Prestazioni occasionali nelle imprese e nell’ambito familiare

Le prestazioni occasionali sono uno strumento utilizzabile da coloro che intendono intraprendere un’attività in modo saltuario o sporadico.

L’articolo 54-bis D.L. 50/2017, modificato da ultimo dal D.Lgs. 104/2022, prevede la possibilità di acquisire prestazioni di lavoro occasionale ossia attività lavorative che, nel corso dell’anno, danno luogo:

a) per ciascun prestatore, con riferimento alla totalità degli utilizzatori, a compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

b) per ciascun utilizzatore, con riferimento alla totalità dei prestatori, a compensi di importo complessivamente non superiore a 5.000 euro;

c) per le prestazioni complessivamente rese da ogni prestatore in favore del medesimo utilizzatore, a compensi di importo non superiore a 2.500 euro;

c-bisper ciascun prestatore, per le attività di cui al decreto del Ministro dell’interno 8 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 195 del 23 agosto 2007, svolte nei confronti di ciascun utilizzatore di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91, a compensi di importo complessivo non superiore a 5.000 euro”.

Tali somme, riferite ai compensi percepiti dal prestatore al netto di contributi, premi Inail e costi di gestione, sono computate al 75 per cento del loro valore, ai fini del raggiungimento della soglia di 5.000 euro, per i seguenti soggetti:

  • titolari di pensione di vecchiaia o di invalidità;
  • giovani con meno di 25 anni regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, ovvero a un ciclo di studi presso l’università;
  • disoccupati;
  • percettori di prestazioni integrative del salario, di reddito di inclusione o di altre prestazioni a sostegno del reddito.

In aggiunta al limite economico, previsto dalla lettera c), è necessario rispettare, nel corso dello stesso anno civile, il tetto massimo di 280 ore (o il diverso limite previsto nel settore agricolo), indicato dal comma 20 dell’articolo 54-bis.

Il superamento, anche solo di uno dei due limiti indicati, comporta la trasformazione della prestazione occasionale in rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato.

Si evidenzia, inoltre, che il ricorso alle prestazioni di lavoro occasionale è vietato rispetto a soggetti con i quali l’utilizzatore abbia in corso, o abbia cessato da meno di sei mesi, un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione coordinata e continuativa.

La medesima disposizione di cui all’articolo 54-bis distingue poi le prestazioni occasionali, rese mediante il sistema del “libretto di famiglia” dai contratti di prestazione occasionale.

In particolare:

  • per quanto attiene al “libretto di famiglia”, l’utilizzatore persona fisica può acquistare, attraverso la piattaforma dell’Inps, un libretto nominativo prefinanziato, composto da titoli di pagamento con valore nominale fissato in 10 euro, per il pagamento delle prestazioni occasionali rese da uno o più prestatori in relazione a piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità, insegnamento privato supplementare e attività svolte da “steward” negli impianti sportivi;
  • diversamente, con il contratto di prestazione occasionale l’utilizzatore acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionale o saltuaria di ridotta entità, entro i limiti sopra indicati, corrispondendo un compenso minimo orario mai inferiore a 9 euro (ad eccezione del settore agricolo).

Con riferimento al solo contratto di prestazione occasionale si evidenzia che, ai sensi del comma 17 dell’articolo 54-bis, l’utilizzatore è tenuto a trasmettere all’Inps, almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione, una dichiarazione contenente, tra l’altro:

  • dati anagrafici e identificativi del prestatore;
  • il luogo di svolgimento della prestazione;
  • l’oggetto della prestazione;
  • la data e l’ora di inizio e di termine della prestazione;
  • il compenso pattuito, mai inferiore a 36 euro per prestazioni di durata non superiore a quattro ore continuative nell’arco della giornata.

Infine, si rileva che i compensi percepiti dal prestatore sono esenti da imposizione fiscale e non incidono sullo stato di disoccupato.

Pannelli solari ibridi scelta tra bonus fotovoltaici e di efficienza energetica

Dal punto di vista dei bonus edilizi, la normativa fiscale distingue in modo netto i pannelli solari destinati alla produzione di energia elettrica (c.d. “impianti solari fotovoltaici”) da quelli destinati alla produzione di energia termica (c.d. “impianti solari termici”).

Gli interventi di installazione dei primi possono beneficiare della detrazione IRPEF al 50%, ai sensi della lett. h) dell’art. 16-bis comma 1 del TUIR, con possibilità di “traino” nel superbonus 110%, ai sensi dei commi 5-7 dell’art. 119 del DL 34/2020, ove effettuati congiuntamente a interventi “trainanti” di efficienza energetica o di riduzione di rischio sismico.
Gli interventi di installazione dei secondi, oltre naturalmente alla detrazione IRPEF al 50%, ai sensi della lett. h) dell’art. 16-bis comma 1 del TUIR, possono beneficiare dell’ecobonus al 65%, ai sensi del comma 1 dell’art. 14 del DL 63/2013, con possibilità di “traino” nel superbonus 110%, ai sensi del comma 2 dell’art. 119 del DL 34/2020, ove effettuati congiuntamente a interventi “trainanti” di efficienza energetica.

La tecnologia è però in continua evoluzione e sono ormai sempre più comuni i pannelli solari c.d. “ibridi”, mediante i quali è possibile sfruttare lo stesso impianto sia per generare energia elettrica anche accumulabile per l’autoconsumo, oppure cedibile alla rete attraverso lo scambio sul posto, sia per produrre energia termica per acqua calda sanitaria e riscaldamento dei locali.

In questi impianti, i due tipi di pannelli, fotovoltaico e solare termico, sono distinti, ma funzionano in modo congiunto.
Pare corretto ritenere che, in quei casi in cui dovessero sussistere tutti i requisiti richiesti dalle diverse discipline agevolative (quelle applicabili agli impianti solari fotovoltaici e quelle applicabili agli impianti solari termici), il soggetto che sostiene le spese di installazione di un impianto solare “ibrido” possa decidere liberamente se agevolarle come spese relative a impianti solari fotovoltaici oppure come spese relative a impianti solari termici.

Fermo restando che rimane sempre opportuna una valutazione caso per caso, la scelta di agevolare l’impianto come fotovoltaico è più favorevole nei casi in cui risulti applicabile il superbonus, mentre, fuori dal superbonus, l’ecobonus al 65% applicabile sugli impianti solari termici risulta più appetibile del bonus casa 50%.

Agevolare l’impianto come fotovoltaico conviene con il superbonus

Fuori dal superbonus, la possibilità di agevolare gli impianti solari “ibridi” con l’ecobonus assume ancor più rilevanza laddove la scelta non è tra due agevolazioni diverse, ma tra questa agevolazione e nessuna agevolazione.
Si pensi, ad esempio, a tutti quegli interventi di ristrutturazione edilizia ex lett. d) dell’art. 3 comma 1 del DPR 380/2001 (eventualmente realizzati anche previa demolizione dell’edificio esistente), a cura di imprese che possiedono l’intero fabbricato e che procedono poi alla locazione o vendita delle singole unità immobiliari che lo compongono.
Queste imprese, nella misura in cui siano soggetti IRES, si ritrovano evidentemente escluse a priori dalla possibilità di beneficiare della detrazione IRPEF 50%, prevista dall’art. 16-bis del TUIR, mentre possono beneficiare della detrazione IRPEF/IRES spettante a titolo di ecobonus, prevista dall’art. 14 del DL 63/2013.

È appena il caso di ricordare che, per poter beneficiare dell’ecobonus sulle spese sostenute per l’installazione di pannelli solari, è necessario che l’edificio su cui sono installati risulti dotato, ante intervento, di impianto di riscaldamento ed è altresì necessario che l’impianto installato produca l’energia termica di cui all’Allegato H del DM 6 agosto 2020 “Requisiti” e presenti i requisiti tecnici di cui al punto 3 dell’Allegato A del medesimo DM 6 agosto 2020 “Requisiti”, la cui sussistenza deve essere formalmente asseverata da un tecnico abilitato (con possibilità di sostituire l’asseverazione con una dichiarazione del produttore, quando la superficie dei collettori solari installati è inferiore a 20 metri quadrati).

