il codice tributo relativo al credito indicato nel rigo RU1″

Nel rigo RU7, colonne 1, 2, 3, 4, 5 e 6, si deve indicare l’ammontare del credito utilizzato in diminuzione delle imposte e ritenute indicate nelle stesse colonne.

Stesso quadro (RU) e stessa modalità di compilazione per il Modello Redditi SC/Enc e per il Modello Redditi SP.

Autovetture, professionisti ed imprese

Si chiede se un professionista/ditta individuale possa utilizzare il rimborso kilometrico della propria auto detenuta a titolo personale?

Risposta
Per gli esercenti attività professionale la disciplina sulla deducibilità dei costi relativi ai veicoli deriva dal combinato disposto dell’art. 54 e dell’art. 164 del TUIR.
Il presupposto per la deducibilità dei costi relativi ai veicoli risiede nella circostanza che il bene sia strumentale all’esercizio della professione. Al riguardo, si osserva che, a differenza di quanto previsto dall’art. 65 del TUIR per gli imprenditori individuali, nell’ambito della determinazione del reddito professionale non è prevista una disposizione in base alla quale si considerano beni relativi all’impresa (e non beni personali) quelli indicati nell’inventario (cfr. circ. CNDCEC 1/2008, § 2). Di conseguenza, ciò che conta è l’effettivo utilizzo come bene strumentale all’attività svolta.
Oltre a ciò, tuttavia, assume rilievo il rispetto degli obblighi di documentazione e registrazione delle spese; tali obblighi, ancorché non espressamente stabiliti dall’art. 54, si desumono dal principio dell’onere della prova e della relative limitazioni vigenti in ambito tributario (cfr. Cotto A., Odetto G., Valente G. “TUIR”, Guide e Soluzioni, IPSOA, Milano, 2012, p. 679 ss).
Con riferimento al requisito della documentazione dei componenti negativi del reddito professionale, ai sensi dell’art. 3 del DPR 696/96, ai fini della deducibilità delle spese sostenute è quindi necessaria la ricevuta o la fattura.
Per quanto sopra, nonostante l’autovettura sia stata acquistata a titolo personale, si ritiene che i relativi costi di funzionamento (quali, ad esempio, costi di carburante, manutenzione) siano deducibili ove correttamente documentati e registrati nella contabilità del professionista.
In merito all’imprenditore individuale si osserva, invece, che l’art. 65 del TUIR dispone che il passaggio dalla sfera personale a quella imprenditoriale dei beni avviene con l’iscrizione del bene nell’inventario tenuto a norma dell’art. 2217 c.c.
Pertanto l’imprenditore, ai fini della deducibilità dei costi relativi al veicolo, deve iscrivere il bene nell’inventario.

Calcolo Plusvalenza/Minusvalenza Foglio Excel da cessione bene strumentale

Nell’ipotesi di beni parzialmente deducibili (es. autovetture), le plusvalenze e le minusvalenze patrimoniali rilevano nella stessa proporzione esistente tra l’ammontare dell’ammortamento fiscalmente dedotto e quello complessivamente effettuato (circ. Agenzia delle Entrate 4.8.2006 n. 28, § 38). Viene, in tal modo, estesa anche ai professionisti l’analoga modalità di calcolo prevista per le imprese, secondo il seguente rapporto:

Ammortamento fiscalmente dedotto/Ammortamento complessivo

Le plusvalenze sono fiscalmente rilevanti al momento della percezione del corrispettivo (circ. n. 28/E/2006, § 38). Infatti, l’art. 54 del TUIR sancisce l’applicazione del criterio di cassa come principio generalmente applicabile nella determinazione del reddito di lavoro autonomo, che può esser derogato solo nei casi espressamente previsti dai successivi commi della medesima disposizione (ris. Agenzia delle Entrate 16.2.2006 n. 30).

L’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR prevede, limitatamente ai titolari di reddito di lavoro autonomo, un limite numerico alla rilevanza fiscale dei veicoli.

