LA CORRETTA FATTURAZIONE DEL CENTRO MEDICO PRIVATO
da Sole 24 ore – risposta 2584
D – Un poliambulatorio medico privato acquista la prestazione di dottori specialisti, tutti lavoratori autonomi, i quali fatturano la prestazione al poliambulatorio a fine mese in esenzione (articolo 10, Dpr 633/72) con ritenuta d’acconto del 20%. Il poliambulatorio trattiene le somme e le bonifica dietro presentazione della fattura dello specialista. Al cliente finale viene rilasciata fattura dal poliambulatorio in esenzione per l’erogazione della visita effettuata dallo specialista. Si chiede se è corretta l’impostazione data e se ci sono ulteriori adempimenti per la corretta gestione della struttura medica.
R – Si ricorda che dal 1° marzo 2007 è stato introdotto, per le strutture sanitarie, l’obbligo della riscossione accentrata dei corrispettivi spettanti ai medici e paramedici che operano, privatamente, presso le strutture sanitarie private (articolo 1, commi da 38 a 42, della legge 27 dicembre 2006, numero 296). In particolare, la riscossione dei compensi dovuti al professionista per attività medica e paramedica resa nell’ambito di una struttura sanitaria privata deve essere effettuata in modo unitario dalle strutture sanitarie, che pertanto hanno l’obbligo, per ciascuna prestazione resa, di incassare il compenso in nome e per conto del prestatore di lavoro autonomo e riversano contestualmente al medesimo. Sono interessate a tale sistema le cosiddette “strutture sanitarie private” che mettono a disposizione o concedono in affitto ai professionisti i locali della struttura aziendale per l’esercizio di attività di lavoro autonomo mediche o paramediche, relativamente ai compensi correlati alle prestazioni di natura sanitaria rese dal professionista in esecuzione di un rapporto intrattenuto “direttamente con il paziente” (risoluzioni del 13 luglio 2007, n. 17, del 15 marzo 2007, n. 13/E e del 21 luglio 2008, n.304). Ne consegue che tale obbligo non sussiste nelle ipotesi in cui il professionista esegue la prestazione a favore del paziente, ma nell’ambito di un rapporto contrattuale intrattenuto con la struttura sanitaria. Sulla base di quanto sopra, rispondendo al quesito posto dal lettore, nel caso in cui il professionista (medico) esegua le prestazioni di natura sanitaria in esecuzione di un rapporto intrattenuto “direttamente con il paziente” dovrà essere lo stesso ad emettere fattura nei confronti del paziente in esenzione da Iva ai sensi dell’articolo 10 del Dpr n. 633/1972 (la fattura potrà essere emessa anche dall’ambulatorio in nome e per conto del professionista). In tale ipotesi, dovrà essere seguita la procedura delineata dalla circolare n. 13/E del 15 marzo 2007 (che ha commentato le modalità di applicazione del sistema di riscossione accentrata dei corrispettivi spettanti ai medici e paramedici). Invece, se il professionista esegue la prestazione a favore del paziente nell’ambito di un rapporto contrattuale intrattenuto con la struttura sanitaria, è corretta la procedura delineata nel quesito; si tenga comunque presente che l’ambulatorio fatturerà con esenzione Iva purché la direzione tecnica dello stesso sia affidata ad un medico abilitato all’esercizio delle stesse (risoluzione 39/E del 16 marzo 2004 e sentenze della Corte di giustizia Ue del 6 novembre 2003, nella causa C-45/01, e del 10 settembre 2002 nella causa C-141/00). In presenza di questa condizione, il regime di esenzione tornerà applicabile sia alle fatture emesse dalla struttura nei confronti del paziente che a quelle che il medico, a sua volta, emette alla struttura stessa.
Ecobonus per installazione di nuova tenda da sole e contestuale motorizzazione di una tenda già esistente
Un cliente ha intenzione di montare sulla propria terrazza una nuova tenda da sole motorizzata al fine di ridurre l’irraggiamento solare sulle superfici vetrate del suo appartamento. Contestualmente, vorrebbe installare anche sulla schermature solare già presente un motore.
Per le spese sostenute potrà accedere alla detrazione prevista per risparmio energetico? In caso di risposta affermativa, che adempimenti dovrà effettuare il contribuente?La soluzione
In relazione alle spese sostenute dal cliente, possono usufruire della detrazione per risparmio energetico solo quelle relative alla fornitura e la posa in opera della nuova tenda da sole, compresa l’installazione del sistema motorizzato. L’agevolazione è ammessa a condizione che la tenda abbia orientamento da est a ovest, passando per sud: vengono, infatti, esclusi nord, nord-est e nord-ovest.
Le tende, inoltre devono:
essere mobili;
essere posizionate a protezione di superfici vetrate;
applicate in modo solidale con l’involucro edilizio e non liberamente montabili e smontabili dall’utente;
essere installate all’interno, esterno della superficie vetrata;
essere schermature “tecniche”.
Diversamente, le spese relative agli interventi effettuati sulla schermatura solare già presente non sono agevolabili in quanto non sostenute contestualmente all’installazione.
Come confermato anche dall’ENEA nel proprio vademecum, il contribuente, per gli interventi iniziati dopo il 6 ottobre 2020, in base a quanto previsto dall’art. 5, D.M. 6 agosto 2020, potrà detrarre gli importi sostenuti per:
fornitura e posa in opera;
eventuale montaggio e dismissione di analoghi sistemi preesistenti;
fornitura e messa in opera di meccanismi automatici di regolazione e controllo delle schermature;
opere provvisionali e accessorie;
spese per le prestazioni professionali necessarie alla realizzazione degli interventi nonché della documentazione tecnica necessaria.
Per quanto riguarda gli adempimenti richiesti, il contribuente dovrà inviare l’apposita comunicazione all’ENEA entro 90 giorni dal collaudo esclusivamente attraverso l’apposito sito web. Il contribuente riceverà dall’ente un’email di conferma con il codice CPID che dovrà essere conservato per fruire della detrazione (50% della spesa sostenuta, con detrazione massima pari a € 60.000). Si ricorda che è necessario effettuare il pagamento con l’apposito bonifico “parlante” (postale o bancario) dal quale deve risultare:
la causale del versamento;
il codice fiscale del beneficiario della detrazione;
il codice fiscale o numero di partita IVA del beneficiario del pagamento;
il numero e la data della fattura.
