A riguardo, per esigenze di una migliore chiarezza espositiva, riassumiamo brevemente il caso oggetto del quesito.
La società ha acquistato della merce da un fornitore soggetto passivo residente, a fronte del quale è stata emessa fattura con I.V.A. al 20% in data 13.05.2011. Successivamente, in data 11.09.2012, la merce è stata restituita al fornitore perché difettosa, e quest’ultimo ha proceduto ad emettere nei confronti della società nota di credito con I.V.A. al 21% (con data 30.09.2012) a storno totale della fattura precedentemente ricevuta. Si chiede se la procedura adottata è corretta.
Prima di addentrarci nel merito dell’argomento oggetto del quesito, è opportuno richiamare il contenuto delle norme di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 26, D.P.R. n.633/1972:
– comma 2: “se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili, […], il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’art. 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’art. 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l’operazione ai sensi di quest’ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell’art. 23 o dell’art. 24, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente o prestatore a titolo di rivalsa.”
– comma 3: “le disposizioni del comma precedente non possono essere applicate dopo il decorso di un anno dalla effettuazione dell’operazione imponibile qualora gli eventi ivi indicati si verifichino in dipendenza di sopravvenuto accordo fra le parti […]”.
Le norme citate disciplinano la facoltà lasciata a chi ha emesso la fattura di variare in diminuzione ammontare e I.V.A. esposta sulla stessa ricorrendo determinati presupposti e condizioni.
La “variazione in diminuzione” di una fattura emessa e registrata non è obbligatoria, ma è una facoltà che viene lasciata a chi ha emesso la fattura stessa. D’altra parte, il destinatario della fattura “variata” è obbligato a registrare la “nota di variazione” ricevuta eseguendo scritture contrarie a quelle effettuate dall’emittente.
Il legislatore, nell’elencare le cause e gli eventi che giustificano la variazione in diminuzione, non ha inserito il “reso” del cliente, che è un evento molto frequente e che rappresenta senza dubbio la maggioranza delle operazioni delle variazioni in questione. In realtà il “reso” si deve considerare come la conseguenza di una risoluzione consensuale che i contraenti hanno concordato, e come tale rientrante appieno tra quelle situazioni che legittimano il ricorso alla nota di variazione ex art. 26, comma 2, del D.P.R. n.633/1972.
Ora, dato che il comma 3 dell’art. 26 limita temporalmente l’emissione delle note di variazione in diminuzione ad un anno dalla data di effettuazione dell’operazione principale, qualora l’evento che origina la variazione sia frutto di un accordo sopravvenuto tra le parti, si tratta di capire se la restituzione di beni al fornitore in quanto difettosi sia riconducibile all’ipotesi di cui al comma sopracitato, valendo quindi il limite di un anno per l’emissione della nota di credito.
In merito si è espressa qualche tempo fa l’Amministrazione finanziaria, con Ris. n.571646 del 24.10.1990, la quale, analizzando un caso uguale a quello oggetto del quesito, ha dato parere favorevole all’emissione di nota di variazione in diminuzione anche oltre un anno dall’effettuazione dell’operazione. Nella specie, infatti, non si tratterebbe di rettifica in dipendenza di sopravvenuto accordo (per la quale opererebbe il limite di un anno previsto dal comma 3 dello stesso art. 26), ma di una restituzione di beni difettosi in dipendenza della responsabilità contrattuale del venditore prevista dall’art. 1453 del Codice Civile (risolubilità del contratto per inadempimento). In altre parole, la variazione in diminuzione discende da precisi obblighi legislativamente posti a carico del venditore e non da un sopravvenuto accordo tra le parti. Di qui, la non applicabilità del termine previsto dal comma 3, art. 26, D.P.R. n.633/1972.
Pertanto, nel caso in questione, nonostante sia decorso più di un anno dall’effettuazione dell’operazione (spedizione o consegna dei beni, per le cessioni, ai sensi dell’art. 6, D.P.R. n.633/1972), si ritiene corretta l’emissione nei confronti della società di nota di credito con I.V.A. a storno totale dell’operazione di acquisto.
La nota di credito emessa dal fornitore, però, riporta un’aliquota I.V.A. errata (21%): infatti, nel caso in cui una nota di variazione si riferisca ad un’operazione che si è perfezionata in data anteriore al 17.09.2011 (data di vigenza della nuova aliquota) la nota di credito dovrà essere emessa con la vecchia aliquota I.V.A. del 20%.