Fotovoltaico, unico rigo RL14 (solo se)

Al ricorrere di specifiche condizioni anche l’energia derivante da un impianto fotovoltaico deve essere indicata in sede di dichiarazione dei Redditi. Di seguito approfondiamo insieme la rilevanza fiscale di tale fattispecie nonché le regole e modalità di compilazione del modello 730/2023 o Redditi PF/2023 nei casi in cui sia obbligatoria la dichiarazione.

Premessa

In tale contesto, anche grazie agli incentivi fiscali previsti, è cresciuta l’attenzione per la produzione di energia mediante l’impiego di fonti alternative rispetto alle tradizionali risorse. Tra queste, spicca l’installazione di impianti fotovoltaici finalizzati alla produzione di energia elettrica per cui sono riconosciute diverse detrazioni IRPEF (ecobonus, Superbonus e bonus impianti fonti rinnovabili regionali).

Ma quale rilevanza attribuire all’eventuale produzione di energia eccedente rispetto al fabbisogno quotidiano di chi li ha installati?

Scambio sul posto e vendita dell’energia eccedente

In linea generale, il ritorno economico per il soggetto che installa l’impianto fotovoltaico, non riguarda soltanto il mero autoconsumo (che pure è la componente prioritaria), ma anche la cessione dell’energia esuberante sul mercato.

Nel dettaglio, tale eccedenza può formare oggetto di:

  • scambio sul posto (per impianti sino a 20 Kw): si tratta di una particolare forma di autoconsumo in sito che consente di compensare l’energia elettrica prodotta e immessa in rete in un certo momento con quella prelevata e consumata in un momento differente da quello in cui avviene la produzione;
  • cessione alla rete dell’energia in surplus tramite vendita diretta (iscrizione al mercato dell’energia elettrica) o vendita indiretta (convenzione con il gestore dell’energia).

Il beneficio economico derivante dall’autoconsumo non è tassabile, in quanto derivante dalla riduzione dei prelievi di energia dalla rete nazionale. È invece soggetto a tassazione l’introito derivante dalla cessione dell’energia alla rete elettrica.

Qualora ci si avvalga della procedura dello “scambio sul posto”, i pagamenti sono di due tipologie:

  • contributo in conto scambio: si tratta di un rimborso parziale delle bollette elettriche, non rilevante ai fini fiscali per gli utenti privati;
  • l’eventuale liquidazione delle eccedenze maturate nell’anno da richiedere al Gestore dei servizi energetici (GSE), da tassare come redditi diversi ex art. 67 TUIR.

Anche in caso di cessione in rete dell’energia, i proventi conseguiti rilevano ai fini IRPEF come redditi diversi, essendo configurabile un’attività commerciale ancorché svolta in maniera non abituale (art. 67, comma 1, lett. i, del TUIR).

La base imponibile è data dalla differenza tra il corrispettivo percepito e i costi specificatamente sostenuti per ottenerli.

Al riguardo si evidenzia che il costo relativo all’acquisto o realizzazione dell’impianto fotovoltaico non può essere considerato come specificatamente inerente alla produzione del suddetto reddito ex art. 71, comma 2 del TUIR. L’impianto fotovoltaico, infatti, è utilizzato prevalentemente per i bisogni energetici dell’utente (uso domestico di illuminazione, alimentazione di elettrodomestici etc.) e solo marginalmente produce reddito imponibile.

I proventi non devono in ogni caso essere assoggettati ad IVA per mancanza dei requisiti soggettivi e oggettivi.

Il corretto inquadramento della tariffa omnicomprensiva

La tariffa omnicomprensiva è l’incentivo che viene erogato dal GSE al responsabile dell’impianto fotovoltaico, in relazione all’energia immessa in rete. È così denominata poiché determinata come somma tra:

  1. una tariffa incentivante base;
  2. e il corrispettivo per la vendita dell’energia al GSE.

Secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate la tariffa omnicomprensiva, ancorché composta di due quote, si configura come corrispettivo essendo corrisposta unitariamente a fronte dell’immissione in rete dell’energia elettrica prodotta e non autoconsumata (cfr. circolare 36/E/2013).

Con la circolare n. 46/2007 è stato inoltre precisato che la produzione di energia elettrica da fonte fotovoltaica non configura lo svolgimento di un’attività commerciale quando la stessa deriva da impianti di potenza fino a 20 Kw posti a servizio dell’abitazione o della sede dell’ente non commerciale. Tale interpretazione discende dalla considerazione che gli impianti, in tal caso, sono destinati a soddisfare principalmente i bisogni personali.