Si ricorda che, anche per tali spese, se sostenute entro la fine del 2021, il contribuente, può optare per la cessione del credito o lo sconto in fattura, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione.
Superbonus in condominio minimo: intestazione dei documenti di spesa
I proprietari delle tre unità abitative che compongono un edificio (condominio minimo) hanno intenzione di effettuare interventi di riqualificazione energetica che porteranno ad un miglioramento di due classi energetiche dell’immobile e che quindi saranno idonei ad essere agevolati con la maxi detrazione del 110%.
Trattandosi di fatto di un condominio minimo (non c’è nomina dell’amministratore o codice fiscale), i clienti si chiedono se sia ammessa la possibilità che l’impresa che curerà i lavori emetta tre fatture distinte, una per ciascun condomino; ogni condomino effettuerebbe quindi il pagamento dal proprio conto corrente.La soluzione
La soluzione sembra essere positiva, si precisano tuttavia di seguito alcuni aspetti d’interesse.
La Circolare 25 giugno 2021, n. 7, chiarisce che possono beneficiare del superbonus, ai sensi dell’art. 119, D.L. n. 34/2020, i condomini minimi, vale a dire condomini costituiti da due a otto unità immobiliari, per i quali non è necessario nominare l’amministratore di condominio né richiedere il codice fiscale.
In tali casi, al fine di beneficiare dell’agevolazione per i lavori realizzati sulle parti comuni, può essere utilizzato il codice fiscale del condomino che ha effettuato i connessi adempimenti. Il contribuente è comunque tenuto a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell’edificio.
Con la recente Risposta ad Interpello 14 dicembre 2021, n. 809, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito agli adempimenti richiesti ai condòmini in caso di interventi sulle parti comuni del condominio minimo, in particolare riguardo alla corretta intestazione dei documenti di spesa e di pagamento.
Richiamata la citata Circolare n. 7/2021, l’Agenzia ha precisato che le fatture devono essere emesse nei confronti del condòmino, o dei condòmini, che effettua, ovvero effettueranno, anche i correlati adempimenti.
Sembra quindi ammessa la possibilità che il fornitore emetta fatture distinte ai condomini, i quali, tuttavia, devono corrispondere a coloro che effettuano gli adempimenti.
Analogamente a quanto previsto in ambito di ecobonus e sismabonus, è tuttavia ulteriormente precisato che il superbonus spetta anche a colui che non risulti intestatario del bonifico e/o della fattura, nella misura in cui abbia effettivamente sostenuto le spese, a patto che tali documenti di spesa siano appositamente integrati con il nominativo del soggetto che ha sostenuto la spesa e con l’indicazione della relativa percentuale. Si tratta di una integrazione che deve essere apposta il primo anno di utilizzo della detrazione.
Si ricorda infine che l’Agenzia delle Entrate ha ricordato anche che ciascun condòminoindipendentemente dalla scelta operata dall’altro, può decidere di beneficiare direttamente della detrazione nella propria dichiarazione dei redditi, o di optare per lo sconto in fattura o per la cessione del credito.
– La normativa che disciplina l’imposta IVA per gli interventi edilizi ed impiantistici su edifici esistenti prescinde da quella che regola le detrazioni 55% – 65% o 36% – 50%.
– In altre parole, le cessioni di beni (materiali, prodotti) e le prestazioni di servizi (manodopera, prestazioni professionali), per la realizzazione dei suddetti interventi, sono assoggettate all’IVA in base alle aliquote previste per i cosiddetti interventi di recupero del patrimonio immobiliare.
– Non è rilevante se successivamente queste spese siano o meno detratte dall’imposta.
– Per i suddetti interventi è comunque prevista, in generale, ma con alcune eccezioni, l’aliquota agevolata del 10%.
Casi di interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria
– Nei casi, molto frequenti, in cui l’intervento si configura come manutenzione ordinaria o straordinaria, su immobili residenziali (categorie catastali da A1 ad A9 e A11) e parti comuni di edifici prevalentemente composti da unità di queste categorie), fatturati ad un soggetto non passivo d’imposta IVA (una persona fisica) si può applicare IVA 10% a:
1- l’importo in fattura relativo alla manodopera per realizzare l’intervento;
2- l’importo in fattura relativo ai prodotti ed ai materiali impiegati, forniti dall’installatore (non acquistati direttamente dal committente), con l’eccezione dei cosiddetti “beni significativi” che, nei casi più frequenti, sono da intendersi le caldaie ed i serramenti;
3- la parte dell’importo in fattura, relativo a caldaie o serramenti, equivalente alla somma totale degli importi relativi ai punti 1 e 2. Ne consegue che, nel caso che la somma 1 + 2 sia maggiore dell’importo relativo a caldaie o serramenti, tutto l’importo in fattura è assoggettato all’aliquota del 10% .
Quest’ultimo punto, il cui contenuto può risultare non subito comprensibile, può essere esemplificato come segue:
Ipotesi di intervento sostituzione caldaia
Un procedimento mnemonico può essere il seguente:
– si considera il totale, esclusa la caldaia (nel caso suddetto € 1300 + € 1500 = € 2800);
– si raddoppia (€ 2800 x 2 = € 5600) e si ottiene l’ammontare assoggettabile al 10%;
– quello che rimane si assoggetta alla aliquota 22%
Si ribadisce che, per le regole sopra indicate, quando manodopera, prodotti e bei non significativi (negli esempi le caldaie e i serramenti), superano il 50% del totale, l’intera fattura è assoggetta all’aliquota del 10%.
L’aliquota agevolata non si applica nei seguenti casi:
– materiali o beni forniti da un soggetto diverso da quello che esegue i lavori ovvero acquistati direttamente dal committente (tranne nei casi di interventi classificati nella pratica edilizia di ristrutturazione edilizia o di recupero e restauro conservativo);
– prestazioni professionali, anche se inerenti agli interventi di recupero edilizio.
Impianti solari termici e fotovoltaici
Norme specifiche riguardano questi impianti per i quali sia la manodopera che i beni sono sempre assoggettati alla aliquota IVA del 10%. Questo anche nei casi in cui i beni siano acquistati direttamente dal committente e non forniti dall’installatore.
