Continuazione delle sanzioni

applicato l’istituto della continuazione per tutte le annualità accertate essendo intervenuto un atto interruttivo come definito dall’articolo 12, comma 6, del Dlgs n. 472/1997, costituito dalla notifica dell’avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 2004, avvenuta in data 19 maggio 2007.

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Errore in fattura, si sana con nota di variazione

L’emissione di una nota di variazione in diminuzione dell’IVA, ai sensi dell’art. 26 del DPR 633/72, rappresenta lo strumento principale (e generale) per porre rimedio agli errori compiuti in sede di fatturazione.
Qualora si riscontri un’impossibilità oggettiva di emettere nei termini l’anzidetta nota di variazione, è comunque possibile per il soggetto passivo fare ricorso all’istituto della restituzione dell’IVA da parte dell’Erario, disciplinato dall’art. 30-ter del DPR 633/72.

I suddetti principi sono stati formulati dall’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 762, pubblicata il 4 novembre 2021, in coerenza con un precedente proprio intervento sul tema (risposta n. 663/2021).
In merito alla possibilità generalizzata di avvalersi della nota di variazione come strumento “correttivo” di eventuali errori di fatturazione (fermo il termine annuale per l’emissione del documento ai sensi dell’art. 26 comma 3 del DPR 633/72), si può affermare che l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate sia sufficientemente espansiva rispetto al tenore della norma di riferimento.

L’art. 26 comma 3 del DPR 633/72 contempla, infatti, la variazione in diminuzione dell’imponibile e/o dell’imposta in caso di rettifica di inesattezze della fatturazione che abbiano dato luogo ad operazioni inesistenti in applicazione dell’art. 21 comma 7 del DPR 633/72.

C’è da dire che, in linea generale, non tutti gli errori di fatturazione integrano l’inesistenza dell’operazione.
Per contro, l’affermazione delle Entrate è improntata a condivisibili canoni di ragionevolezza, giacché la correzione di una fattura errata dovrebbe essere sempre garantita, a maggior ragione quando gli elementi da variare siano solamente formali (ad esempio, per una non perfetta coincidenza con i dati anagrafici richiesti ai sensi dell’art. 21 comma 4 del DPR 633/72).

Sotto un altro profilo, è importante la conferma che il cedente o prestatore possa effettuare la variazione in diminuzione nell’ipotesi in cui abbia addebitato l’imposta in eccesso, come nel caso in cui abbia applicato il regime di imponibilità in luogo di quello di esenzione o non imponibilità.

Si ricorda, infatti, come secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 24289/2020), oltre che per la stessa Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 51/2021), nel caso appena descritto, il cessionario o committente non possa esercitare il pieno diritto alla detrazione per l’IVA eccedente e sia sanzionato nella misura proporzionale del 90% del tributo (art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97).

Come indicato nella risposta a interpello n. 762/2021, dunque, lo strumento principale e generale per rimediare è rappresentato proprio dalla nota di variazione.
Tanto premesso, l’Agenzia delle Entrate, con il documento di prassi appena richiamato, riconosce anche – a determinate condizioni – la possibilità, per il cedente o prestatore, di recuperare l’imposta mediante l’istituto disciplinato dall’art. 30-ter del DPR 633/72.

Si osserva che la norma appena richiamata riveste “carattere residuale ed eccezionale, la cui applicazione è riservata ai casi in cui sussistano condizioni oggettive che non consentono il recupero dell’IVA secondo il metodo più generale, vale a dire l’emissione della nota di variazione in diminuzione ex art. 26 del DPR 633/72”.

Sulla scorta della pronuncia della Cassazione n. 20843/2020, l’Agenzia chiarisce che il diritto al rimborso ex art. 30-ter del DPR 633/72 è comunque riconosciuto, nel rispetto del principio di neutralità dell’imposta, laddove vi sia stato un errore a fronte del quale “il rischio di perdita del gettito fiscale può ritenersi insussistente” (si veda anche Corte di Giustizia Ue 11 aprile 2013, causa C-138/12). È il caso in cui la fattura erroneamente emessa “sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti o in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione)”.

Nel caso di specie il cessionario o committente non ha mai annotato le fatture ricevute nel registro degli acquisti, né esercitato il diritto alla detrazione. Per questa ragione, secondo le Entrate, essendo decorsi i termini per emettere la nota di variazione, il soggetto passivo può avvalersi dell’istanza di cui all’art. 30-ter.

È ragionevole, dunque, che qualora il cessionario o committente si avveda dell’errore nell’applicazione dell’IVA non provveda alla registrazione del documento e all’esercizio del diritto alla detrazione. Così facendo, oltre a non incorrere nella sanzione proporzionale, ai sensi dell’art. 6 comma 6 del DLgs. 471/97, consentirebbe al cedente o prestatore un più ampio margine per il recupero dell’imposta erroneamente addebitata (anche oltre il termine annuale, mediante l’istituto di cui al citato art. 30-ter).