Con la risoluzione n. 88/E/2010 sono state fornite indicazioni in ordine alla “tariffa fissa omnicomprensiva” corrisposta ai produttori di energia elettrica, mediante fonti diverse dal fotovoltaico, che immettono in rete l’energia non autoconsumata.

In tale occasione, è stato precisato che la suddetta tariffa, formata da due componenti (incentivo e prezzo), a differenza della tariffa incentivante, costituisce un corrispettivo, essendo erogata unicamente a fronte dell’immissione in rete dell’energia. Conseguentemente, tale incentivo assume rilevanza ai fini delle imposte dirette come reddito diverso, disciplinato dall’art. 67, comma 1, lett. i), del TUIR (risoluzione n. 88/E del 2010).

Sulla questione è quindi intervenuta la DRE Lazio (DRE Lazio, Risp. a istanza di interpello 6 dicembre 2012, n. 954-174106) che, in risposta ad una richiesta del GSE in merito al trattamento fiscale delle tariffe riconosciute dal quinto conto energia (D.M. 5 luglio 2012) ha chiarito che:

La compilazione del modello dichiarativo

Come anticipato, solo in ipotesi di vendita dell’energia eccedente o nel caso di tariffa omnicomprensiva (per le suesposte considerazioni delle Entrate) scatta l’obbligo di riportare il corrispettivo percepito nella dichiarazione dei redditi del proprietario dell’impianto.

In questo caso, infatti, secondo quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate, i proventi derivanti dalla vendita dell’eccedenza rappresentano redditi diversi e, in particolare, redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente (circolare n. 46/E del 2007).

Ne consegue che tale eccedenza è da riportare:

  • al rigo D5, se si presenta il Modello 730;
  • oppure al rigo RL14, se si presenta il Modello Redditi.

Si supponga che nel corso del 2022 l’avvocato Verdi abbia ricevuto da parte del GSE la liquidazione delle eccedenze maturate nell’anno per un importo di 515 euro. In sede di presentazione del modello Redditi PF il contribuente dovrà compilare il rigo RL14 come di seguito:

Per dichiarare la liquidazione delle eccedenze si ricorda che è necessario acquisire e conservare la relativa certificazione scaricabile dal sito del GSE, seguendo l’apposita procedura.

I passaggi per scaricare la certificazione delle eccedenze ricevute all’interno del Portale dedicato sono i seguenti:1Accedere all’area Clienti GSE2Selezionare “Servizi”3Nella pagina dedicata è possibile visualizzare i servizi per se stessi (se titolari di un contratto con il GSE) e per altri (ovvero per gli operatori a cui si risulta associati)4Cliccare sul servizio di Scambio sul posto e accedere al portale dedicato5Selezionare “Comunicazioni”/“Ricerca” e poi effettuare il download del documento per l’anno di riferimento

Nel corso del 2022 il contribuente Mario Rossi, lavoratore dipendente, ha ricevuto dal GSE, a titolo di tariffa omnicomprensiva un importo pari a 906,87 euro, opportunamente certificato con il prospetto sintetico riportato di seguito:


Trattandosi di reddito diverso, in sede di compilazione del modello 730/2023 tale andrà inserito nel rigo D5, con codice “1” – “Redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente” del quadro D:

Riferimenti normativi:

Demolizione e ricostruzione dell’edificio con aliquota IVA da valutare (10 o 4 o inversione contabile, no se contratto unico)

Da alcuni anni è stato ampliato lo spettro di casi in cui la demolizione e ricostruzione di un edificio esistente può essere considerato intervento di “ristrutturazione edilizia”, anziché “nuova costruzione”.
Per effetto dell’art. 10 del DL 76/2020, è stata infatti modificata la nozione di “ristrutturazione edilizia” prevista dalla lett. d) dell’art. 3 del c.d. Testo Unico dell’edilizia (DPR 380/2001).

Questo comporta, tuttora, alcuni dubbi in merito alla corretta aliquota IVA applicabile e, in alcuni casi, all’assolvimento dell’imposta con il meccanismo del reverse charge o meno. 

Per determinare il trattamento IVA applicabile a opere di demolizione e ricostruzione (o di costruzione ex novo), è, prima di tutto, essenziale comprendere quale sia la collocazione dell’intervento dal punto di vista urbanistico.
A tal fine, assume rilevanza quasi decisiva la qualificazione dell’intervento così come risultante dal relativo titolo di abilitazione amministrativa rilasciato dal Comune o altro ente territoriale competente in materia di classificazioni urbanistiche (risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 564/2020).

