Commissioni Paypal

Imposte dirette
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Le commissioni paypal addebitate sono deducibili.

Iva
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Le commissioni bancarie seguono, ai fini della territorialità IVA, le
regole previste per le prestazioni di servizi (generiche) di cui
all’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972; queste ultime a decorrere dal 1°
gennaio 2010 sono territorialmente rilevanti nel Paese in cui il
committente soggetto passivo d’imposta è stabilito, salvo alcune
eccezioni a salvaguardia del principio base.
Nei rapporti B2B l’operazione rileva nel Paese ove è stabilito il
committente soggetto passivo IVA;
Nei rapporti B2C l’operazione rileva nel Paese ove è stabilito il
prestatore soggetto passivo IVA.

Con la circolare 2/E del 2011 l’Agenzia delle Entrate chiarisce che
l’addebito di commissioni bancarie da parte di un istituto di credito
localizzato in un Paese della UE, ovvero extra-UE, concretizza
un’operazione esente IVA (art. 10, primo comma, n. 1 del D.P.R. n. 633
del 1972) a fronte dalla quale il soggetto passivo IVA provvede al
reverse charge indicando in fattura, anziché l’IVA dovuta, gli estremi
normativi in base ai quali l’operazione risulta esente, ed annotandola
nel registro delle fatture emesse e in quello delle fatture di acquisto
(circolare 12/E del 2010).
La circolare n. 37/E del 2011 chiarisce che l’obbligo dell’autofattura
per i servizi ricevuti viene meno se il contribuente non è tenuto alla
fatturazione dei servizi della stessa tipologia che da lui effettuati;
rimane un facoltà.

Intrastat
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Considerato che le commissioni sono esenti IVA non vi obbligo di
presentare gli elenchi intrastat relativamente alle operazioni tra
soggetti passivi stabiliti nella UE (neanche qualora il committente sia
tenuto alla presentazione degli elenchi Intrastat acquisti servizi
mensili). Infatti, sono escluse dall’obbligo di presentazione degli
elenchi Intrastat le prestazioni di servizi di cui all’art. 7-ter del
D.P.R. n. 633/1972 che godono nel Paese del committente del regime di
esenzione o della non imponibilità IVA.

Comunicazioni Transfrontaliere – Esterometro

Gentile Cliente, dal 1° gennaio 2019, parallelamente a quello della fatturazione elettronica, è stato introdotto un nuovo adempimento consistente in una comunicazione delle fatture relative ad operazioni attive e passive intercorse con soggetti (comunitari ed extracomunitari) non stabiliti nel territorio dello Stato.

Presupposto soggettivo

In linea generale sono obbligati a trasmettere la comunicazione delle operazioni transfrontaliere (c.d. esterometro) i soggetti passivi IVA che hanno sede legale (residenza), decisionale (domicilio) o operativa in Italia.

Ancorché “stabiliti” in Italia, così come sono esonerati dall’obbligo della fatturazione elettronica, sono esonerati dall’obbligo di trasmissione dell’esterometro  i seguenti soggetti:

  • contribuenti che applicano il regime di vantaggio ex D.L. 98/2011 (cd. minimi);
  • contribuenti forfetari ex L. 190/2014;
  • produttori agricoli in regime di esonero;
  • associazioni sportive dilettantistiche che nel periodo d’imposta precedente hanno conseguito proventi non superiori a 65.000 euro nell’ambito della propria attività commerciale;
  • contribuenti tenuti all’invio dei dati delle fatture al Sistema tessera sanitaria (farmacie, medici, etc.).

I dati da trasmettere sono quelli relativi alle operazioni transfrontaliere intercorse con soggetti che, viceversa, non sono stabiliti in Italia.

Sono considerati soggetti passivi “non stabiliti nel territorio dello Stato”:

  • i soggetti (Ue o extra-Ue) con sede legale all’estero ma direttamente identificati in Italia;
  • i soggetti (Ue o extra-Ue) con sede legale all’estero che hanno nominato un proprio rappresentante fiscale  in Italia;
  • i soggetti residenti o domiciliati all’estero (Ue o extra-Ue) che non hanno partita IVA (consumatori finali).