Occorre segnalare che, secondo l’Amministrazione finanziaria, è inibita la restituzione dell’imposta di cui all’art. 30-ter, richiesta dal soggetto passivo “per ovviare alla scadenza del termine per l’esercizio alla detrazione, qualora tale termine sia decorso per «colpevole» inerzia del soggetto passivo” (si veda anche la risposta n. 592/2020).

Resta da confermare l’ulteriore possibilità, per il soggetto passivo, di emendare l’errata fatturazione mediante ricorso all’istituto della dichiarazione integrativa ai sensi dell’art. 8 comma 6-bis del DPR 322/98 (negato nella precedente risposta n. 663/2021).

Inversione contabile, edilizia e general contractor e 110 ed IVA

Resta ben inteso che, quando le prestazioni rese nel settore edile nei confronti del “general contractor” consistono in prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici, l’applicazione dell’IVA con il meccanismo del reverse charge rimane dovuta ai sensi della lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72.
Per queste prestazioni di servizi, infatti, la norma non circoscrive l’applicazione del reverse charge ai soli subappalti, né prevede disapplicazioni quando le prestazioni sono rese nei confronti di un “general contractor”.

La figura del contraente generale (c.d. “general contractor”) ha trovato una propria tipizzazione normativa solo nell’ambito del Codice dei contratti pubblici (art. 194 del DLgs. 50/2016), ma la prassi di affidare l’intera attività di progettazione ed esecuzione delle opere a un unico soggetto vede un crescente ricorso anche da parte di committenti privati, tanto più nel settore edilizio, a seguito anche dell’introduzione del superbonus del 110% e della generalizzazione delle opzioni per lo sconto in fattura o la cessione del credito di imposta, ai sensi degli artt. 119 e 121 del DL 34/2020.

In presenza di un contraente generale di un committente pubblico, appare pacifico che le prestazioni dei subappaltatori nei suoi confronti richiedano l’applicazione dell’IVA in fattura (e non, quindi, il meccanismo del reverse charge), salvo il caso in cui si tratti di prestazioni rientranti tra quelle contemplate dalla lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72 (ad esempio, opere di completamento relative a edifici).

La lett. a) del medesimo art. 17 comma 6 del DPR 633/72 prevede, infatti, che le prestazioni di servizi “rese nel settore edile da soggetti subappaltatori nei confronti di imprese che svolgono l’attività di costruzione o ristrutturazione di immobili ovvero nei confronti dell’appaltatore principale o di un altro subappaltatore” siano soggette a reverse charge, ma “la disposizione non si applica alle prestazioni di servizi rese nei confronti di un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori”.

Non altrettanto pacifico è ritenere disapplicata la disposizione anche in presenza di un contraente generale di un committente privato. Tuttavia, la formulazione letterale della norma sembrerebbe consentire di pervenire a questa conclusione, perché “un contraente generale a cui venga affidata la totalità dei lavori” è un’espressione definitoria che identifica in modo chiaro la fattispecie, senza comprimerla in alcun modo ai casi in cui il committente che affida la totalità dei lavori sia un soggetto pubblico.

La ratio della disposizione sembrerebbe quella di assimilare il rapporto nei confronti del contraente generale (definito come il soggetto cui viene affidata la totalità dei lavori) a un rapporto di appalto diretto, piuttosto che a un subappalto.

Pur nell’assenza di chiarimenti specifici, un’impostazione di questo tipo sembra evincersi, in qualche misura, dalla ris. Agenzia delle Entrate n. 111/2008.
Nel documento di prassi, riferito a una fattispecie contrattuale più complessa, si afferma, difatti, che il rapporto giuridico tra il contraente generale e i suoi prestatori di servizi appare “più vicino ad un contratto atipico di committenza” in virtù del quale con le imprese terze sono posti in essere “dei veri e propri contratti di appalto” e non di subappalto.
In ogni caso, pare evidente che, a distanza di molti anni dall’introduzione della disciplina del reverse charge in edilizia, il punto non risulta ancora essere stato sufficientemente chiarito e meriterebbe di esserlo.Reverse charge dovuto per le prestazioni della lettera a-ter)

Resta ben inteso che, quando le prestazioni rese nel settore edile nei confronti del “general contractor” consistono in prestazioni di servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento relative a edifici, l’applicazione dell’IVA con il meccanismo del reverse charge rimane dovuta ai sensi della lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 del DPR 633/72.
Per queste prestazioni di servizi, infatti, la norma non circoscrive l’applicazione del reverse charge ai soli subappalti, né prevede disapplicazioni quando le prestazioni sono rese nei confronti di un “general contractor”.

IVA

Il recente incremento di lavori finalizzati al recupero del patrimonio edilizio ha spinto le imprese, sia per comodità di gestione ed organizzazione che, soprattutto, per la possibilità di avere un unico soggetto al quale richiedere, in sede di pagamento, lo sconto sul corrispettivo ex art. 121 del DL 34/2020, a far confluire tutti gli interventi sotto un unico “general contractor” che si interfaccia sia con il committente (solitamente condominio o privato) che con il soggetto che finanzierà l’operazione acquistando il credito corrispondente alla detrazione fiscale.