A volte il fornitore richiede una formale richiesta dell’applicazione dell’IVA agevolata ovvero una dichiarazione sul possesso dei diritti per poterne usufruire. La richiesta è spesso pretestuosa. Il diritto di godere dell’agevolazione è infatti determinato dalla destinazione d’uso abitativa dell’immobile (come scritto in capo alla pagina). Comunque questa dichiarazione può essere redatta con i contenuti del seguente modello: dichiarazione requisiti iva agevolata.
Beni significativi
L’elenco completo dei beni significativi è il seguente:
– infissi interni ed esterni;
– caldaie;
– videocitofoni;
– apparecchiature di condizionamento e riciclo dell’aria;
– sanitari e rubinetteria da bagno;
– impianti di sicurezza.
L’elenco è assoluto. Non è riducibile o ampliabile. La limitazione dell’agevolazione IVA si applica solo in presenza di questi beni intesi nel senso letterale del termine.
#
voce in fattura
prezzo senzaIVA
imponibileIVA
aliquotaIVA da applicare
Importo IVA
a
prezzo valvole termostatiche ed altri prodotti e materiali che non siano la caldaia(beni non significativi)
€ 1.300
€ 1300
10 %
€ 130
b
prezzo manodopera
€ 1.500
€ 1.500
10 %
€ 150
c
prezzo sola caldaia(bene significativo)
€ 4.000
il prezzo della caldaia si suddivide come di seguito
voci a + b(€ 1.300 + € 1.500)
10 %
€ 280
voci c – (a+ b)€ 4000 – € 2.800
22 %
€ 265
TOTALI
€ 6800
€ 825
#
voce in fattura
prezzo senzaIVA
imponibileIVA
aliquotaIVA da applicare
Importo IVA
a
prezzo di tapparelle, persiane ed accessori simili non strutturalmente accorpati al serramento(beni non significativi)
€ 1.300
€ 1300
10 %
€ 130
b
prezzo manodopera
€ 1.500
€ 1.500
10 %
€ 150
c
prezzo dei soli serramenti: finestre, portee chiusure in genere(beni significativi)
€ 4.000
il prezzo della caldaia si suddivide come di seguito
Quando si acquisisce un nuovo cliente entro trenta giorni si dove fare la comunicazione unica che dice che sono il delegato al lul e che quella azienda rientra nella stampa laser di cui sono autorizzato dall’inail nazionale. Questa operazione si fa dal sito dell’inail alla voce libro unico e cliccando su numerazione unitaria: con una sola operazione si dichiarano le modalita’ di stampa la tenuta del lul. Questa è la procedura corretta.
Ricordiamo che la comunicazione di delega alla tenuta del libro unico è un adempimento, assolto per mezzo del canale telematico INAIL “Punto Cliente”, con cui l’intermediario assolve gli obblighi di cui alle note MLPS e INAIL del 07/01/2009.
DELEGA IN CASO DI STAMPA CON NUMERAZIONE IN CAPO ALL’INTERMEDIARIO
L’intermediario deve prima di tutto aver acquisito delega alla vidimazione del LUL.
La numerazione può essere unitaria, ovvero unica per tutte le ditte in delega, altrimenti è facoltà dell’intermediario averne una per ogni datore di lavoro gestito.
Una volta acquisita la delega per la stampa, l’intermediario comunica alla rispettiva DTL la delega alla tenuta del LUL utilizzando apposito canale telematico su “Punto Cliente”.
Nel caso l’intermediario non abbia optato per la numerazione unitaria potrà scegliere tra:
Nessuna delega (Flag No): l’intermediario non è delegato alla conservazione del Libro unico
Delega Totale: l’intermediario è delegato alla conservazione di tutto il Libro unico
Delega Parziale: l’intermediario è delegato alla conservazione di una sola sezione del Libro unico, sezione presenze o sezione retributiva.
L’azienda coniugale, disciplinata sotto il profilo civilistico dall’art. 177 c.c. (recante le disposizioni per la comunione legale), è definita come l’azienda gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimonio. Ai redditi derivanti dall’azienda coniugale si applica l’art. 4 co. 1 lett. a) del TUIR, in base al quale i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale di cui agli art. 177 ss. c.c. sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare netto ovvero per la diversa quota stabilita ai sensi dell’art. 210 c.c. Le aziende appartenenti ad uno solo dei coniugi prima del matrimonio, ma gestite da entrambi, entrano in comunione solo in relazione agli utili ed agli incrementi (art. 177 c.c. ; cfr. anche Cass. 17.11.2010 n. 23170). Pertanto, al fine di individuare il regime fiscale applicabile, occorre operare una distinzione in base a:
il momento in cui l’azienda è stata costituita (prima o dopo il matrimonio);
la circostanza che la gestione della stessa sia affidata ad uno solo o ad entrambi i coniugi.
Azienda costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi
L’azienda coniugale costituita dopo il matrimonio e gestita da entrambi i coniugi è assimilata alle società di persone. In tal caso, il reddito dell’azienda:
deve essere dichiarato nel modello REDDITI SP se vi è esercizio in società fra i coniugi (ad esempio, coniugi cointestatari della licenza o entrambi imprenditori);
deve essere ripartito pro quota tra i coniugi, mediante indicazione nel quadro RH del modello REDDITI PF.
Azienda costituita dopo il matrimonio e gestita da un solo coniuge
Se l’azienda è stata costituita dopo il matrimonio ma viene gestita da uno solo dei coniugi:
il reddito dell’azienda deve essere dichiarato dal coniuge titolare dell’azienda nel quadro RF (contabilità ordinaria) o RG (contabilità semplificata) del modello REDDITI PF;
l’altro coniuge deve compilare il quadro RH per dichiarare la propria quota di reddito.
Azienda costituita prima del matrimonio e gestita da entrambi i coniugi
Nel caso in cui l’azienda appartenesse prima del matrimonio a un solo coniuge e successivamente venga gestita da entrambi i coniugi:
il reddito dell’azienda deve essere dichiarato dal coniuge titolare dell’azienda nel quadro RF (contabilità ordinaria) o RG (contabilità semplificata) del modello REDDITI PF;
l’altro coniuge deve compilare il quadro RH per dichiarare la propria quota di reddito.