Operazioni da comunicare e operazioni escluse

Le operazioni da comunicare con l’“esterometro” sono quelle rappresentate da:

  • fatture emesse verso soggetti comunitari non stabiliti ma identificati ai fini IVA in Italia, per i quali non è stata emessa fattura elettronica;
  • fatture ricevute da soggetti comunitari non stabiliti ma identificati in Italia direttamente oppure mediante rappresentante fiscale;
  • fatture emesse per servizi generici verso soggetti extracomunitari per cui non è stata emessa la fattura elettronica e per le quali non c’è una bolletta doganale;
  • autofatture per servizi ricevuti da soggetti extra UE;
  • autofatture per acquisti di beni provenienti da magazzini italiani di fornitori extra UE.

Sono escluse dall’obbligo di comunicazione (quindi sono comunicate solo facoltativamente) le operazioni per le quali:

  • è stata emessa una bolletta doganale (importazioni);
  • sono state emesse fatture elettroniche (cessioni all’esportazione, cessioni intracomunitarie di beni, prestazioni di servizi intracomunitari, cessioni di immobili ubicati in Italia, etc.).

La ragione risiede nel fatto che i dati di queste operazioni sono già note all’Agenzia delle entrate, in quanto la bolletta doganale è oggetto di dichiarazione doganale mentre le fatture elettroniche transitano dal SdI.

Diventa, quindi, importante valutare la possibilità di emettere fattura elettronica anche per le operazioni attive effettuate nei confronti di soggetti “non stabiliti in Italia”, proprio al fine di evitare la trasmissione mensile dell’esterometro.

In tal caso la fattura elettronica andrà emessa indicando quale Codice Destinatario del cessionario/committente:

  • il codice convenzionale composto da sette X (“XXXXXXX”) allorquando la fattura venga emessa direttamente al soggetto non residente privo di partita Iva italiana, sempre che a tali soggetti sia assicurata la possibilità di ottenere copia cartacea della fattura, ove ne facciano richiesta.
  • il valore predefinito “0000000” (salvo che il cliente non comunichi il proprio indirizzo PEC o un proprio codice destinatario), allorquando la fattura venga emessa direttamente al soggetto non residente che si sia identificato direttamente o abbia nominato un proprio rappresentante fiscale in Italia; in tal caso in fattura andrà riportato il numero di partita Iva italiano attribuito al soggetto non residente.

Informazioni da trasmettere

I dati da trasmettere con l’esterometro sono i seguenti:

  • dati identificativi del cedente/prestatore,
  • dati identificativi del cessionario/committente,
  • data del documento comprovante l’operazione,
  • data di registrazione (per i soli documenti ricevuti e le relative note di variazione),
  • numero del documento,
  • base imponibile,
  • aliquota IVA applicata;
  • ammontare dell’imposta ovvero, ove l’operazione non comporti l’annotazione dell’imposta nel documento,
  • la tipologia dell’operazione.

Termini di trasmissione

La trasmissione telematica è effettuata entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello della data del documento emesso ovvero a quello della data di ricezione del documento comprovante l’operazione.

Per data di ricezione si intende la data di registrazione dell’operazione ai fini della liquidazione dell’IVA.

La prima comunicazione mensile delle operazioni di gennaio dovrà essere inviata entro il 28 febbraio 2019.

Esterometro e Intrastrat

L’obbligo di trasmissione degli elenchi Intrastat non è stato eliminato.

Conseguentemente dovranno essere trasmessi, nel corso del 2019, anche gli elenchi riepilogativi facenti riferimento alle cessioni e agli acquisti intracomunitari di beni e servizi (resi e ricevuti).

Omessa/errata trasmissione: sanzioni

In caso di omessa o errata trasmissione dei dati relativi alle operazioni in questione, è prevista l’applicazione di una sanzione di carattere amministrativo pari a 2 euro per ogni fattura (limite massimo fissato a mille euro per trimestre).

E’ prevista la riduzione a metà della sanzione (limite massimo di euro cinquecento), se la violazione viene sanata entro quindici giorni dalla scadenza della trasmissione.