In base alla richiamata disposizione, nel caso di “esercizio di arti e professioni in forma individuale, la deducibilità è ammessa, nella misura del 20 per cento, limitatamente ad un solo veicolo”. Inoltre, se l’attività è svolta da società semplici e da associazioni, la deducibilità è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato.

In via generale, tale previsione normativa non deve essere interpretata come obbligo di dedurre i costi relativamente al medesimo veicolo; qualora il professionista decida, nel corso dell’anno, di sostituire l’autovettura, l’ammortamento è deducibile, nei limiti dell’art. 164 del TUIR, e per la quota parte riferibile al periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta alla data di cessione (si ritiene applicabile quanto prospettato, in materia di reddito d’impresa, dalla ris. Agenzia delle Entrate 41/2002).
In altri termini, i costi relativi al nuovo veicolo sono deducibili, posto che la locuzione dell’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR “limitatamente ad un solo veicolo” deve intendersi diretta a vietare la deduzione dei costi di eventuali mezzi di trasporto aggiuntivi, mentre non ha alcun rilievo in caso di sostituzione dell’unico veicolo del professionista (si veda “Deducibile un solo veicolo per professionista” del 14 febbraio 2011).

Con riferimento all’ipotesi in cui un professionista utilizzi due autovetture per l’espletamento della propria attività, la Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, per espressa disposizione normativa, il contribuente potrà portare in deduzione le spese relative all’utilizzo di un solo autoveicolo.

La scelta di quale dei due veicoli considerare fiscalmente rilevante sembra rimessa al contribuente, anche in considerazione del fatto che la norma introduce soglie alla deducibilità dei costi che impediscono eventuali arbitraggi.
In virtù di tale libertà di scelta, non sembrano sussistere impedimenti a che il titolare di reddito di lavoro autonomo proprietario di un’autovettura completamente ammortizzata ne acquisti una nuova senza cedere la prima e su questa seconda autovettura conteggi gli ammortamenti fiscalmente deducibili.

Più delicato è il caso in cui il professionista utilizzi in determinati periodi dell’anno un veicolo (ad esempio, lo scooter) e in altri periodi un altro (ad esempio, l’autovettura).
Premesso che, nella sostanza, gli effetti potrebbero essere non molto dissimili, una prima soluzione potrebbe essere quella di dedurre solo i costi dell’autovettura relativi all’intero periodo d’imposta, in accordo con la natura forfetaria dell’art. 164 del TUIR.
In linea teorica, si potrebbe anche voler optare per una ripartizione dei costi in funzione dell’effettivo utilizzo, ad esempio perché sono state stipulate assicurazioni temporanee su entrambi i veicoli.

In assenza di indicazioni ufficiali, si può ipotizzare il seguente ragionamento.
Come riportato, la norma vuole vietare che in capo al professionista vengano dedotti contemporaneamente i costi relativi a più veicoli. Ciò in quanto l’art 164 del TUIR forfettizza l’inerenza delle spese delle autovetture, sia con riferimento alla percentuale di deducibilità (attualmente il 20%), sia con riferimento al numero massimo di autovetture deducibili.

Tanto premesso, anche ripartendo i costi su base temporale, sembra che la ratio della norma non venga disattesa, posto che la deduzione spetterebbe pro quota, in relazione al periodo di effettivo utilizzo e ai costi relativi a ciascun veicolo utilizzato.

Per altro verso, si potrebbe sostenere che il requisito in parola debba essere verificato su base annua e che, quindi, i costi deducibili siano relativi solo ad un veicolo a periodo d’imposta.
Tale conclusione suscita alcune perplessità.
In primo luogo, la lettera della norma non contiene chiaramente una previsione di tale portata.
Secondariamente, si creerebbe una disparità di trattamento tra i veicoli in proprietà e quelli noleggiati, posto che nel caso in esame, fermi restando i limiti di cui all’art. 164 del TUIR, la successione del noleggio di due veicoli nell’arco dell’anno determinerebbe costi di noleggio deducibili.