Notifica Preliminare ASL

Quesito del 24.7.2018 – su Eutekne
Una persona fisica ha sostenuto spese per un intervento di recupero del patrimonio edilizio.
Nel cantiere hanno lavorato più imprese, ma non è stata fatta la notificapreliminare all’ASL.
E’ possibile sanare in qualche modo la posizione in modo tale di poter beneficiare della detrazione IRPEF?

Risposta
La questione posta alla nostra attenzione è molto delicata in quanto le disposizioni fiscali vanno ad intrecciarsi con quelle in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Ai sensi dell’art. 99 del DLgs. 9.4.2008 n. 81 la comunicazione all’ASL è obbligatoria quando si verifica almeno una delle seguenti condizioni:
– nel cantiere si trovano a lavorare più imprese anche non contemporaneamente;
– nei cantieri che, inizialmente non soggetti all’obbligo di notifica, ricadono nelle categorie di cui al punto di cui sopra per effetto di varianti sopravvenute in corso d’opera;
– nel cantiere opera un’unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini-giorno.
L’art. 4 co. 1 del DM 18.2.98 n. 41, tra le altre cause di decadenza dal diritto di beneficiare della detrazione, fa rientrare la mancata comunicazione all’ASL nei casi in cui la stessa sia prevista.
La comunicazione ASL (ove obbligatoria) è strettamente legata alla normativa sulla sicurezza nei cantieri ma rientra anche fra i documenti che si devono avere per poter beneficiare della detrazione fiscale spettante per gli interventi volti al recupero edilizio di cui all’art. 16-bis del TUIR. Come precisato nella circ. Agenzia delle Entrate 27.4.2018 n. 7 la comunicazione non deve essere effettuata in tutti i casi in cui le disposizioni normative relative alle condizioni di sicurezza nei cantieri non prevedono l’obbligo della notificapreliminare all’ASL.
Tale comunicazione, inoltre, deve essere trasmessa (se necessaria) prima dell’inizio dei lavori in cantiere da parte del committente o dal responsabile dei lavori (l’art. 90 co. 10 del DLgs. 9.4.2008 n. 81 prevede addirittura che sia sospesa l’efficacia del titolo abilitativo nel caso non sia stata trasmessa la notifica in questione).
L’art. 90 co. 11 del DLgs. 81/2008, inoltre, prevede un’ipotesi per cui il coordinatore per la progettazione non deve essere designato, motivo per cui non sembra profilarsi la possibilità di invocare tale norma al fine di giustificare la mancata comunicazione all’ASL.
In relazione alla c.d. “remissione in bonis” di cui all’art. 2 co. 1 del DL 16/2012, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la sanatoria riguarda solo le comunicazioni “da effettuarsi nei confronti dell’Amministrazione finanziaria” (circ. Agenzia delle Entrate 20.12.2012 n. 47). Aderendo quindi alla restrittiva posizione dell’Agenzia non sarebbero sanabili le comunicazioni da trasmettere alle ASL, nonostante l’adempimento, seppur non strettamente fiscale, sia comunque espressamente richiamato dalla normativa tributaria.
Tale orientamento ha sollevato critiche da parte della dottrina in considerazione del fatto che la norma contenuta nel citato art. 2 “fa riferimento non solo al preventivo obbligo comunicativo, ma pure ad “altri adempimenti di natura formale”. Inoltre, anche l’ENEA, al quale deve essere trasmessa la comunicazione per beneficiare della detrazione per gli interventi di riqualificazione energetica, non è un ente impositore, ma in questo caso l’ammissibilità dell’art. 2 co. 1 del DL 16/2014 è stata specificatamente confermata (si veda la risposta ENEA n. 70, ove si afferma che, sulla questione, è stato richiesto il parere dell’Agenzia delle Entrate. In tal senso Cissello A. “La remissione in bonis”, in AA.VV. “Il nuovo ravvedimento operoso e la riforma delle sanzioni”, Quaderni Eutekne, 128, Eutekne, Torino, 2016, p. 73 ss. Cfr. anche Avella F. “Mancata comunicazione preliminareASL ristrutturazione”, l’Esperto risponde, 23.3.2018).
In ogni caso, la “remissione in bonis” deve essere effettuata entro termine di presentazione della prima dichiarazione dei redditi utile (circ. Agenzia delle Entrate 28.9.2012 n. 38) e la possibilità di procedere eventualmente alla sanatoria dipende da quando sono iniziati i lavori di recupero edilizio.
In conclusione, nel caso di specie, anche laddove si potesse eventualmente ricorrere alla “remissione in bonis” ed ammesso sia possibile inviare una comunicazione all’ASL successivamente alla data di inizio dei lavori, dovrebbero essere valutate le conseguenze determinate dall’inosservanza delle disposizioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.

Indicazione Fatture

  • Art. 119 D.L. 34/2020 – Incentivi per l’efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici
  • Ristrutturazione edilizia (art. 16 Bis TUIR e art. 3, comma 1 lettera c del Testo Unico edilizia)

se ce’ sconto in fattura:

  • Art. 121 D.L. 34/2020 – Opzione per la cessione o lo sconto in luogo delle detrazioni fiscali

Attenzione se superi i 70.000 euro anche il codice del CCNL applicato

  • Art. 119-ter D.L. 34/2020 – Detrazione per gli interventi finalizzati al superamento e all’eliminazione di barriere architettoniche
  • Art. 120 D.L. 34/2020 – Credito d’imposta per l’adeguamento degli ambienti di lavoro
  • Art. 16, c. 2 D.L. 63/2013 conv. L. 90/2013 – Bonus mobili
  • Art. 1, c. 12 L. 205/2017 – Bonus verde
  • Art. 1, c. 219 L. 160/2019 – Bonus facciate

Rimanenze distruzione – appunti

Se anche tu sei titolare di un’attività commerciale che comporta una gestione del magazzino, piccolo o grande che sia, oppure sei un artigiano o un professionista, ogni anno ti ritrovi a fare l’inventario di una mole di prodotti il cui ammontare molto spesso non coincide con gli importi risultanti dalle scritture contabili, cioè dall’inventario contabile.

Questo significa che anno dopo anno, una scorretta gestione del magazzino comporterà un disallineamento tra l’inventario fisico e quello contabile, e dal quale risulteranno ammanchi di merce che dovrai poi giustificare.

Facciamo due ipotesi:

1. Quando le giacenze fisiche di magazzino sono superiori a quelle contabili: allora si potrebbe configurare una situazione di acquisto di merce in nero che pur non essendo state contabilizzate si trovano nei locali in cui si svolge l’attività.

2. Quando le giacenze risultanti dalla contabilità sono maggiori di quelle fisiche: allora ci si potrebbe trovare di fronte ad una situazione di cessione di merci in nero con conseguente evasione dell’IVA e alterazione della base imponibile delle altre imposte dirette (Irpef, Irap, Ires).

In entrambi i casi, in seguito alle verifiche fiscali condotte dall’Amministrazione Finanziaria, ti troverai nella spiacevole posizione di dover dimostrare le discrepanze contestate. Si manifesta dunque il classico esempio di inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, nel senso che spetta proprio al contribuente dover dimostrare che le merci esistenti in misura maggiore o minore detenute presso il proprio magazzino sono:

– state utilizzate per la produzione;
– andate perse o distrutte;
– utilizzate per l’autoconsumo;
– depositate presso propri agenti o rappresentanti;
– cedute a terzi;
– devolute in beneficenza.

Il tutto va comunque giustificato con gli opportuni documenti, quali ricevute, fatture, autofatture, contratti, documenti di trasporto, verbali, autocertificazioni, ecc.

Vediamo di seguito quali sono le tecniche che è possibile adottare per mantenere nel tempo il giusto valore del magazzino.