L’azienda coniugale è prevista all’art. 177 co. 1 lett. d) c.c., dove si stabilisce che l’azienda gestita da entrambi i coniugi e costituita dopo il matrimonio è oggetto di comunione legale. Dalla lettura della norma si evince che:
l’azienda (ossia i beni strumentali volti all’esercizio dell’attività), costituita dopo il matrimonio, è oggetto della comunione;
elemento necessario affinché si realizzi l’azienda coniugale è la cogestione della stessa da parte di entrambi i coniugi.
In generale, per gestione dell’azienda si intende la partecipazione alle scelte imprenditoriali, all’amministrazione e al controllo. Tale elemento la distingue dall’impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c.: in quest’ultima, al familiare che presta la propria attività a favore dell’impresa non compete la qualifica di imprenditore, mentre nell’impresa coniugale i coniugi sono coimprenditori. È bene precisare che non sempre l’azienda costituita dopo il matrimonio, e gestita da entrambi i coniugi, cade in comunione legale. Occorre, infatti, verificare il titolo d’acquisto.
Ad esempio, nel caso in cui l’acquisto avvenga per successione, l’azienda rientra tra i “beni personali” (ex art. 179 c.c.) del coniuge che l’ha ereditata, anche se verrà gestita da entrambi i coniugi.
Disciplina applicabile
In linea di principio, l’orientamento maggioritario ritiene che all’azienda coniugale non si applichi la disciplina prevista per la società di fatto e che debba applicarsi, invece, la normativa in materia di comunione legale (cfr. Gorini M. sub art. 177 c.c. in “Codice Civile Ipertestuale”, a cura di Bonilini G., Confortini M., Granelli C., IPSOA, 2020). In particolare, le norme che si applicano sono:
l’art. 180 c.c. relativo all’amministrazione dei beni;
l’art. 186 c.c. in relazione ai limitati obblighi gravanti sui beni della comunione;
l’art. 191 co. 2 c.c. in materia di scioglimento della comunione d’azienda.
Costituzione
L’azienda coniugale nasce per effetto della semplice gestione da parte di entrambi i coniugi di un’attività di impresa.
La cogestione dell’azienda potrebbe ravvisarsi quando entrambi i coniugi stipulano contratti di compravendita di beni o servizi gestiti dall’azienda o assumono obbligazioni.
Inoltre, la giurisprudenza ritiene che un’azienda gestita di fatto da entrambi i coniugi in regime di comunione legale, in assenza di precisi accordi formali, ricade nell’ipotesi di cui all’art. 177 co. 1 lett. d) c.c.
Debiti dell’azienda coniugale
In riferimento alla sorte dei debiti derivanti dalla gestione dell’azienda, la norma che occorre richiamare è l’art. 186 lett. d) c.c. Tale norma stabilisce che i beni della comunione rispondono di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi. Pertanto, i debiti contratti in ragione della gestione dell’azienda gravano sui beni della comunione ai sensi dell’art. 186, lett. d) c.c.
Scioglimento della comunione d’azienda
L’art. 191 co. 2 c.c. statuisce che, nel caso di azienda coniugale (ex art. 177 co. 2 lett. d) c.c.), lo scioglimento della comunione può essere deciso per accordo dei coniugi; tale norma è volta a consentire che uno solo dei coniugi continui l’attività di impresa.
Azienda gestita da un solo coniuge
La fattispecie dell’azienda gestita da un solo coniuge è ravvisabile all’art. 178 c.c. Secondo tale norma i beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi, costituita dopo il matrimonio, e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa (c.d. comunione de residuo).
Azienda di un solo coniuge ma gestita da entrambi
L’art. 177 co. 2 c.c. prevede che qualora si tratti di aziende di proprietà di un solo coniuge (e quindi non appartenente alla comunione) ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
Cos’è l’impresa coniugale
L’impresa coniugale è una particolare forma di impresa familiare. Nello specifico, si definisce impresa coniugale quell’impresa che viene gestita da entrambi i coniugi. Inoltre, questo tipo di impresa puó essere costituito sia prima che dopo il matrimonio.
Se l’azienda è stata costituita dopo il matrimonio ed é gestita da entrambi i coniugi, questa costituisce oggetto della comunione legale dei beni tra i coniugi. Di conseguenza, la proprietá dell’azienda, gli utili e gli incrementi vanno ripartiti al 50% tra i coniugi
Invece, se l’impresa coniugale è stata creata prima del matrimonio da un solo coniuge e dopo il matrimonio viene gestita da entrambi, la proprietá dell’azienda rimane al coniuge imprenditore. Oggetto della comunione saranno invece gli utili e gli incrementi successivi al matrimonio
Questa distinzione è stata fatta a partire da una legge del 1975 sul diritto di famiglia, in particolare sui matrimoni. Prima di questa data, infatti, i matrimoni supponevano un regime di separazione dei beni tra i coniugi. Invece, a partire dal 1975 i matrimoni vedono i coniugi in regime di comunione legale.
Le caratteristiche dell’impresa coniugale
Spesso, si tende a confondere l’impresa coniugale con l’impresa familiare o con la societá. Anche se queste forme imprenditoriali presentano caratteristiche simili, vi sono alcuni elementi che caratterizzano l’impresa coniugale rispetto alle altre. In primo luogo, un’impresa si definisce coniugale proprio perchè entrambi i coniugi gestiscono congiuntamente l’impresa. È proprio la cogestione il primo elemento che differenzia questa forma giuridica di impresa dalle altre. Diversamente, in un’impresa familiare, nonostante la collaborazione del coniuge, dei familari e degli affini, è unicamente il titolare a gestire l’azienda. In una societá, esiste anche la possibilitá che persone senza alcun legame di parentela possano gestire l’impresa.
Nell’impresa coniugale, dunque, i coniugi hanno lo stesso potere di amministrare l’azienda. Differentemente, nell’impresa familiare è il titolare che mantiene le redini dell’azienda. Invece, i familiari collaboratori, tra i quali anche il coniuge, avranno un ruolo subordinato rispetto al titolare, pur non essendo dipendenti.
Con riferimento alla creazione di queste imprese, solo i coniugi possono costitituire un’impresa coniugale: qualsiasi altra persona viene esclusa. Funziona diversamente nell’impresa familiare, in quanto l’impresa viene costituita unicamente dall’imprenditore. Egli infatti stipula un vero e proprio contratto di lavoro con il coniuge e con i familiari collaboratori. Ancora, le societá vengono costituite da piú persone, in qualitá di soci.