Da segnalare che, in relazione ai profili IVA, l’art. 19-bis1 comma 1 lett. c) del DPR 633/72 prevede che “l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore, diversi da quelli di cui alla lettera f) dell’allegata tabella B, e dei relativi componenti e ricambi è ammessa in detrazione nella misura del 40 per cento se tali veicoli non sono utilizzati esclusivamente nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione. La disposizione non si applica, in ogni caso, quando i predetti veicoli formano oggetto dell’attività propria dell’impresa nonché per gli agenti e rappresentanti di commercio”.

Al riguardo, la citata Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, seppur ai fini IVA l’art. 19-bis1 non disciplini espressamente, così come previsto dall’art. 164 del TUIR, alcun limite numerico, la detrazione nella misura del 40% deve essere, in ogni caso, strettamente connessa alla sussistenza del requisito dell’inerenza, vale a dire alla dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo impiego del bene nell’ambito dell’attività esercitata.
In presenza di veicoli che rispondano a diverse finalità di utilizzo, comunque inerenti l’attività esercitata, non si può escludere quindi la possibilità di detrarre l’IVA per entrambi i veicoli.

Quante Autovetture? Per il professionista UNA

L’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR prevede, limitatamente ai titolari di reddito di lavoro autonomo, un limite numerico alla rilevanza fiscale dei veicoli.

In base alla richiamata disposizione, nel caso di “esercizio di arti e professioni in forma individuale, la deducibilità è ammessa, nella misura del 20 per cento, limitatamente ad un solo veicolo”. Inoltre, se l’attività è svolta da società semplici e da associazioni, la deducibilità è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato.

In via generale, tale previsione normativa non deve essere interpretata come obbligo di dedurre i costi relativamente al medesimo veicolo; qualora il professionista decida, nel corso dell’anno, di sostituire l’autovettura, l’ammortamento è deducibile, nei limiti dell’art. 164 del TUIR, e per la quota parte riferibile al periodo che va dall’inizio del periodo d’imposta alla data di cessione (si ritiene applicabile quanto prospettato, in materia di reddito d’impresa, dalla ris. Agenzia delle Entrate 41/2002).
In altri termini, i costi relativi al nuovo veicolo sono deducibili, posto che la locuzione dell’art. 164 comma 1 lett. b) del TUIR “limitatamente ad un solo veicolo” deve intendersi diretta a vietare la deduzione dei costi di eventuali mezzi di trasporto aggiuntivi, mentre non ha alcun rilievo in caso di sostituzione dell’unico veicolo del professionista (si veda “Deducibile un solo veicolo per professionista” del 14 febbraio 2011).

Con riferimento all’ipotesi in cui un professionista utilizzi due autovetture per l’espletamento della propria attività, la Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, per espressa disposizione normativa, il contribuente potrà portare in deduzione le spese relative all’utilizzo di un solo autoveicolo.

La scelta di quale dei due veicoli considerare fiscalmente rilevante sembra rimessa al contribuente, anche in considerazione del fatto che la norma introduce soglie alla deducibilità dei costi che impediscono eventuali arbitraggi.
In virtù di tale libertà di scelta, non sembrano sussistere impedimenti a che il titolare di reddito di lavoro autonomo proprietario di un’autovettura completamente ammortizzata ne acquisti una nuova senza cedere la prima e su questa seconda autovettura conteggi gli ammortamenti fiscalmente deducibili.

Più delicato è il caso in cui il professionista utilizzi in determinati periodi dell’anno un veicolo (ad esempio, lo scooter) e in altri periodi un altro (ad esempio, l’autovettura).
Premesso che, nella sostanza, gli effetti potrebbero essere non molto dissimili, una prima soluzione potrebbe essere quella di dedurre solo i costi dell’autovettura relativi all’intero periodo d’imposta, in accordo con la natura forfetaria dell’art. 164 del TUIR.
In linea teorica, si potrebbe anche voler optare per una ripartizione dei costi in funzione dell’effettivo utilizzo, ad esempio perché sono state stipulate assicurazioni temporanee su entrambi i veicoli.