Documentazione

Allo scopo di procedere all’adempimento, è necessario che, all’inizio di ciascun mese, vengano trasmesse allo Studio tutte le fatture emesse e/o ricevute (in formato non elettronico) verso e da soggetti non stabiliti in Italia nel mese precedente, a partire dal mese di gennaio appena trascorso.

Lo Studio resta a disposizione per ogni ulteriore informazione e con l’occasione porge cordiali saluti.

Indicazione ISA

TRATTASI DI MERA ELABORAZIONE STATISTICA, CON MEDIE ARITMETICHE SEMPLICI, CHE PRESUME FATTI NOTI RICAVATI DA ANALISI DI DATI ELABORATI E PROVENIENTI DA ALTRO STRUMENTO STANDARDIZZATO (STUDI DI SETTORE), CONSIDERATO IN UN PERIODO TEMPORALE E PREGRESSO DI 8 E/O 9 ANNI CHE NON PESA LE PECULIARITA’ DI OGNI ANNUALITA’, CON UNA NORMALIZZAZIONE DEI REDDITI DA VERIFICARE, CHE RENDONO INCOMPRENSIBILE IL RISULTATO DELLA PAGELLA FISCALE, CHE E’ UN’ELABORAZIONE STANDARDIZZATA CON LA FUNZIONE DI REGRESSIONE CHE NON GARANTISCE L’APPARTENENZA AL SINGOLO MODELLO DI BUSINESS, IN CONTRASTO CON LA REALE ATTIVITA’ ESERCITATA CON I LIMITI RILEVATI ANCHE DAI GARANTI DEL CONTRIBUENTE. UN RISULTATO SPERIMENTALE, CHE DOVRA’ ESSERE RICALCOLATO SULLA BASE DEI SUCCESSIVI AGGIORNAMENTI, IN UN CONTRADDITTORIO PREVENTIVO UTILE PER LA COMPRENSIONE E VERIFICA DEI DATI E DEI RISULTATI. UN ESITO CHE NON RISULTA IDONEO NE’ PER GLI EVENTUALI ADEGUAMENTI RICHIESTI, NE’ PER L’ATTIVITA’ DI VERIFICA E CONTROLLO, IN VIOLAZIONE DEL DIRITTO DI DIFESA E DI CAPACITA’ CONTRIBUTIVA

Architetti ed Ingegneri, niente CASSA solo se lavoratori dipendenti

L’INPS fornisce i criteri generali per la corretta individuazione dell’Ente competente in materia di previdenza per i liberi professionisti che svolgano attività professionale di ingegnere o architetto, alla luce del combinato disposto dell’art. 18 co. 11 del DL 98/2011 (conv. L. 111/2011) con l’art. 7 dello Statuto di INARCASSA, in base al quale coloro che, pur essendo iscritti all’Albo e in possesso di partita IVA, esercitino la professione di cui si tratta in maniera abituale ma non esclusiva, affiancandola ad un’attività di lavoro dipendente o, comunque, ad un’attività soggetta ad altra forma di previdenza obbligatoria:
– sono esclusi dalla possibilità di iscriversi ad INARCASSA;
– devono iscriversi alla Gestione separata INPS e versare a quest’ultima, alla stregua dei professionisti “senza Cassa”, i contributi previdenziali obbligatori sui redditi di lavoro autonomo professionale percepiti.
In particolare, la circolare in commento richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui é possibile ricondurre al concetto di “esercizio della libera professione produttivo di redditi professionali”, oltre all’espletamento delle prestazioni “riservate” ai professionisti iscritti agli Albi, anche l’esercizio di attività che, pur non soggette a riserva, presentino un “nesso” con l’attività professionale strettamente intesa, richiedendo il ricorso alle medesime cognizioni e competenze tecniche utilizzate nell’esercizio di quest’ultima.
In considerazione di ciò – fermo restando che quanto sopra vale per gli ingegneri e architetti che intrattengano anche un rapporto di lavoro subordinato – viene proposto, in forma tabellare, un elenco di attività di lavoro autonomo, distinguendo tra:
– attività che, se svolte in aggiunta all’attività professionale “tipica”, presentando una “connessione” con la stessa (nel senso sopra evidenziato), risultano “attratte” alla professione e produttive di redditi riconducibili ai redditi professionali costituenti la base imponibile per il pagamento dei contributi obbligatori ad INARCASSA (es. attività di consulente gestionale, amministratore di condominio, consulente e programmatore informatico, amministratore di società esercenti attività tecnica e/o tecnologica od operanti nel settore edile);
– attività che, se svolte in aggiunta all’attività professionale “tipica”, non presentando alcuna “connessione” con la stessa, né risultando subordinate all’iscrizione ad un Albo, sono soggette a contribuzione alla Gestione separata, precludendo l’iscrizione a INARCASSA e determinando l’assoggettamento di tutti i redditi percepiti al prelievo contributivo a favore della suddetta Gestione (es. procacciatore d’affari e consulente commerciale, consulente bancario e assicurativo).