Attenzione: le stesse procedure che analizzeremo valgono anche per i beni strumentali, quali attrezzature, fabbricati, impianti, macchinari, e tutti quei beni necessari all’impresa e senza dei quali l’imprenditore non potrebbe svolgere la sua attività.


Cosa fare nel caso di merci obsolete o invendibili?

Una delle situazioni delicate che spesso il titolare di un’azienda deve affrontare, e che potrebbe comportare non pochi problemi in sede di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, accade quando ci si trova a dover ridurre il valore delle rimanenze di magazzino al verificarsi di particolari situazioni che permetterebbero di non pagare l’IVA o altre imposte dirette per merci in eccesso o addirittura inferiori rispetto a quelle documentate, che altrimenti falserebbero la reale situazione contabile.

Le principali disposizioni che consentono di dismettere le merci invendibili e la necessaria riduzione del valore complessivo del magazzino permettono:

1. per i beni obsoleti fuori commercio, la cessione a titolo gratuito a favore di enti non commerciali, quali Onlus e associazioni riconosciute;
2. per le merci invendibili, la distruzione volontaria;
3. per i beni soggetti a furti, avaria, calamità naturali o ammanchi per eventi fortuiti, l’attestazione del loro venir meno.

CESSIONE GRATUITA DEI BENI OBSOLETI FUORI COMMERCIO

Come per tutte le attività imprenditoriali, può capitare di ritrovarsi in magazzino merce ancora invenduta che nel corso degli anni può diventare obsoleta, fuori moda e quindi non più commercializzabile, costringendo così il titolare, ove possibile, ad operare una svendita al di sotto del prezzo di mercato, se non del costo di acquisto o di produzione.

In tutto ciò l’IVA va comunque pagata, insieme alle altre imposte dirette.

Arrivati a questo punto, per ovviare a questo “fastidioso” adempimento amministrativo del pagamento dell’imposta, un’alternativa potrebbe essere quella di cedere gratuitamente i beni non più vendibili perché fuori commercio a delle associazioni riconosciute oppure a delle Onlus che per definizione non svolgono attività lucrative, rinunciando però a quella piccola parte di guadagno derivante dall’eventuale vendita a prezzi molto contenuti.


A chi va fatta la cessione della merce obsoleta?

Per questa tipologia di merci obsolete, difettose, comunque invendibili, secondo l’articolo 10 comma 12 del DPR 633/1972sono considerate esenti da IVA quelle operazioni effettuate a titolo gratuito a favore di enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio, ricerca scientifica e alle Onlus.


Come fare la cessione della merce obsoleta?

La cessione della merce in questione, per essere considerata esente da IVA deve essere effettuata:

– a titolo gratuito;
– a favore di enti non commerciali che ottengono un vantaggio dalla donazione e che non devono dare alcun corrispettivo.


Qual è la procedura per considerare la cessione esente da IVA?

La procedura che bisogna seguire per far sì che questi beni siano ceduti senza IVA, in totale esenzione dall’applicazione dell’imposta, superando la “presunzione di cessione”, è la seguente:

Per i beni non deperibili:

– comunicare all’Agenzia delle Entrate, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata, il nominativo dell’ente beneficiario, la data, l’ora, il luogo in cui avverrà la cessione a titolo gratuito, o il luogo di destinazione finale di consegna, con l’indicazione del valore complessivo dei beni ceduti al costo storico;
– compilare il documento di trasporto di consegna come disposto dal DPR 472/1986;
– predisporre una dichiarazione sostitutiva di atto notorio da far sottoscrivere al legale rappresentante dell’ente beneficiario, che attesta di aver effettivamente ricevuto i beni ceduti, con l’indicazione della quantità e della qualità degli stessi.

Per i beni deperibili:

per i prodotti deperibili come quelli alimentari, scaduti o prossimi alla scadenza e non più commercializzabili, ai sensi dell’articolo 6 della Legge 133/1999si considerano distrutti ai fini IVA quando ceduti a titolo gratuito agli stessi enti non commerciali o alle Onlus.