In assenza di indicazioni ufficiali, si può ipotizzare il seguente ragionamento.
Come riportato, la norma vuole vietare che in capo al professionista vengano dedotti contemporaneamente i costi relativi a più veicoli. Ciò in quanto l’art 164 del TUIR forfettizza l’inerenza delle spese delle autovetture, sia con riferimento alla percentuale di deducibilità (attualmente il 20%), sia con riferimento al numero massimo di autovetture deducibili.

Tanto premesso, anche ripartendo i costi su base temporale, sembra che la ratio della norma non venga disattesa, posto che la deduzione spetterebbe pro quota, in relazione al periodo di effettivo utilizzo e ai costi relativi a ciascun veicolo utilizzato.

Per altro verso, si potrebbe sostenere che il requisito in parola debba essere verificato su base annua e che, quindi, i costi deducibili siano relativi solo ad un veicolo a periodo d’imposta.
Tale conclusione suscita alcune perplessità.
In primo luogo, la lettera della norma non contiene chiaramente una previsione di tale portata.
Secondariamente, si creerebbe una disparità di trattamento tra i veicoli in proprietà e quelli noleggiati, posto che nel caso in esame, fermi restando i limiti di cui all’art. 164 del TUIR, la successione del noleggio di due veicoli nell’arco dell’anno determinerebbe costi di noleggio deducibili.

Da segnalare che, in relazione ai profili IVA, l’art. 19-bis1 comma 1 lett. c) del DPR 633/72 prevede che “l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di veicoli stradali a motore, diversi da quelli di cui alla lettera f) dell’allegata tabella B, e dei relativi componenti e ricambi è ammessa in detrazione nella misura del 40 per cento se tali veicoli non sono utilizzati esclusivamente nell’esercizio dell’impresa, dell’arte o della professione. La disposizione non si applica, in ogni caso, quando i predetti veicoli formano oggetto dell’attività propria dell’impresa nonché per gli agenti e rappresentanti di commercio”.

Al riguardo, la citata Nota DRE Toscana 6 febbraio 2013 n. 911-4942 ha affermato che, seppur ai fini IVA l’art. 19-bis1 non disciplini espressamente, così come previsto dall’art. 164 del TUIR, alcun limite numerico, la detrazione nella misura del 40% deve essere, in ogni caso, strettamente connessa alla sussistenza del requisito dell’inerenza, vale a dire alla dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo impiego del bene nell’ambito dell’attività esercitata.
In presenza di veicoli che rispondano a diverse finalità di utilizzo, comunque inerenti l’attività esercitata, non si può escludere quindi la possibilità di detrarre l’IVA per entrambi i veicoli.

Stato emergenza e Cedolare secca e fondo perduto

Fondo perduto: spetta sempre il contributo minimo nelle zone colpite da calamità – cedolare secca al 10%.

Al fine di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica “Covid-19”, il decreto Rilancio prevede all’art. 25, un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa, di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA in possesso di specifici requisiti. Nello specifico, il contributo spetta a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019.

La deroga alla regola generale prevista per i comuni colpiti da eventi calamitosi – Ebbene, se di regola l’accesso al contributo a fondo perduto necessita la prova della sussistenza di una riduzione del fatturato del richiedente di circa un terzo tra aprile 2019 e lo stesso mese del 2020 la situazione per molti richiedenti potrebbe essere diversa.

Infatti, il comma 4 ultimo periodo del mentovato articolo 25 prevede delle deroghe alla regola generale illustrata in quanto così dispone: “Il predetto contributo spetta anche in assenza dei requisiti di cui al presente comma (ovvero anche in assenza del calo di fatturato testé indicato, ndr) ai soggetti che hanno iniziato l’attività a partire dal 1° gennaio 2019 nonché ai soggetti che, a far data dall’insorgenza dell’evento calamitoso, hanno il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti dai predetti eventi i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19”.