Ai fini IVA, dal punto di vista del rapporto tra il committente e il “general contractor”, le regole sono sufficientemente chiare. Infatti il general contractor, se il committente non è un soggetto passivo IVA, effettuerà un’operazione applicando l’imposta con aliquota pari al 10% o al 22%, a seconda della natura dell’intervento e della tipologia di immobile sul quale viene effettuato.

In linea generale, si renderà applicabile l’aliquota IVA del 10% relativa alle manutenzioni ordinarie e straordinarie su edifici a prevalente destinazione abitativa di cui all’art. 7 comma 1 lett. b) della L. 488/99, tenendo conto dell’eventuale apporto di beni significativi compresi nell’elenco del DM 29 dicembre 1999. In tale ipotesi, occorrerà valutare la necessità di scorporarne il valore secondo le regole definite, in ultimo, dall’art. 1 comma 19 della L. 205/2017, ai fini dell’applicazione dell’aliquota.

Un’altra riflessione, sempre in tema di IVA deve essere fatta nel caso in cui il general contractor riaddebiti le spese professionali sulla base di un mandato senza rappresentanza. Infatti, ai sensi dell’art. 3 comma 3 del DPR 633/72, l’operazione di riaddebito integra, ai fini IVA, una prestazione di servizi avente la medesima natura “oggettiva” della prestazione di servizi che intercorre tra mandatario senza rappresentanza e terzo, per cui la prestazione manterrà “a valle” la medesima aliquota applicata “a monte” (cfr. risposta a interpello n. 623/2021).

Un discorso più complesso riguarda le operazioni “a valle”, vale a dire le prestazioni fornite dai subappaltatori al general contractor, in quanto in tale fattispecie l’applicazione dell’IVA, con le aliquote ordinaria o ridotte, per le prestazioni di servizi edili in forza di contratti di (sub)appalto, avviene generalmente con il meccanismo del reverse charge in luogo dell’ordinario meccanismo della rivalsa.

Per quanto le prestazioni in subappalto di cui all’art. 17 comma 6 lett. a) del DPR 633/72, rese nei confronti di un contraente generale cui venga affidata dal committente la totalità dei lavori, siano escluse dal reverse charge, lo speciale meccanismo si applica per tutte le prestazioni edili (es. installazione di impianti e completamento di edifici) individuate dalla successiva lett. a-ter) dell’art. 17 comma 6 (si veda “Prestazioni edili al general contractor senza inversione contabile” del 26 luglio 2021).

In tal caso, è onere del committente applicare la corretta aliquota IVA (nella misura del 10% ovvero del 22%).
Sul punto, l’Amministrazione finanziaria (C.M. n. 71/2000) ha confermato che alle prestazioni dipendenti da subappalto si applica lo stesso regime IVA previsto per l’appalto principale, posto che entrambe le prestazioni concorrono alla realizzazione dell’opera finale.

Tuttavia, nel caso di manutenzioni ordinarie e straordinarie (riconducibili alle lettere a) e b) dell’art. 3 del DLgs. 380/2001) su edifici a prevalente destinazione abitativa, le imprese subappaltatrici devono applicare l’aliquota IVA ordinaria (pari al 22%).
Secondo l’Amministrazione finanziaria (C.M. n. 71/2000), la norma agevolativa di cui all’art. 7 della L. 488/99 (la quale prevede l’aliquota del 10%) si applica alla sola prestazione avente ad oggetto l’intervento nella sua unitarietà (e, dunque, nel rapporto tra committente e general contractor), ma non può essere replicata nei rapporti sottostanti.

Difatti, ai fini dell’aliquota agevolata, deve essere effettuata una verifica in merito alla presenza di beni significativi (i quali limitano l’applicabilità dell’agevolazione). Una tale verifica non è possibile nell’ambito del subappalto, non potendosi raffrontare il valore dei beni forniti nell’ambito del complessivo intervento di recupero ed il complessivo valore di questo ultimo.

Pertanto, l’aliquota agevolata potrà essere fatta valere, in linea generale, nelle sole prestazioni manutentive rese ai consumatori finali (o a condomini non soggetti passivi d’imposta), ferma la verifica in merito a eventuali beni significativi.
Le operazioni che configurano fasi intermedie nella realizzazione dell’intervento (tra cui le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese nei confronti del primo appaltatore) saranno soggette ad aliquota IVA ordinaria qualora ricomprese nelle manutenzioni oppure ad aliquota del 10% qualora ricomprese negli interventi di ristrutturazione edilizia o restauro e risanamento conservativo.

Pagamenti INPS fissi maggio 2020, sospesi

A seguito dell’emergenza COVID-19 con il DL n. 23/2020, c.d. “Decreto Liquidità” (Informativa SEAC 10.4.2020, n. 108) sono state introdotte molteplici proroghe dei termini previsti per gli adempimenti fiscali, amministrativi e processuali. In particolare con l’art. 18 del citato Decreto è stata riconosciuta a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa / lavoro autonomo con domicilio fiscale / sede legale o operativa in Italia con una riduzione del fatturato / corrispettivi di almeno il 33% (con ricavi / compensi 2019 non sono superiori a € 50 milioni) ovvero il 50% (con ricavi / compensi 2019 sono superiori a € 50 milioni):