Peraltro, in base a un consolidato orientamento di prassi, la qualificazione urbanistica dell’intervento, pur comportando dirette implicazioni con riferimento ai profili fiscali dell’operazione, non rientra tra le competenze dell’Amministrazione finanziaria (ad es., cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 23/2022 e ris. n. 41/2009).
Per questa ragione, solo agli interventi di recupero che rientrano nella previsione di cui alla lett. d) dell’art. 3 del DPR 380/2001 può applicarsi l’aliquota IVA del 10% per le ristrutturazioni edilizie a norma del n. 127-quaterdecies della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72 (risposta a interpello n. 604/2020), ivi incluse le prestazioni consistenti nella demolizione di una struttura esistente e successiva realizzazione di un nuovo edificio, a prescindere dalla destinazione d’uso dell’immobile (risposta a interpello n. 446/2020).

Per altro verso, se non si è in presenza di un intervento di nuova costruzione, non è possibile fruire dell’aliquota del 4%, facendo valere i requisiti “prima casa” (risposta a interpello n. 564/2020).

Potrebbe anche accadere, tuttavia, che sia contemplato un doppio intervento edilizio (corrispondente alla ristrutturazione della porzione preesistente e all’ampliamento della volumetria), seppure nell’ambito di un unico contratto di appalto.
Questo impedirebbe l’immediata applicazione dell’aliquota IVA prevista per le ristrutturazioni ovvero per gli interventi di nuova costruzione.

L’aliquota IVA del 4%, in presenza dei requisiti “prima casa”, tornerebbe infatti applicabile nelle sole ipotesi in cui dal contratto e dalle fatture emesse sia possibile individuare elementi che consentano una distinzione certa tra la quota parte del corrispettivo relativo agli interventi ampliativi e la quota parte afferente gli interventi di ristrutturazione della porzione di immobile preesistente (R.M. n. 223/96). È, però, necessario che i lavori si limitino al semplice ampliamento e che i locali di nuova realizzazione non configurino un’autonoma unità immobiliare (circ. Agenzia delle Entrate n. 19/2001, ris. n. 25/2005).

Se, invece, il contratto prevede un corrispettivo forfetario e unitario, alle prestazioni di servizi in esso pattuite dovrebbe ritenersi applicabile l’aliquota IVA più elevata, in virtù di un consolidato principio generale riguardante l’inscindibilità del contratto di appalto (R.M. n. 223/1996, ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2004, risposte a interpello nn. 41/2020 e 49/2020).
Sulla base di tale principio, sarebbe applicata l’aliquota del 10% (prevista per le opere di ristrutturazione edilizia), in quanto superiore rispetto a quella del 4% (prevista per le opere di nuova costruzione al ricorrere dei requisiti “prima casa”).

Alcuni servizi possono richiedere il reverse charge

Nel corso dell’intervento, è possibile che alcune opere – affidate a specifici appaltatori in un rapporto B2B – siano qualificabili come “servizi di pulizia, demolizione, installazione di impianti e completamento”, per i quali potrebbe applicarsi il meccanismo del reverse charge di cui all’art. 17 comma 6 lett. a-ter) del DPR 633/72, purché detti servizi siano riconducibili ai codici ATECO individuati dall’Agenzia delle Entrate nella circ. n. 14/2015.

Tuttavia, l’operatività del citato meccanismo viene meno se le prestazioni di servizi di cui sopra sono eseguite in forza di un unico contratto di appalto nell’ambito di un intervento di ristrutturazione edilizia ex art. 3 comma 1 lett. d) del DPR 380/2001.
L’applicazione del reverse charge viene, altresì, esclusa nelle ipotesi in cui la demolizione dell’edificio (individuata dal codice ATECO 43.11.00) risulti strettamente funzionale alla successiva ricostruzione del medesimo (circ. Agenzia delle Entrate n. 37/2015).

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Aliquota IVA per le ristrutturazioni non condizionata dalla CILA superbonus

Ai sensi dell’art. 119 comma 13-ter del DL 34/2020, gli interventi che consentono di beneficiare del c.d. superbonus “costituiscono manutenzione straordinaria e sono realizzabili mediante comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA)”, anche qualora riguardino le parti strutturali degli edifici o i prospetti, esclusi quelli comportanti la demolizione e ricostruzione.