In sostanza, attraverso la disposizione normativa testé richiamata, il legislatore riconosce la possibilità di godere dei fondi in parola, a prescindere dalla sussistenza del calo di fatturato richiesto quale regola generale per avanzare legittimamente l’istanza, a tutti quei contribuenti che abbiano il domicilio fiscale o la sede operativa nel territorio di comuni colpiti da eventi calamitosi (sismi, alluvioni o altri eventi naturali avversi) i cui stati di emergenza erano ancora in atto alla data di dichiarazione dello stato di emergenza Covid-19 ovvero al 31 gennaio 2020.

Proprio con riferimento ai predetti comuni a pag. 7 delle istruzioni alla compilazione dell’istanza per il riconoscimento del contributo a fondo perduto è riportata “a titolo indicativo e non esaustivo” una breve lista di comuni i cui richiedenti, per effetto di quanto appena illustrato, potranno richiedere di godere dei fondi anche in assenza di una flessione del proprio fatturato.

L’elenco citato richiama, ad esempio, i comuni interessati dal terremoto del centro Italia del 2016 che ha colpito in particolare le regioni dell’Abbruzzo, Lazio, Marche e Umbria o le province etnee colpite dal sisma del 2018.

Come precisato l’elenco non ha carattere esaustivo, per cui al fine di definire quali comuni siano interessati dal citato beneficio è necessario individuare per ciascuna regione e per ciascun singolo comune se per quel territorio al 31 gennaio 2020 (quindi alla dichiarazione di emergenza da Covid-19) era in essere uno stato d’emergenza.

In sostanza, verificata la presenza del proprio comune fra quelli oggetto delle delibere emergenziali, i contribuenti potranno presentare istanza per l’erogazione dei contributi a fondo perduto:
nella misura minima per i contribuenti che non hanno registrato alcun calo del fatturato tra 2019 e 2020;
nelle percentuali all’uopo previste (che vanno dal 10 al 20%) in presenza del calo medesimo.

La dichiarazione dello stato di emergenza – Sull’argomento si precisa che la delibera con cui viene dichiarato lo stato di emergenza è di competenza del Consiglio dei Ministri, mentre spetta al Capo del Dipartimento per la protezione civile il potere di ordinanza il quale deve essere oggetto di intesa con le regioni territorialmente interessate.

Gli eventi metereologici di particolare intensità del 2018 – Ad esempio, tra gli eventi calamitosi più recenti vanno annoverati, senza dubbio, gli eventi metereologici di particolare intensità che a partire dal 2 ottobre 2018 hanno interessato molte delle regioni italiane.

Proprio in relazione ai medesimi, la delibera del consiglio dei ministri dell’8 novembre 2018 al comma 1 prevedeva che fosse dichiarato per 12 mesi dalla data del citato provvedimento (quindi fino all’8 novembre 2019) lo stato di emergenza per i territori di alcune Regioni ovvero Calabria, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Toscana, Sardegna, Sicilia, Veneto e province autonome di Trento e Bolzano.

Successivamente, con delibera del 21 novembre 2019, il consiglio dei ministri ha esteso di ulteriori 12mesi (quindi sino al 8 novembre 2020) lo stato di emergenza per le regioni interessate dai precedenti provvedimenti.

È chiaro dunque che in applicazione di quanto previsto dal comma 4 dell’art. 25 per moltissimi comuni siti nelle regioni sopra elencate il contributo Covid a fondo perduto potrà essere chiesto, anche in mancanza del calo di fatturato, nella misura minima per effetto della vigenza dello stato d’emergenza al 31 gennaio 2020 nel comune in cui il richiedente ha il domicilio fiscale o la sede operativa.

Lo stato di emergenza in Sicilia – La regione Sicilia negli ultimi anni è stata interessata da diversi eventi naturali avversi.
Essa, infatti, è stata tra le Regioni interessate dagli intensi eventi metereologici di ottobre 2018, motivo per cui rientra tra i territori interessati dalla delibera dello stato di emergenza dell’8 novembre 2018, poi prorogato sino all’8 novembre 2020.

Inoltre, il Consiglio dei Ministri del 17 gennaio 2019, in considerazione degli ulteriori eventi metereologici eccezionali verificatisi nei giorni 8-11 novembre 2018, ha poi esteso gli effetti dello stato di emergenza dichiarato in data 8 novembre 2018 anche al territorio della provincia di Trapani.