Ultima caratteristica riguarda le procedure per la costituzione del’impresa coniugale. L’impresa coniugale non necessita di Atto pubblico per essere creata nè della presenza del notaio, a differenza delle altre forme giuridiche.
Con riferimento alla creazione di queste imprese, solo i coniugi possono costitituire un’impresa coniugale: qualsiasi altra persona viene esclusa. Funziona diversamente nell’impresa familiare, in quanto l’impresa viene costituita unicamente dall’imprenditore. Egli infatti stipula un vero e proprio contratto di lavoro con il coniuge e con i familiari collaboratori. Ancora, le societá vengono costituite da piú persone, in qualitá di soci.
Ultima caratteristica riguarda le procedure per la costituzione del’impresa coniugale. L’impresa coniugale non necessita di Atto pubblico per essere creata nè della presenza del notaio, a differenza delle altre forme giuridiche.
Ai sensi dell’articolo 7, comma 1, lettera b), L. 488/1999, godono dell’applicazione dell’aliquota Iva agevolata del 10% le prestazioni aventi ad oggetto interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria eseguite su edifici a prevalente destinazione abitativa privata.
L’agevolazione in oggetto è stata introdotta con decorrenza 1° gennaio 2000 ed è stata oggetto di ripetute proroghe, fino a quando l’articolo 2, comma 11, L. 191/2009(Finanziaria per l’anno 2010), modificando l’articolo 1, comma 18, L. 244/2007(Finanziaria per l’anno 2008), ha reso permanente tale disposizione a partire dal 1° gennaio 2012.
Con la circolare 15/E/2018 l’Agenzia ha precisato che “la ratio di tale norma è quella di agevolare le prestazioni di servizi aventi ad oggetto la realizzazione di interventi di recupero a prescindere dalle modalità contrattuali utilizzate per realizzare tali interventi, vale a dire contratto di appalto ovvero fornitura di beni con posa in opera” e che “qualora nell’ambito degli interventi anzidetti (manutenzione ordinaria e manutenzione straordinaria) siano impiegati i beni costituenti una parte significativa del valore della prestazione, il bene significativo fornito nell’ambito della prestazione resta soggetto interamente all’aliquota nella misura del 10 per cento se il suo valore non supera la metà di quello dell’intera prestazione“.
Qualora, invece, il valore del bene significativo dovesse superare tale limite, l’aliquota nella misura del 10%si applica al bene solo fino a concorrenza della differenza tra il valore complessivo dell’interventodi recupero e quello dei beni significativi.
Sul valore residuo del bene significativo trova applicazione l’aliquota nella misura ordinaria del 22%.
L’elenco dei cosiddetti beni significativi è tassativo ed è contenuto nel D.M. 29.12.1999.
Con la L. 205/2017 (Legge di Bilancio per l’anno 2018), in tema di interventi edilizi (limitatamente alla manutenzione ordinaria e straordinaria), il legislatore ha previsto, con una norma di interpretazione autentica, che “la fattura emessa ai sensi dell’articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, dal prestatore che realizza l’intervento di recupero agevolato deve indicare, oltre al servizio che costituisce l’oggetto della prestazione, anche i beni di valore significativo, individuati con il predetto decreto del Ministro delle finanze 29 dicembre 1999, che sono forniti nell’ambito dell’intervento stesso. […]”.
Tale distinta indicazione ha l’evidente finalità di consentire una puntuale verifica della corretta applicazione dell’aliquota agevolata: infatti, come osservato in precedenza, qualora il valore del bene significativo sia superiore alla metà del corrispettivopattuito per l’intero intervento, l’aliquota ridotta del 10% si applica solo al corrispettivo della prestazioneaumentato della differenza tra il corrispettivo complessivo e il valore del bene significativo.
Con la già richiamata circolare 15/E/2018 l’Agenzia, confermando in buona parte le posizioni già espresse in passato con la circolare 71/E/2000, ha ricordato la necessità – al fine di poter cogliere l’agevolazione dell’aliquota ridotta – di indicare il prezzo del bene significativo nella fattura, anche nel caso in cui il relativo costo risulti essere inferiore rispetto al valore del servizio, con la conseguenza che tutto l’intervento viene assoggetto all’aliquota agevolata del 10%.
Vediamo alcuni esempi.
Esempio
Un idraulico, nel contesto dei lavori di rifacimento dell’impianto del bagno, installa anche una nuova caldaia (bene significativo elencato nel D.M. 29.12.1999).
Il corrispettivo dell’intervento complessivo è pari a 1.000 e il prezzo della caldaia è pari a 600.
In tale caso l’aliquota agevolata risulta applicabile a 800, e cioè 400 come valore della prestazione e 400 quale parte del valore della caldaia che rientra nel limite del valore della prestazione stessa.
I restanti 200, quale parte del valore della caldaia che eccede il valore della prestazione, vanno invece assoggettati ad aliquota ordinaria del 22%.
Relativamente alle verifiche che l’Amministrazione finanziaria deve compiere in merito alla corretta applicazione dell’aliquota Iva ridotta sui predetti interventi di manutenzione, il citato documento di prassi ricorda che “per verificare la corretta determinazione della base imponibile cui applicare l’aliquota agevolata, i dati richiesti dalla norma di interpretazione autentica devono essere puntualmente indicati nella fattura anche qualora dal calcolo suddetto risulti che l’intero valore del bene significativo possa essere assoggettato ad Iva con applicazione dell’aliquota nella misura del 10 per cento (vale a dire anche qualora il valore del bene non sia superiore alla metà del valore dell’intervento agevolato).”
Esempio
Riprendendo i dati dell’esempio precedente, ipotizziamo che in relazione ad un intervento complessivo di 1.000 il prezzo del bene significativo sia pari a 450; poiché il valore del bene significativo non supera la metà del corrispettivo complessivo (quindi la parte inerente la prestazione risulta essere preponderante), il prestatore dovrà emettere una fattura di 1.100 (ossia 1.000 + Iva 100).
Un altro interessante chiarimento fornito dalla circolare 15/E/2018riguarda l’ambito oggettivo di applicazione della norma, ovvero per quali operazioni trova applicazione la predetta disciplina agevolata.