La formulazione letterale della norma potrebbe lasciare intendere che, alle opere edilizie per le quali è stata presentata la CILA e che costituirebbero “manutenzioni straordinarie”, si applichi il regime IVA previsto per le manutenzioni.
Seguendo questa tesi, peraltro, l’aliquota IVA potrebbe divergere rispetto a quella ordinariamente applicabile per opere che sarebbero, in via ordinaria, qualificabili come interventi di recupero o ristrutturazione edilizia ex art. 3 lett. c) e d) del DPR 380/2001 (laddove vi siano, ad esempio, lavori che coinvolgono le parti strutturali dell’edificio).

Le manutenzioni straordinarie su fabbricati che non siano a prevalente destinazione abitativa, difatti, richiedono l’applicazione dell’aliquota IVA ordinaria. Si pensi ai committenti che hanno la qualifica di ONLUS e, in particolare, alle RSA per le quali il superbonus beneficia dell’aliquota del 110% sino a fine 2025.
Per le manutenzioni su fabbricati abitativi, invece, l’aliquota del 10% sarebbe soggetta alla limitazione per i beni significativi, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99 (limite che non è previsto per gli interventi di recupero o ristrutturazione).

A livello sistematico, tuttavia, non pare condivisibile una posizione come quella sin qui descritta.
Le aliquote dovrebbero essere applicate secondo le norme ordinarie in materia di IVA e non essere condizionate dalla disposizione speciale recata dall’art. 119 comma 13-ter in esame, in quanto volta ad agevolare l’autorizzazione di inizio lavori richiedendo la CILA in luogo della SCIA anche per opere di maggiore entità.
La determinazione delle aliquote IVA, invece, rimarrebbe ancorata alla qualificazione degli interventi secondo il titolo edilizio, in base alle ordinarie definizioni del DPR 380/2001.

Pertanto, se le opere rientrano nell’ambito del restauro e risanamento conservativo (art. 3 lett. c) del DPR 380/2001) o della ristrutturazione edilizia (art. 3 lett. d) del DPR 380/2001), si applica l’aliquota del 10%, come ordinariamente previsto dal n. 127-quaterdecies) della Tabella A, parte III, allegata al DPR 633/72.
Non consta che l’Agenzia delle Entrate si sia pronunciata in via ufficiale sul punto.

Tuttavia, a livello più generale (e prima della disposizione speciale in tema di CILA superbonus), l’Agenzia, esprimendosi in merito all’aliquota applicabile per la riqualificazione energetica, ha affermato che “per la corretta definizione degli interventi edilizi indicati dall’istante, occorre fare riferimento alla classificazione degli stessi ai sensi delle disposizioni dell’articolo 31, comma 1, della Legge 5 agosto 1978 n. 457”. Per questa ragione, “solo gli interventi di recupero rientranti nelle previsioni di cui alle lettere c), d) ed e) del sopra menzionato articolo 31 della legge n. 457 del 1978 (trasfuse nelle lettere c), d) ed f) dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001), riguardanti, rispettivamente, il restauro e risanamento conservativo (cfr. lett. c); la ristrutturazione edilizia (cfr. lett. d) e la ristrutturazione urbanistica (cfr. lett. e), possono fruire dell’aliquota agevolata ai sensi del citato n. 127-quaterdecies” (risposta a interpello Agenzia delle Entrate n. 604/2020).

Reverse charge escluso verso il general contractor

Per gli interventi edilizi che sono resi nei confronti di un “general contractor”, oltre all’aliquota, si pone un ulteriore dubbio in merito all’applicabilità (o meno) del reverse charge, previsto in via generale per i subappalti a norma dell’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72.

A livello letterale, è infatti esclusa la soggezione al reverse charge per le “prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori”.
Non è pacifico ritenere disapplicata la disposizione anche in presenza di un contraente generale di un committente privato. Tuttavia, la formulazione letterale della norma parrebbe consentire di pervenire a questa conclusione, perché “un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori” è un’espressione definitoria che identifica in modo chiaro la fattispecie, senza comprimerla in alcun modo ai casi in cui il committente che affida la totalità dei lavori sia un soggetto pubblico. La ratio della disposizione sembrerebbe quella di assimilare il rapporto nei confronti del contraente generale (in quanto soggetto cui viene affidata la totalità dei lavori) a un rapporto di appalto diretto, piuttosto che a un subappalto.

Resta applicabile il reverse charge per gli interventi specificamente riconducibili a quelli individuati dall’art. 17 comma 6 lett. a-ter) del DPR 633/72 (prestazioni di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative ad edifici), per i quali non rileva lo status “soggettivo” del destinatario.

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