Successivamente, nel settembre 2019 altri eventi calamitosi di natura climatica hanno interessato le province siciliane, motivo per cui un nuovo stato di emergenza della durata di 12 mesi è stato dichiarato con la delibera del consiglio dei ministri del 21 novembre 2019.

In considerazione di ciò molti comuni siciliani si trovano ancora ad oggi in stato di emergenza e tale condizione, come detto, assume particolare rilievo per i contribuenti interessati a richiedere l’erogazione del contributo a fondo perduto previsto dall’art.25 del DL Rilancio.

A tal fine, risulta indispensabile la puntuale individuazione dei Comuni effettivamente interessati dalle delibere emergenziali citate (sul punto cfr. risposta interpello Agenzia delle Entrate n. 470/2019).

Per effettuare correttamente tale individuazione bisogna fare riferimento agli atti emessi dalla giunta regionale siciliana. Ebbene, per quanto concerne gli eventi calamitosi del 2018 il documento cui fare riferimento per l’esatta individuazione dei comuni interessati è la deliberazione della giunta n. 201 del 30 maggio 2019 (vedi allegato) mentre con riferimento agli eventi del 2019 l’atto di riferimento sarà la deliberazione n. 386 del 1° novembre 2019.

Pertanto, i contribuenti che intendono richiedere il contributo a fondo perduto, seppur nella misura minima, potranno vagliare la legittimità della richiesta ai sensi del comma 4 dell’art. 25 verificando se il comune, in cui hanno il domicilio fiscale o la sede operativa, era interessato da una dichiarazione dello stato di emergenza alla data 31 gennaio 2020.

Valore Fiscale ISA e Beni Strumentali ammortamento, spese manutenzione

SPESE MANUTENZIONE

Per calcolare il valore delle spese di manutenzione è necessario avere il valore al 01 gennaio dei beni strumentali. In expertup per calcolare ciò è necessario stampare in definitivo il libro cespiti per l’anno osservato in DR.

VALORE BENI STRUMENTALI ISA AL 31/12/2019

Il valore da far riportare nel quadro ISA viene valorizzato in automatico, solo se in CESPITI/STRUMENTI/STAMPA FISCALE BENI STRUMENTALI. In conseguenza di tale operazione verrà riporto il valore nel quadro ISA (valore beni strumentali)

Spese manutenzione (appunti)

Quesito del 18.4.2018
Si chiede se il limite del 5% del costo complessivo dei beni ammortizzabili di cui all’art. 102 co. 6 del TUIR debba essere inteso come limite massimo per la deduzione delle spese di manutenzione e, quindi, se il contribuente possa dedurre un importo inferiore al predetto limite, rinviando comunque la deduzione dell’eccedenza in quote costanti nei cinque esercizi successivi.