L’Agenzia, in particolare, ricorda che la nozione di beni significativiassume rilevanza solo nelle ipotesi in cui siano realizzati interventi di manutenzione ordinaria e di manutenzione straordinaria su immobili a prevalente destinazione abitativa privata, a condizione che i suddetti beni vengano forniti dallo stesso soggetto che esegue la prestazione. Pertanto:
i beni forniti da un soggetto diverso rispetto al prestatore o acquistati direttamente dal committente dei lavori nell’ambito di una manutenzione ordinaria o straordinaria, sono soggetti ad Iva con applicazione dell’aliquota nella misura ordinaria;
i beni finiti, ad esclusione delle materie prime e semilavorate, necessari per la realizzazione degli interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia (c.d. “interventi pesanti”), eseguiti su qualsiasi tipologia di immobile, sono soggetti ad Iva con applicazione dell’aliquota del 10%senza altre particolari condizioni. Tali beni sono quindi agevolati anche se acquistati direttamente dal committentedei lavori e a prescindere dalla circostanza che il valore del bene fornito sia prevalente rispetto a quello della prestazione di servizi.
Il problema delle parti “staccate” e il tema dell’autonomia funzionale
Un ultimo tema che si pone con riferimento all’impiego di beni significativi riguarda le cosiddette parti “staccate” dei predetti beni e che vengono fornite unitamente a questi nell’ambito di una prestazione di servizi avente ad oggetto un intervento di manutenzione ordinaria o straordinaria.
Ci si è chiesti se dette parti assumono rilevanza autonoma e scontano l’Iva come gli altri beni oppure, costituendo una componente del bene significativo, vanno assoggettate al medesimo trattamento fiscale.
Su questo tema la norma di interpretazione autentica contenuta nella Legge di bilancio 2018stabilisce che le parti staccate dei beni significativi non sono comprese nel valore del bene significativo solo se connotate da autonomia funzionale rispetto al manufatto principale.
Sono quindi da considerarsi parti staccate autonome rispetto agli infissi, ad esempio, le tapparelle, gli scuri o le veneziane, nonché le zanzariere, le inferriate e le grate di sicurezza.
L’Agenzia delle entrate (circolare 15/E/2018) sul punto chiarisce che se l’intervento di manutenzioneagevolata ha per oggetto l’installazione/sostituzione della sola componente staccata di un bene significativo (già installato precedentemente), ai fini dell’applicazione dell’aliquota agevolata non è necessario alcun apprezzamento in merito all’autonomia funzionale di detta componente rispetto al bene significativo; in tal caso, infatti, l’intervento non ha ad oggetto l’installazione del bene significativo, bensì la sostituzione/installazione di una sua parte staccata e trova applicazione l’aliquota del 10%.
Un esempio è rappresentato dalla sostituzione del bruciatore della caldaia già istallata: anche se il bruciatore non ha autonomia funzionale rispetto alla caldaia, nell’intervento non viene fornito alcun bene significativo e la disciplina in esame non può quindi trovare applicazione.
Fatture riaddebitate dal General Contractor e detraibilità Iva In caso di committente soggetto privato e di general contractor che provveda a riaddebitare le fatture per le consulenze professionali. L’iva su tali fatture emesse dai professionisti al general contractor è quindi indetraibile? G. E. È necessario verificare lo schema contrattuale che, di volta in volta, viene applicato. Sovente si ricorre al mandato senza rappresentanza (come anche illustrato nella risposta all’istanza di interpello n. 254/2021). Nell’ambito del mandato senza rappresentanza, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, lett. b)
D.P.R. 633/1972 la base imponibile delle prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza è costituita “rispettivamente dal prezzo di fornitura del servizio pattuito dal mandatario, diminuito della provvigione, e dal prezzo di acquisto del servizio ricevuto dal mandatario, aumentato della provvigione”. Ai fini Iva, dunque, vi è un doppio trasferimento del servizio, che comporta due distinte prestazioni di servizi ai fini Iva. Il professionista mandante emetterà fattura al general contractor mandatario, indicando il prezzo delle prestazioni al netto dell’eventuale provvigione. Il general contractor, successivamente, emetterà fattura al privato che ha richiesto l’intervento e che intende beneficiare delle detrazioni edilizie. Il general contractor potrà detrarre l’Iva sulla fattura ricevuta e dovrà versare l’Iva sugli importi finali fatturati al committente: in altre parole, l’Iva che sarà dovuta dal mandatario sarà soltanto quella sulla provvigione (ovvero sulla differenza tra le due prestazioni). Si ricorda, tuttavia, che, nell’ambito del contratto di mandato senza rappresentanza, il mandatario si limita a riaddebitare i costi: a diverse conclusioni, invece, si dovrebbe giungere nel caso in cui vengano fornite prestazioni ulteriori o diverse (sul punto si richiama la risoluzione 35/E/2001).
i sensi dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72, le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti “interni” tra il mandante e il mandatario senza rappresentanza.
Questa impostazione normativa sortisce una serie di importanti effetti ai fini dell’applicazione dell’IVA.
In primo luogo, il disposto dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72 determina un flusso di fatturazione, tra i tre soggetti che sono coinvolti nello schema contrattuale (mandante, mandatario senza rappresentanza e terzo), che implica:
un primo flusso di fatturazione (di addebito o di accredito) tra il mandatario senza rappresentanza e il terzo;
un secondo flusso di fatturazione (di riaddebito o di riaccredito) tra il mandatario senza rappresentanza e il mandante.
In secondo luogo, il disposto dell’art. 3 co. 3 del DPR 633/72 determina la “assimilazione sul piano oggettivo” dell’operazione “interna” di mero riaddebito o riaccredito tra mandatario senza rappresentanza e mandante alla natura oggettiva dell’operazione “esterna” che si perfeziona tra mandatario senza rappresentanza e terzo prestatore (nel mandato all’acquisto) o committente (nel mandato alla vendita).
Questa “assimilazione sul piano oggettivo” implica che l’operazione “interna” di riaddebito o riaccredito costituisce ai fini IVA una prestazione di servizi avente la medesima natura oggettiva della prestazione di servizi che intercorre tra mandatario senza rappresentanza e terzo, da cui consegue che il trattamento ai fini IVA del riaddebito o riaccredito deve essere il medesimo (in termini di regime IVA e, in caso di regime di imponibilità, di aliquota IVA applicabile) che trova applicazione sulla prestazione di servizi che intercorre tra mandatario senza rappresentanza e terzo27.
L’unica circostanza che può determinare una differenza di trattamento ai fini IVA dell’operazione di riaddebito o riaccredito, rispetto al trattamento ai fini IVA della prestazione di servizi “esterna”, è l’insorgenza di “differenze prettamente soggettive”.
Nel caso di mandato senza rappresentanza all’acquisto di prestazioni professionali, dunque, l’applicazione dell’IVA con l’aliquota ordinaria del 22% da parte del terzo prestatore nella sua fatturazione all’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza, si riflette in una applicazione dell’IVA con aliquota ordinaria del 22% da parte dell’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza nella sua fatturazione “di riaddebito” al committente-mandante.
Se però, sempre a titolo di esempio, il terzo prestatore è una partita IVA individuale che fattura le proprie prestazioni di servizi “oggettivamente” professionali non già in regime di imponibilità IVA con aliquota del 22%, bensì senza applicazione di IVA ex co. 58 lett. a) dell’art. 1 della L. 190/2014, in quanto “soggettivamente” rientrante nell’ambito di applicazione del c.d. “regime forfetario delle partite IVA individuali”, di cui all’art. 1 co. 54 e seguenti della L. 190/2014, il successivo riaddebito da parte dell’appaltatore generale – mandatario senza rappresentanza, nei confronti del committente-mandante, deve comunque avvenire con applicazione dell’IVA in regime di imponibilità al 22%, perché, come evidenziato, l’assimilazione dell’operazione “interna” a quella “esterna” concerne esclusivamente la natura oggettiva dell’operazione, non anche i riflessi applicativi che discendono da condizioni prettamente soggettive del terzo e/o del mandatario senza rappresentanza28.
Giova sottolineare che, qualora l’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza applichi, sull’onere che ha sostenuto e che riaddebita, un ricarico a titolo di provvigione, quale compenso pattuito per la sua attività di mandatario, anche tale mark up risulta soggetto ad IVA con le stesse modalità previste in ragione della natura oggettiva della prestazione di servizi resa “a monte” dal terzo.
L’art. 13 co. 2 lett. b) del DPR 633/72 stabilisce infatti che, nel mandato senza rappresentanza all’acquisto, la base imponibile della fattura del mandatario al mandante è rappresentata dal corrispettivo applicato dal terzo per il servizio reso all’acquirente finale, aumentato della provvigione.
Da questo punto di vista, lo schema giuridico del mandato senza rappresentanza non impone necessariamente al mandatario di evidenziare separatamente in fattura la parte del corrispettivo complessivamente fatturato al mandante che corrisponde al puro riaddebito del corrispettivo applicato “a monte” dal terzo e la parte che corrisponde invece alla provvigione eventualmente applicata dal mandatario.
Ciò non di meno, laddove l’appaltatore generale-mandatario senza rappresentanza non si limiti al mero riaddebito dei corrispettivi applicati dai terzi (per la parte di prestazioni che non rientrano tra quelle oggetto di appalto, bensì tra quelle oggetto di mandato senza rappresentanza), l’esigenza di evidenziare separatamente in fattura la parte di mero riaddebito e la parte di provvigione, eventualmente applicata a titolo di compenso per l’attività di mandatario, discende dal diverso fronte disciplinare delle detrazioni “edilizie” fruibili dal committente, posto che, secondo quanto prospettato dalla prassi dell’Agenzia delle Entrate, esse spetterebbero soltanto sulla parte di spese corrispondenti al mero riaddebito e non anche sulla parte di spese corrispondenti all’eventuale provvigione
Le imprese fornitrici che applicano lo sconto in fattura exart. 121 del DL 34/2020 in relazione a spese agevolate con detrazioni “edilizie” diverse dal superbonus 110% devono riaddebitare al committente gli oneri finanziari impliciti dell’operazione (pari alla differenza tra il valore nominale dello sconto applicato in fattura e il valore attualizzato del credito di imposta che sorge a fronte dell’applicazione dello sconto), se non vogliono rimanerne incisi loro stessi.
Nel caso del superbonus 110%, il riaddebito non è necessario, né giustificato sul piano economico, perché, fatto 100 di sconto in fattura, l’impresa fornitrice matura un credito di imposta di 110, il cui valore attuale, che monetizza in caso di cessione a terzi, è all’incirca pari a 100, ossia al valore nominale dello sconto che ha riconosciuto in fattura al proprio committente.
Nel caso delle altre detrazioni “edilizie”, invece, il valore attuale del credito di imposta che il fornitore matura a fronte dello sconto applicato in fattura (e che il fornitore monetizza in caso di sua cessione a terzi acquirenti) è inferiore di circa il 10% o il 20% del valore nominale dello sconto concesso al committente, a seconda che si tratti di bonus con orizzonte temporale di recupero a 5 anni (sismabonus) o a 10 anni (IRPEF 50%, ecobonus, bonus facciate).
Sul piano pratico, taluni fornitori tendono a riaddebitare al committente questo 10% o 20% di minor valore attuale del credito di imposta, rispetto al valore nominale dello sconto applicato, senza evidenziarlo come tale ed agendo direttamente con un innalzamento del corrispettivo praticato.
Inutile dire che questa prassi, per quanto possa essere comoda, è totalmente errata, specie se, rimanendo comunque all’interno dei meccanismi di costo massimo specifico (ove applicabili) e di tetto massimo di spesa agevolata, la parte di corrispettivo incrementata a titolo di “riaddebito improprio” diviene essa stessa base per il calcolo della detrazione spettante e, quindi, dello sconto massimo applicabile.
Si ricorda, infatti, che tra le spese detraibili, ai sensi dell’art. 16-bis comma 2 del TUIR “sono comprese quelle di progettazione e per prestazioni professionali connesse all’esecuzione delle opere edilizie e alla messa a norma degli edifici ai sensi della legislazione vigente in materia” (la disposizione, seppur riguardi la detrazione IRPEF per interventi di recupero edilizio, è applicabile anche al sismabonus e all’ecobonus ai sensi della lett. f) dell’art. 5 comma 1 del DM 6 agosto 2020 “Requisiti”, ai sensi della quale rientrano tra le spese detraibili quelle per “prestazioni professionali necessarie alla realizzazione degli interventi” di efficienza energetica).