DISTRUZIONE VOLONTARIA O TRASFORMAZIONE DI MERCI NON COMMERCIALIZZABILI

L’adeguamento del valore delle rimanenze di magazzino (o dei beni strumentali) all’effettivo stato in cui si trovano, con la loro legittima riduzione, si può ottenere anche attraverso la distruzione volontaria ad opera dell’imprenditore o trasformazione in altri beni.

Attenzione: sottolineo volontaria perché questa procedura può essere adottata solo quando a realizzarla è la libera iniziativa dell’imprenditore, e non quando si verificano i normali scarti, cali o eventi esterni alla volontà dell’imprenditore.


Come avviene la distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza?

La distruzione o la trasformazione volontaria dei beni in rimanenza può essere provata nei seguenti modi:

Per i beni il cui costo storico è uguale o superiore a 10.000 €:

– tramite la presenza dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza durante le operazioni di distruzione o trasformazione della merce;
– occorre comunicare ai funzionari di cui sopra almeno 5 giorni prima le operazioni di distruzione o trasformazione, mediante raccomandata con ricevuta di ritorno o posta elettronica certificata. La comunicazione deve contenere la data, l’ora, il luogo dove avverrà l’operazione, la modalità di distruzione o trasformazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci;
– oppure far redigere un verbale da parte di un funzionario pubblico, di un ufficiale della Guardia di Finanza o di un notaio.

Attenzione: si consiglia di non aspettare gli ultimi giorni per fare la comunicazione preventiva, ma attivarsi in tempo utile per evitare le lungaggini burocratiche e i ritardi dovuti agli uffici.


Per i beni il cui costo storico è inferiore a 10.000 €:

la comunicazione preventiva non è obbligatoria, ma è necessario comunque redigere una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui si attestano i dati delle merci distrutte o trasformate con le indicazioni sopra descritte.

In alternativa alla distruzione diretta, è possibile procedere alla distruzione indiretta, consegnando le merci a un soggetto autorizzato secondo le norme previste in tema di smaltimento rifiuti.

RIDUZIONE DELLE RIMANENZE PER EVENTI CALAMITOSI, FURTI, AVARIA O ALTRI EVENTI FORTUITI

In presenza di eventi calamitosi, terremoti, allagamenti, furti, distruzione non volontaria delle merci o altre circostanze che non dipendono chiaramente dalla volontà dell’imprenditore, occorre provare quanto accaduto mediante:

– la documentazione redatta da funzionari pubblici;
– la dichiarazione sostitutiva di atto notorio sottoscritta entro 30 giorni dall’evento che ha causato la perdita dei beni e presentata alle autorità competenti.

Nella dichiarazione sostitutiva deve essere indicato il valore complessivo dei beni, i criteri adottati per la sua determinazione, la natura, la quantità e la qualità delle merci.


Che fine fanno i documenti prodotti per denunciare le procedure adottate?

Tutti i documenti prodotti devono essere consegnati al Commercialista affinché possa contabilizzarli e giustificare così l’avvenuta cessione a titolo gratuito, oppure la distruzione o trasformazione volontaria, oppure ancora la perdita dei beni per eventi esterni e calamitosi.

La prova documentale consente dunque di cancellare il valore di beni che non esistono più in azienda a seguito delle procedure adottate, tenerne conto ai fini della dichiarazione dei redditi e degli studi di settore, non considerarli come vendita produttiva di ricavi e imponibili ai fini IVA.


Cosa accade se non applico le procedure descritte?

Se in sede di controlli fiscali non si dovessero rinvenire quelle merci, la mancata applicazione delle procedure di cui sopra comporterà sicuramente la presunzione che le stesse sono state cedute in disapplicazione della legge, quindi evadendo le imposte, con la conseguente rideterminazione del reddito imponibile, nonché l’applicazione delle relative sanzioni per l’evasione dell’IVA e delle altre imposte dirette. A meno che il contribuente non riesca a dimostrare in modo inequivocabile il motivo della loro assenza dall’azienda.