Risposta
In via preliminare, si ricorda che, ai sensi dell’art. 102 co. 6 del TUIR:
– le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, cioè non capitalizzate (manutenzione ordinaria), sono deducibili nel limite del 5% del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultanti all’inizio dell’esercizio dal registro dei beni ammortizzabili;
– l’eccedenza è deducibile per quote costanti nei 5 esercizi successivi;
– resta ferma la deducibilità nell’esercizio di competenza dei compensi periodici dovuti contrattualmente a terzi per la manutenzione di determinati beni, del cui costo non si tiene conto nella determinazione del suddetto limite percentuale.
In merito alla questione sottoposta alla nostra attenzione, non sono rinvenibili, a quanto ci consta, chiarimenti ufficiali, né interventi giurisprudenziali.
Secondo la dottrina che si è occupata della materia (Valacca R. “Le spese di manutenzione nella pianificazione fiscale”, Corriere Tributario, 48, 1993, p. 3179; Andreani G. “Chiusura dei conti, bilancio e dichiarazione dei redditi – Le spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione”, Il fisco, 44, 1996, p. 10715 ss.; Marcello R., Lucido N. “Le spese di manutenzione e riparazioni sui beni di terzi: l’ipotesi dei beni in leasing iscritti in bilancio secondo il metodo finanziario”, Il fisco, 3, 2012, p. I/316 ss.), in base al tenore letterale della norma (ai sensi della quale le spese in esame “sono deducibili nel limite del 5 per cento”), il plafond del 5% dovrebbe costituire un “limite massimo”, oltre il quale non risulta possibile effettuare alcuna deduzione. Dovrebbe, quindi, essere possibile dedurre le spese di manutenzione per un importo inferiore al 5%. In questo caso, l’eccedenza (“deducibile per quote costanti nei cinque esercizi successivi”) dovrebbe essere calcolata rispetto all’ammontare dedotto e non rispetto allo stesso limite del 5%. Non sembrerebbe, per contro, corretto considerare il plafond come una “misura fissa” di deducibilità, che non può essere oggetto di deroghe e che deve essere necessariamente rispettata.
In questo senso sembrerebbero esprimersi anche Campi R. “I costi di manutenzione, riparazione, ammodernamento e trasformazione prima e dopo l’entrata in vigore del Testo Unico delle imposte sui redditi”, Il fisco, 9, 1987, p. 1344 ss. e Renne V. “Reddito d’impresa – Le spese di manutenzione”, Il fisco, 33, 1987, pag. 5223 ss., laddove affermano che l’importo determinato ai sensi dell’art. 102 co. 6 del TUIR costituisce un “limite massimo”.
Aderendo all’orientamento dottrinale riportato e ipotizzando che le spese di manutenzione imputate a Conto economico nell’esercizio 2017 ammontino a 31.000,00 euro e il plafond del 5% sia pari a 11.000,00 euro, il contribuente potrebbe, ad esempio, dedurre le spese nel periodo d’imposta 2017 in misura pari a 1.000,00 euro (inferiore al plafond) e rinviare la deduzione dell’eccedenza (30.000,00 euro) ai periodi d’imposta 2018-2022 nella misura di 6.000,00 euro per ciascun anno.
Tale ricostruzione, per lo più molto risalente, non sembra pienamente appagante sotto il profilo della corretta imputazione temporale.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, infatti, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito sono inderogabili, sia per il contribuente che per gli uffici (da ultimo Cass. 18.1.2017 n. 1107). Pertanto, deve ritenersi rigorosamente preclusa, in tema di reddito d’impresa, la deduzione di costi in esercizi diversi da quello di competenza, “giacché il contribuente non può essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività” (da ultimo Cass. 21.3.2018 n. 7032, 16.12.2015 n. 25282, 24.1.2013 n. 1648, 31.1.2011 n. 2213, 18.2.2011 n. 3947, 15.11.2000 n. 14774).
Con riferimento al caso di specie, è opportuno sottolineare che la disciplina delle spese di manutenzione contenuta nell’art. 102 co. 6 del TUIR (ed, in particolare, la soglia del 5%) è riconducibile all’esigenza di garantire la certezza del rapporto tributario e, più in particolare, di evitare controversie in merito alla qualificazione di una spesa tra quelle di manutenzione ordinaria oppure di manutenzione straordinaria (Falsitta G. “Manuale di diritto tributario”, Wolters Kluwer, Milano, 2016, p. 528-529).
In linea con tale ratio, le spese di manutenzione ordinaria, una volta imputate a Conto economico, dovrebbero essere dedotte in base al principio di competenza e nel limite del 5% sopra indicato.
Dedurre un importo inferiore rispetto a quanto imputato a Conto economico sarebbe in linea con il dettato dell’art. 102 co. 6 del TUIR, ma non con la previsione dell’art. 83 o 109 del TUIR, a seconda della tipologia di impresa.
La questione, in ragione dell’orientamento dottrinale prevalente, appare oggettivamente delicata e, laddove l’Amministrazione ritenesse di aderire ad un orientamento più rigoroso, sembrano sussitere gli estremi per l’applicazione dell’art. 6 co. 2 del DLgs. 472/97, in base al quale “non è punibile l’autore della violazione quando essa è determinata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferiscono”.