Proprio perché il riaddebito al committente degli oneri finanziari impliciti nell’operazione di sconto in fattura costituisce un comportamento del tutto logico sul piano economico, è facile prevedere che l’Agenzia delle Entrate, laddove non veda evidenziata questa posta, presumerà (con tentativo di inversione dell’onere della prova in capo al contribuente) che la medesima sia stata inserita sotto forma di innalzamento dei corrispettivi praticati a monte e ne contesterà, per importo corrispondente, la detraibilità.
Una volta compresa l’importanza di adeguate procedure di fatturazione volte a evidenziare in modo chiaro e trasparente cosa costituisce corrispettivo dell’appalto e cosa, invece, riaddebito degli oneri finanziari impliciti nell’opzione di sconto in fattura da parte del fornitore, rimane da inquadrare il corretto trattamento IVA da applicare sul riaddebito.
A tale proposito, è pacifico che, nella misura in cui all’operazione di sconto debba essere riconosciuta natura meramente accessoria delle prestazioni di servizi “edilizi” rese dal fornitore medesimo, il trattamento IVA sarà il medesimo delle operazioni principali (sia nel caso di unica fatturazione, sia nel caso di fatturazione separata). Se invece tale natura accessoria non sussiste, il trattamento IVA del riaddebito sarà quello dell’esenzione exart. 10 comma 1 n. 1) del DPR 633/72.
La natura accessoria o meno dello sconto in fattura, rispetto alla prestazione “edilizia” principale, dipende dal tipo di accordi che intercorrono tra le parti. Se il contratto di appalto prevede espressamente che, ai fini del pagamento del corrispettivo, il committente dovrà pagare soltanto ciò che residuerà dopo lo sconto in fattura, la natura accessoria dello sconto in fattura, rispetto alla prestazione principale dei servizi “edilizi” è in re ipsa.
Se però il contratto di appalto prevede che lo sconto in fattura sia solo una facoltà eventuale, che il committente potrà richiedere al fornitore mediante apposita comunicazione prima dell’emissione della fattura medesima, ecco allora che lo sconto in fattura può assumere carattere di prestazione autonoma non meramente accessoria, con quel che ne consegue in termini di diverso trattamento IVA.
L’agevolazione riferita al c.d. “bonus facciate”, di cui all’art. 1 commi da 219 a 223 della L. 160/2019, può essere fatta valere sulla base di interventi edilizi di diversa tipologia. A seconda del tipo di intervento edile posto in essere, muta la qualificazione urbanistica e, di riflesso, anche l’applicazione dell’IVA alla prestazione eseguita.
Tra le opere edilizie agevolate vi sono gli interventi di sola pulitura o di sola tinteggiatura esterna della facciata. In questa circostanza, le opere sono generalmente riconducibili alla nozione di manutenzioneordinaria ai sensi dell’art. 3 comma 1 lett. a) del DPR 380/2001. Sono compresi, in particolare, i lavori di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelli necessari ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
A titolo esemplificativo, rientrano nella manutenzione ordinaria anche “gli interventi di sostituzione integrale o parziale dei pavimenti, rivestimenti e tinteggiature di prospetti esterni senza modifiche dei preesistenti oggetti, ornamenti, materiali e colori” (C.M. 24 febbraio 1998 n. 57).
Le prestazioni di servizi di manutenzione, sotto il profilo IVA, sono soggette ad aliquota del 10% se relative a fabbricati a prevalente destinazione abitativa privata, ai sensi dell’art. 7 comma 1 lett. b) del DPR 633/72, con la limitazione per i beni significativi. L’aliquota è, dunque, quella ordinaria (del 22%) se gli interventi riguardano immobili strumentali.
Nel caso di interi fabbricati, a prevalente destinazione abitativa, per gli interventi sulle parti comuni dell’edificio, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto applicabile l’aliquota del 10% “anche in relazione alle quote millesimali corrispondenti alle unità non abitative situate nell’edificio” (C.M. n. 71/2000, ripresa, con riferimento al c.d. “bonus facciate” dalla risposta a interpello n. 606/2021).
Tale chiarimento, specificamente reso con riferimento ai lavori effettuati sulle parti comuni dei fabbricati (come nel caso delle facciate), dovrebbe prevalere rispetto al principio generale per cui, in forza di un unico contratto di appalto con un corrispettivo unico forfetario, le prestazioni sono in linea generale soggette all’aliquota IVA più elevata (tra le altre, ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2004, risposta a interpello n. 49/2020).
Interventi come la finitura degli edifici (codice ATECO 43.39.09) o la tinteggiatura (codice 43.34.00), se commissionati da soggetti passivi IVA, possono imporre l’applicazione del meccanismo del reverse charge: – nel caso di subappalti, ai sensi dell’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72; – nel caso di interventi direttamente dipendenti da un contratto di appalto, ai sensi dell’art. 17 comma 6 lett. a-ter del medesimo decreto, trattandosi di prestazioni relative ad edifici (circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2015).
Il c.d. “bonus facciate” può essere riconosciuto anche per interventi di maggiore entità, rilevanti dal punto di vista termico, qualificabili come manutenzione straordinaria o inclusi nell’ambito di un più ampio intervento di ristrutturazione edilizia o di restauro e risanamento conservativo.
Nell’ipotesi di interventi di manutenzione straordinaria, valgono le considerazioni già espresse, con applicazione dell’aliquota IVA del 10% per le sole prestazioni riferite a edifici a prevalente destinazione abitativa e il meccanismo del reverse charge alle condizioni di cui all’art. 17 comma 6 lett. a) e a-ter) del DPR 633/72.IVA al 10% per le ristrutturazioni di immobili strumentali
Per gli interventi di ristrutturazione edilizia o di restauro, invece, l’aliquota del 10% si applica indistintamente dalla tipologia dell’immobile oggetto dei lavori (ris. Agenzia delle Entrate n. 157/2001 e n. 10/2003). La disposizione di cui al n. 127-quaterdecies della Tabella A, Parte III, allegata al DPR 633/72, ha natura “oggettiva” e, quindi, si riferisce sia ai fabbricati abitativi che a quelli strumentali.
In relazione alle modalità di applicazione dell’imposta, non dovranno essere scomposte le singole prestazioni contenute nel contratto di appalto, per le quali sarebbe singolarmente dovuto il reverse charge (come nel caso della tinteggiatura o finitura della facciata). Difatti, come chiarito nella circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2015 (§ 1.4), per esigenze di semplificazioni, l’IVA si applica secondo le modalità ordinarie (rivalsa) all’intera fattispecie contrattuale.