Trattamento contabile e fiscale di software e siti web

Il trattamento contabile e fiscale connesso all’acquisto o alla realizzazione di software e siti web aziendali è argomento di interesse corrente che è analizzato dalla Nota operativa n. 11/2015 dell’Accademia Romana di Ragioneria. La determinazione dello stesso e dei relativi oneri sostenuti, non è sempre semplice dal punto di vista operativo, richiede quindi un esame delle caratteristiche del prodotto o delle finalità dello stesso. È necessaria una iniziale distinzione tra software di base, che si sostanziano nelle procedure e nei programmi diretti al funzionamento degli elaborati (sistemi operativi: Windows, Mac Os) e software applicativi, composti da procedure e istruzioni che permettono alla macchina di eseguire determinate funzioni in grado di rispondere alle esigenze dell’utente (elaboratori di testo, database, fogli di calcolo). 

software di base sono funzionali al corretto utilizzo dell’hardware e il relativo costo di acquisto rientra tra le “Immobilizzazioni materiali” di cui al Principio contabile OIC 16, in quanto è da considerarlo unito a quello del cespite sul quale viene installato. Dal punto di vista fiscale i criteri di determinazione delle quote di ammortamentosono disciplinate dall’art 102 T.U.I.R.

software applicativi, considerati come immobilizzazioni, sono diversamente articolati. Pertanto, ai fini di una corretta imputabilità nel bilancio devono essere distinti in:

  • software acquistato a titolo di proprietà o in licenza d’uso a tempo indeterminato: deve essere iscritto nell’attivo patrimoniale, tra i “Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno” riportandolo nella voce B.I.3. Fiscalmente, le quote di ammortamento sono quelle previste all’art. 103, co. 1, T.U.I.R., e non possono superare il 50% del costo complessivo sostenuto. L’impresa è libera nella scelta di determinare le quote di ammortamento con i criteri che ritiene più appropriati;
  • software acquistato a titolo di licenza d’uso a tempo determinato: deve essere iscritto in bilancio alla voce “Concessioni, licenze, marchi e diritti simili” B.I.4. Fiscalmente si applica l’art. 103, co. 1, T.U.I.R., per cui la durata dell’ammortamento deve essere rapportata al periodo in cui si estende la licenza d’uso. I costi in tale caso sono imputati al conto economico secondo il principio di competenza;
  • software autoprodotto per uso interno e non giuridicamente tutelato: in questo caso i costi del softwarerealizzato all’interno del nucleo aziendale, per il quale non è stato richiesto un riconoscimento giuridico, possono essere imputati al conto economico relativo all’esercizio di effettivo sostenimento.

L’Accademia Romana di Ragioneria si sofferma anche sulla situazione dei costi sostenuti per la realizzazione e l’implementazione dei siti internet, che devono essere capitalizzati dimostrandone l’utilità futura, stimandone la recuperabilità, utilizzando in questo caso il principio della prudenza. Non esistono norme civilistiche e principi contabili nazionali che si occupino di tali argomenti, si lascia ai redattori del bilancio la possibilità di intrepretazione delle regole generali.

Si comprende come rilevi, tuttavia, la caratteristica del sito differenziando lo stesso in:

  • sito vetrina i cui relativi costi sono assimilabili alle spese di pubblicità, vendendo spesati nel conto economico dell’esercizio stesso in cui sono sotenuti. Sul piano fiscale si applica l’art. 108, co. 2, T.U.I.R.;
  • effettivo strumento di lavoro nell’esercizio di impresa “sito e-commerce” i cui costi di realizzazione devono essere iscritti tra i “Diritti di brevetto industriale utilizzazione delle opere di ingegno” B.I.3. Le quote di ammortamento del costo di utilizzazione sono deducibili in misura non superiore al 50% del costo stesso. Se però il sito web è diretto ad un’espansione dell’attività aziendale, le spese dovranno essere indicate tra i “Costi di impianto e di ampliamento” B.I.1.

È anche possibile l’integrazione delle categorie dei siti tradizionali con sistemi di gestione utilizzabili tramite accesso all’area riservata del portale aziendale. Ai fini di una rilevazione contabile corretta, è necessario ripartire il costo complessivo tra le due componenti. Si precisa che in caso di appalto dei lavori di realizzazione a terzi, dovrà essere rilasciata una lettera di asttestazione che certifichi la quota di costo riferibile.

Le ritenute subite ma non pagate nessuna respon. contribuente

La risposta della Cassazione per le ritenute non versate

La solidarietà tra sostituto d’imposta e sostituito è un principio fissato dall’art. 35 D.P.R. 602/1973. Quando il sostituto viene iscritto a ruolo per imposte, sanzioni e interessi relativi a redditi sui quali non ha effettuato le ritenute né i relativi versamenti, il sostituito è coobbligato in solido. Questo in sostanza dispone la norma. Il percipiente si trova quindi di fronte al dilemma su quale sia il comportamento da tenere nel caso in cui non sia in possesso della certificazione relativa alla ritenuta subita.
D’altronde si trova nell’impossibilità di verificare se le ritenute subite siano state effettivamente versate. A fronte di una giurisprudenza piuttosto ferma sull’impossibilità di scomputare le ritenute non versate dal sostituto d’imposta, seppur subite dal percipiente (non mancano comunque sentenze di parere opposto), si contrappone una posizione critica della dottrina che ha da sempre sostenuto la possibilità del sostituito di scomputare le ritenute subite.
Una diversa interpretazione condurrebbe all’evidente duplicazione dell’imposta, in quanto il percipiente prima subisce la ritenuta e successivamente è chiamato a riversare le imposte a causa dell’inadempimento del sostituto d’imposta, fermo restando il diritto di regresso nei confronti di quest’ultimo. Le controversie che in passato hanno animato le aule delle commissioni tributarie sembrano aver trovato la soluzione definitiva. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza 12.04.2019, n. 10378, ha affrontato il tema in questione. In particolare, la Suprema Corte fa una distinzione tra i due concetti di sostituzione e di solidarietà. Occorre raffrontare il contenuto dell’art. 35, D.P.R. 602/1973, con l’art. 64, D.P.R. 600/1973. Il primo si riferisce alla solidarietà di imposta che viene collegata a una duplice condizione: la mancata effettuazione della ritenuta ed il suo mancato versamento.
La seconda norma definisce i concetti di sostituto e responsabile d’imposta, disciplinando il giudizio di accertamento dell’imposta e in particolare il diritto di rivalsa di chi, in forza delle disposizioni di legge, è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri. In particolare, l’art. 64, D.P.R. 600/1973 è applicabile alla sostituzione a titolo di acconto, mentre l’art. 35 D.P.R. 602/1973 si riferisce alla sostituzione a titolo di imposta.
La Cassazione, accogliendo il ricorso del contribuente che aveva effettivamente subito la ritenuta, non versata dal sostituto, ha enunciato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dall’art. 35 D.P.R. 602/1973 è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”. La posizione dei giudici di legittimità non può che essere condivisa. Il sostituto d’imposta, avendo effettuato la ritenuta, dispone della provvista necessaria al versamento e rimane unico obbligato nei confronti del Fisco. Le ritenute subite quindi sono scomputabili liberamente, a prescindere dal versamento. Si aggiunge che l’eventuale mancata certificazione da parte del sostituto d’imposta può essere superata dalla produzione di idonea documentazione che attesti che la ritenuta è stata effettivamente subita (fattura, dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà).